Posts Tagged ‘Ennio Morricone’

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

agosto 4, 2023

Italia 1970
con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio Tramonti, Filippo De Gara, Arturo Dominici, Vittorio Duse, Vincenzo Falanga, Aldo Rendine, Massimo Foschi, Aleka Paizi, Salvo Randone, Ugo Adinolfi, Gino Usai, Giuseppe Terranova, Pino Patti, Giacomo Bellini, Roberto Bonanni, Guido Buzzelli, Fulvio Grimaldi, Giuseppe Licastro, Franco Marletta
regia di Elio Petri


Indagine su un cittadino aldisopradi ogni sospetto


Nel giorno in cui viene promosso a capo della sezione politica della questura, un dirigente di polizia uccide la propria amante a cui lo legava un rapporto morboso. L’uomo lascia volutamente molti indizi sul luogo del delitto certo che la sua posizione lo protegga da ogni incriminazione. In un delirante crescendo di depistaggi e aggiunta di nuove prove, con la certezza di essere stato riconosciuto dal vicino, a sua volta amante della vittima e attenzionato come anarchico, arriva finalmente il giorno in cui i suoi superiori non possono più nascondere l’evidenza: faranno di tutto per coprirlo come immaginato dal colpevole?



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Capolavoro di Elio Petri, il film ha un ruolo importante non solo nella storia cinematografica italiana ma anche nel contesto storico italiano: la pellicola uscì pochi mesi dopo la strage di Piazza Fontana che aveva innescato la strategia della tensione e l’inizio degli anni di piombo, il delicatissimo momento storico permise l’uscita dell’opera senza che incappasse nelle maglie della censura o che venisse sequestrata come richiesto da alcuni esponenti della Questura di Milano; il dibattito politico scatenato attorno al film lo rese campione d’incassi di quell’anno ma per il suo insindacabile valore artistico, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ottenne anche numerosi riconoscimenti, sia in Italia che all’estero, tra cui la statuetta per il miglior film straniero agli Oscar del 1971 e il Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes 1970.



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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto si segnala per l’interpretazione superlativa di Volonté, la musica come sempre geniale di Morricone e la commistione di stili utilizzata dal regista: un giallo che gioca con il grottesco e l’onirico e anche nelle scelte stilistiche utilizza topos ben noti al pubblico del periodo la sola scena inziale presenta dettagli che rimandano ai generi più in voga negli anni ’60: dettagli degni di uno spaghetti western, la spogliazione della vittima già col rigor mortis e un pallore esagerato che richiamano la stagione gotica e anticipano Dario Argento che avrebbe fatto delle ville liberty le ambientazioni dei suoi più grandi successi. Anche l’appartamento di Augusta Terzi presenta degli interni liberty meravigliosi che vengono definiti dannunziani per indicare lo stile di vita disinibito e bohémien della donna, un’annoiata divorziata attratta dal potere che esercita il protagonista di cui non viene mai fatto il nome, Augusta esalta perversamente il lato oscuro dell’amante che spinge ad infrangere le leggi che deve tutelare e con cui si diverte a ricostruire morbosamente i casi di omicidi risolti dal poliziotto
Contrapposto all’appartamento dannunziano di Augusto c’è l’appartamento del dirigente: moderno, di design, razionale come apparentemente è l’investigatore, è una casa vuota poco abitata dato che gran parte del suo tempo il protagonista lo passa in questura, un ambiente di stile brutalista di nome e di fatto dove il potere esercita le sue angherie nel modo più feroce, anche solo nella scala gerarchica, basti pensare al diverso atteggiamento verso il sottoposto Panunzio e all’ossequiosità verso il Prefetto.

Il diavolo nel cervello

agosto 22, 2022

Italia 1973
con Stefania Sandrelli, Keir Dullea, Micheline Presle, Tino Buazzelli, Renato Cestiè, Maurice Ronet, Orchidea De Sanctis, Gaia Germani, Giorgio Basso, Elsa Boni, Gabriella Lepori
regia di Sergio Sollima



Il diavolo nel cervello


Oscar torna nella città natale dopo otto anni trascorsi in Venezuela e rincontra la donna che amava un tempo, Sandra ma lei non lo riconosce persa in una regressione infantile dovuta alla morte del marito. Oscar scopre che Fabrizio è stato ucciso dal figlioletto Ricky, causando così lo scompenso psicologico di Sandra che è affidata alle cure della madre che sembra però trascurarla. Con l’aiuto del dottor Emilio Bontempi, altro amico di gioventù, Oscar scopre gli inganni di Fabrizio che viveva alle spalle della ricca moglie e che il bambino rinchiuso in collegio non è colpevole dell’omicidio del padre…


Ildiavolo nel cervello


Il diavolo nel cervello è l’unica incursione nel thriller di Sergio Sollima, regista di spaghetti western oltre che del mitico Sandokan televisivo. Il film, anche se non riuscitissimo, presenta una certa originalità: è un giallo psicologico nel periodo di massimo fulgore di Dario Argento che punta molto sulle atmosfere morbose di una nobile famiglia, la vicenda è intricata dai molti flashback che raccontano i diversi punti di vista dei personaggi, a me ha divertito soprattutto per il colpo di scena finale, piuttosto inaspettato: per come è costruito il film si è portati a pensare che la colpevole sia l’austera contessa Osio De Blanc che memore della gloria passata della famiglia se ne impipa della legge e nasconde con pugno di ferro la condizione della figlia e del nipote in nome della dignità della casata.
Stefania Sandrelli è la bellissima e fragile contessina Sandra vittima di un marito nobile ma spiantato che l’ha sempre tradita puntando solo al suo patrimonio che arriva al punto di sfruttare le inquietudini del figlioletto per minare la salute mentale della moglie convincendola di aver partorito un mostro crudele che vorrebbe ucciderla. L’attrice non spicca nel ruolo se non per la presenza scenica dello splendore dei suoi trent’anni.



Il diavolo nel cervello


Le indagini sui torbidi segreti degli Osio De Blanc sono condotte da Oscar, amico di gioventù di Sandra e Fabrizio che andò a far fortuna all’estero quando la ragazza amata gli preferì il ricco rampollo e il dottor Bontempi, interpretato da Tino Buazzelli, il Nero Wolfe televisivo che con lo stesso acume da investigatore segue le sue intuizioni e soprattutto per l’interesse del ragazzino, scopre il vero assassino di Fabrizio.

Ad interpretare Ricky c’è Renato Cestiè attore bambino stella degli anni ’60 inquietante come Nicoletta Elmi, i due si ritrovano compagni di classe ne I ragazzi della 3ª C.
Come sempre nei gialli italiani degli anni ’70 mi colpisce l’eleganza formale della composizione, in questo caso un modulo ricorrente è il primissimo piano del personaggio di cui sta per per partire il flashback con un altro personaggio sullo sfondo. Notevoli le ambientazioni che spaziano gran parte della pianura padana: la Mantova delle scene iniziali, Villa Erba e villa La Favorita per le residenze degli Osio de Blanc e molte inquadrature del lago d’Orta, molto interessanti per la diversa concezione della viabilità per chi conosce bene la località turistica.
Da menzionare la colonna sonora di Morricone, come sempre grande lavoro sui suoni e un’interessante refrain distorto di Per Elisa.

Thrilling

giugno 10, 2019

Italia 1965, Dino de Laurentiis Cinematografica
con Nino Manfredi, Walter Chiari, Alberto Sordi, Sylva Koscina, Alexandra Stewart, Dorian Gray, Tino Buazzelli, Nicoletta Machiavelli, Oretta Fiume, Rossana Martini, Milena Vukotic, Giampiero Albertini, Magda Konopka, Alessandro Cutolo, Cesare Gelli, Federico Boido, Luciano Bonanni
regia di Ettore Scola, Gian Luigi Polidoro, Carlo Lizzani

Thrilling-

Film a episodi il cui valore è pari alla fama del regista.
Il primo episodio, Il vittimista, è diretto da Ettore Scola: un professore di latino è convinto che la moglie tedesca voglia ucciderlo. Lo psicanalista in una sola seduta gli spiega che il suo è solo un senso di colpa dovuto alla relazione extraconiugale: la pace familiare torna quando Nanni lascia l’amante ma..
L’episodio più lungo e più riuscito dove Scola gioca smaccatamente con Hitchcock: una delle bambole su cui Frida riversa le frustrazioni della mancata maternità assomiglia alla mamma di Psyco, il caffè che potrebbe essere avvelenato viene seguito nel percorso dalla cucina al bagno come il bicchiere di latte ne Il Sospetto ma in perfetto stile commedia all’italiana, Nanni lo versa direttamente nel cesso. Esilarante il dialogo con lo psicanalista che si conclude con un “c’hai l’amica” davanti al quale il professore nega e solo da quel momento entra in scena la figura dell’amante di cui nemmeno lo spettatore sospettava l’esistenza.

Thrilling

Sadik, il secondo episodio diretto da Gian Luigi Polidoro è il più debole: l’ingegner Bertazzi rischia il fallimento se non riceverà la conferma di un fido bancario dalla Svizzera. Tornato a casa trova la moglie come sempre immersa nella lettura dei fumetti e proprio quella sera gli chiede di mettere in pratica una fantasia erotica ispirata al suo personaggio preferito, Sadik. Nonostante abbia altro per la testa Renato indossa il costume e si appresta a scalare il palazzo con scenette anche simpatiche ma strangolerà la moglie quando questa riattacca il telefono alla banca svizzera.

Sadik

L’autostrada del sole è l’ultimo segmento diretto da Carlo Lizzani, con un Alberto Sordi spumeggiante nei panni di Fernando Boccetta, un automobilista gradasso in guantini da corsa, camicia sbottonata fino alla vita sul petto villoso e cappello di paglia, che con una vecchia seicento sfida veicoli molto più rombanti sull’autostrada del sole. Ha un piccolo incidente con un milanese che se ne va senza lasciargli i dati, Fernando lo insegue e la resa dei conti si avrà nell’albergo della Torre, i cui proprietari sono una manica di feroci assassini che riescono quasi ad incastrare Boccetta come il “killer dell’autostrada”
Episodio molto divertente retto da Alberto Sordi che dipinge da par suo un mediocre tanto borioso quanto piagnone. Interessante l’idea della famiglia di serial killer, sviluppata negli horror americani anni ’70, Lizzani mette l’accento sulle motivazioni economiche dell’abbrutimento: l’albergo è stato aperto per elevarsi dal rango di contadini ma l’impresa è presto fallita perché l’autostrada ha reso la locanda un posto fuori mano.

Thrilling

Ottima colonna sonora con le scanzonate hit anni ’60 che per contrasto sono perfette anche nei momenti thriller, Ciao Ciao è il tormentone del primo epidodio, la canzone di chiusura, La regola del gioco è scritta da Ennio Morricone.

La storia vera della Signora delle Camelie

giugno 28, 2017

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con Isabelle Huppert, Gian Maria Volonté, Bruno Ganz, Fernando Rey, Carla Fracci, Fabrizio Bentivoglio
regia di Mauro Bolognini

Mentre sta curando la messa in scena de La Signora delle Camelie, interrogato dall’attrice che interpreta Margherita, Alexandre Dumas figlio rievoca la figura della donna che ha ispirato la sua eroina: Alphonsine Plessis indotta alla prostituzione in giovanissima età dal padre, la ragazza diventerà una delle cortigiane più in vista di Parigi, mantenuta da un vecchio conte a cui ricorda la figlia morta, maritata a un conte che preferisce l’Algeria al bel mondo parigino e innamorata del giovane Dumas da cui la allontana il padre lenone per continuare a vivere alle sue spalle, anche se sarà l’unico ad esserle accanto in punto di morte.

E’ strano ed interessante il destino comune a diversi autori del periodo d’oro del cinema italiano, a partire dal cinema neorealista, che dopo aver saputo raccontare con asciutta precisione lo spaccato italiano, finiscono la loro carriera in un lussuoso formalismo decadente, per altro estremamente affascinate e diretto sempre con grande maestria, come nel caso di questo film di Bolognini, autore che ha lasciato il segno con opere come Il Bell’Antonio o La Notte Brava.


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La storia vera della signora delle camelie racconta la presunta vera storia di Alphonsine, la cortigiana immortalata nel romanzo di Dumas figlio e da La Traviata di Verdi le cui arie sono citate dalle musiche di Morricone.
Se un storia di povertà e prostituzione si può intuire anche nella vicenda di Margherita Gautier, l’originalità della trama sta nel ribaltamento di ruoli della figura paterna: non è il padre di Armando a chiedere a Margherita di lasciare il figlio perché sia libero di rifarsi una vita ma è il padre di Alphonsine a intromettersi perché finisca l’amore con Alexandre e la figlia possa tornare ai suoi affari e far smaltire la coda di creditori che bussano alla porta. Il ruolo è interpretato magistralmente da Gian Maria Volontè: il signor Plessis è un uomo estremante sensuale che a modo suo ama la figlia, pur non esitando a venderla fin dalla più giovane età; quando la ritrova sposata al conte Perregaux, si trasforma nell’uomo di fiducia della figlia, approfittando del lusso e della licenziosità della sua casa.
Figura sicuramente sgradevole, quella del padre di Margherita, non è poi così diversa da i signori che approfittano chi della sua rustica inesperienza, chi della sua raffinata ascesa.


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Bravissima anche la Huppert nel disegnare tutte le trasformazioni di una donna che decide scientemente di sfruttare a suo vantaggio l’unico tipo di vita che sembra esserle toccato in sorte, senza mai recriminare nemmeno sulla tisi che la accompagna dalla prima giovinezza e che decide di non curare per vivere intensamente la sua breve stagione di piacere.
L’eleganza formale del film si accompagna forse a una certa verbosità ma la pellicola sembra guadagnare fascino con il passare del tempo anche grazie a un cast internazionale di tutto rispetto, tra gli italiani si segnala anche per la bellezza,il giovane Bentivoglio nei panni di Dumas figlio.

The Hateful Height ***70mm***

febbraio 15, 2016

Il cacciatore di taglie John Ruth, detto “Il Boia” sta portando la fuorilegge Daisy Domergue a Red Rock per farla impiccare quando è costretto a far salire sulla diligenza che ha noleggiato due passeggeri indesiderati: prima il cacciatore di taglie di colore Marquis Warren e poi il sudista Chris Mannix.
Una tempesta di neve costringe il gruppo a fermarsi all’emporio di Minnie, qui incontreranno altri tre viaggiatori anche loro bloccati dalla bufera, stranamente però mancano i titolari dell’emporio Minnie e Sweet Dave, sostituiti da un messicano..

Thehatefulheight

L’ottavo (?) film di Quentin Tarantino segna un cambio di passo rispetto agli ultimi due lavori: la rilettura della storia si fa più fedele come testimoniato anche dal mezzo con cui il regista ha girato il film, l’Ultra Panavision 70 mm, che con il leggero tremolare dell’immagine trasporta subito lo spettatore in una dimensione antica di fruizione dello spettacolo. Io mi sono commossa anche alla scritta intervallo, dato il nervoso che mi procura lo stacco improvviso nelle multisale contemporanee dove ti strappano dall’immersione filmica a metà di una frase, accecandoti brutalmente per offrirti bibite e popcorn.
L’intervallo è durato esattamente dodici minuti, circa quel quarto d’ora a cui allude la voce off alla ripresa dello spettacolo. L’intervallo non è solo un tributo alle vecchie pellicole ma una vera e propria cesura tra le due parti del film: la prima introduce con molta calma ambientazioni e personaggi, siamo nel Wyoming, pochi giorni prima di Natale, un Cristo semi sepolto dalla neve segna l’arrivo a una stazione di posta “dimenticata da dio”, una baracca di legno che diventerà il luogo dove si sveleranno le vere identità dei vari personaggi e si pareggeranno diversi conti in un inesorabile gioco al massacro, a cominciare da quello tra il Maggiore Warren, nordista di colore e il generale sudista Sanford Smithers: sono passati pochi anni dalla guerra civile americana e gli animi non sono ancora assopiti. Ma si assopiranno mai gli animi di quest’America costruita sulla violenza e sull’odio che celebra un’improbabile amicizia sulle parole di una lettera (fasulla?) di Abramo Lincoln letta sotto il cadavere di una donna impiccata? A proposito, la prima donna impiccata in America è Mary Surratt, presunta complice dell’omicidio di Lincoln la cui storia è stata raccontata da Robert Redford in The Conspirator.
A lasciarmi un po’ perplessa è stato proprio il finale con la strana amicizia tra i due sopravvissuti prima acerrimi rivali: dato che il tema dello scontro razziale è tornato dominante negli USA mi sarei aspettata un ultimo conflitto a fuoco ma forse quella risata in faccia alla morte è ancora più cinica e inquietante di una sparatoria.
JohnDaisy Alla prima parte molto parlata si oppone la seconda dove la violenza splatter, che era totalmente assente nel primo tempo diventa dominante e Tarantino ci riconduce nel mondo granduignolesco che ben gli compete. La sinfonia mortifera di Ennio Morricone e l’improvviso vortice di morti violenti virano d’horror un film molto parlato, affabulatorio (e il regista è talmente bravo ad incantarci, anche sulla fiducia, che dimentichiamo alcune nozioni che dovremmo ben conoscere anche prima di entrare in sala o che ci mette sotto il naso nei titoli di testa). Mi riferisco all’horror perché tra le suggestioni filmiche che gli hanno inspirato The Hateful height, Tarantino cita La Cosa di John Carpenter che ha per protagonista Ken Russell e allora sarei proprio curiosa di sapere se nella versione originale il generale Smithers dice letteralmente a John Ruth “tu sei una jena” riferendosi al primo film di Tarantino o se gli da del serpente, omaggiando Jena (Snake) Plissken.

Macchie Solari

settembre 4, 2014

Macchiesolariloc Italia 1975 Titanus
con Mismy Farmer, Barry Primus, Ray Lovelock
regia di Armando Crispino
Titolo internazionale Autopsy

Nel caldo agosto romano, Simona lavora in obitorio per approfondire i suoi studi sulla distinzione tra suicidio reale e quello apparente. Sembra essere un’estate molto proficua per la ricerca della ragazza: l’intensa attività solare sta causando un aumento di suicidi ma all’improvviso il cerchio di morti si concentra sulle conoscenze di Simona, forse sulla donna stessa..

Celebre tra i cultori del macabro italiano per la sarabanda di morti portati alla Morgue e la conseguente allucinazione della protagonista, il film di Crispino si distingue per i sottili tocchi d’ironia già evidenziati nella sequenza iniziale. La trama è molto prosaica ma l’autore sa intricarla per bene portando lo spettatore lungo derive che non centrano nulla con le cause dei delitti. Le motivazioni della spirale di morte che si innesca attorno a Simona diventano secondarie, verranno svelate solo nel finale mentre tutta la pellicola cerca (o finge di cercare?) di indagare sulla personalità disturbata dei protagonisti: la frigidità di Simona, dovuto al suo legame morboso per il padre play-boy, la follia latente di Paul Lenox, fratello di una delle vittime e diventato prete dopo aver causato un gravissimo incidente a Le Mans quando faceva il pilota.

Macchiesolari

Divertente anche la serie di personaggi secondari, a partire dall’inquietante portinaio sciancato.
Forse il gioco di depistaggio è un po’ lungo e a tratti la storia perde mordente ma viene riscattata dalla magnifica colonna sonora di Morricone e dall’eleganza formale di Crispino che avevamo già riconosciuto a L’Etrusco uccide ancora.

Diabolik

novembre 21, 2012

Diabolikposter Italia 1968  
Con John Phillip Law, Marisa Mell, Michel Piccoli, Adolfo Celi, Renzo Palmer
Regia di Mario Bava

Dopo l’ennesimo colpo messo a punto da Diabolik, a Ginko viene rimessa piena libertà d’azone contro il crimine. Valmont, capo della criminalità organizzata decide mettersi alla caccia del misterioso ladro per salvare i propri loschi affari e riesce quasi a prenderlo in trappola catturando Eva Kant. Eliminato Valmont, il governo mette una taglia colossale sulla testa del ladro. Diabolik risponde con una provocazione: visto che lo Stato spende così male il denaro pubblico lo ruberà tutto. Il furto del mega lingotto in cui sono state convertite le riserve auree potrebbe però essergli fatale..

A cinquant’anni dall’uscita del primo fumetto (1 novembre 1962) e in attesa del serial televisivo di Sky Cinema che dovrebbe andare in onda a inizio 2013, (qui il trailer) vale la pena ricordare il film che De Laurentis produsse nel 1968 senza lesinare i mezzi, basta guardare i nomi dei co-protagonisti e ricordare che le musiche sono di Ennio Morricone.
Come nella miglior tradizione per un cult movie, la produzione partì malissimo: venne cambiato il regista e il passaggio di testimone alla regia comportò anche un avvicendamento dei protagonisti: il prescelto Jean Sorel fu sostituito dall’inespressivo John Phillip Law mentre Eva Kant avrebbe dovuto essere interpetata da Catherine Deneuve attrice non amata da Bava e quindi sostituita da Marisa Mell.
Diabolik
La trama è slegata, composta grassomodo da quattro capitoli tenuti insieme con poca logica e molta ironia. Il perfido Valmont è un personaggio creato appositamente per la pellicola che non appartiene al fumetto delle sorelle Giussani. il ritmo è piuttosto lento per uno spettatore contemporaneo ma del resto anche gli 007 di quell’epoca (di cui Diabolik vorrebbe essere una risposta italiana, se consideriamo i titoli di testa) guardavano di più al genere giallo rosa ora scomparso, che all’azione pura.
Molti degli scontri tra Bava e il produttore dipendono dalla scelta di non portare in scena la violenza con cui Diabolik operava comunemente nel fumetto, per evitare la censura.
Anche il personaggio di Eva Kant è piuttosto deludente: una bellissima bambola languida che finisce per intralciare il ladro in calzamaglia invece di essergli di aiuto.
Detto questo Diabolik è diventato un film di culto per lo stile raffinato: Mario Bava è come sempre bravissimo negli effetti speciali ma in questo film alimentare costruisce un immaginario pop caleidoscopico e futuribile che è una vera gioia per gli occhi.

La pellicola è conosciuta anche come Danger: Diabolik con cui fu distribuita all’estero

David di Donatello 2006

aprile 22, 2006

Il_caimano Il caimano e’ il miglior film dell’anno e si porta a casa anche la statuetta per la miglior regia e il miglior attore protagonista, mentre Romanzo criminale riceve ben 8 statuette e la Golino si conferma la miglior interprete femminile per La guerra di Mario: sembrerebbe un buon risultato che testimonia il lieve miglioramento dello stato del cinema italiano che nel 2005 si e’ dimostrato in ripresa, almeno a livelli di botteghino, ma la triste cerimonia di premiazione conferma che nulla si muove nelle stagnanti acque del nostro cinema.
Collocata in seconda serata, la cerimonia ha avuto inizio alle 00.45 per terminare alle 02,20, presentata da una Veronica Pivetti in versione vigile urbano: ha passato la maggior parte del tempo a indirizzare i premiati verso l’uscita o a chiamarli sul palco cercando di stringere al massimo i tempi; la affiancava Fabio Volo, latitante per tre quarti di spettacolo, non che se ne sentisse la mancanza (scusate, ma personalmente non capisco il senso dell’esistenza di quell’uomo) soprattutto quando ha “allietato” gli ultimi venti minuti di premiazione con il suo repertorio di battute da ragazzo normale che si trova li’ per caso.
L’ospite straniero era uno stranito Dolph Lundgren, ormai ridotto a un terzo del colossale Ivan Drago, che ha detto la battuta che l’ha consegnato alla storia del cinema, “Ti spiezzo in due” e se n’e’ andato; a parte questo, era inquietante assistere all’ingresso delle varie star premianti accompagnate da celebri colonne sonore: per un po’ ho cercato di cogliere il nesso tra il personaggio e la musica ma quando e’ entrata la Martinez sulle note di Fratello sole, sorella luna, ho desistito.
RomanzocriminaleL’omaggio ai tre grandi registi di cui nel 2006 cade il centenario (Rossellini, Soldati, Visconti) e’ stato altrettanto pietoso: spezzoni scelti a caso senza nemmeno una didascalia che ne identificasse il titolo: per Rossellini e’ stato scelto Germania anno zero e la Pivetti e’ riuscita a parlarne per qualche minuto con Lizzani senza che ne venisse mai pronunciato il titolo; ma il peggio del peggio si e’ toccato con i David del cinquantenario essendo giunti alla cinquantesima edizione del piu’ prestigioso premio del cinema italiano sono stati premiati illustri rappresentanti delle varie categorie cinematografiche: sono saliti sul palco personaggi del calibro di Ennio Morricone, Peppino Rotunno, Francesco Rosi, glorie del nostro cinema che sono state premiate da illustri figli d’arte (te pareva..): Jacopo Gassman presentato come attore (?) e regista (???) non e’ neppure arrivato a premiare Suso Cecchi d’ Amico per cui Silvio Orlando ha fatto partire una standing ovation (cosa che l’ha reso ancor piu’ meritevole del premio ricevuto).
Vabbe’, ma di che mi stupisco? nella manifestazione che consegna otto statuette a Romanzo Criminale, tra i premiatori c’era pure Giulio Andreotti!

Tutti i vincitori

C’era una volta il west

dicembre 13, 2004

Italia, 1968

con Claudia Cardinale, Henry Fonda, Charles Bronson, Gabriele Ferzetti, Paolo Stoppa
regia di Sergio Leone

Il magnate delle ferrovie Morton ingaggia una banda di fuorilegge,
capitanata dal crudele Frank per sterminare la famiglia McBain, che
ostacola i suoi progetti. Il giorno in cui si compie il massacro arriva
in citta’ Jill, una prostituta di New Orleans che McBain aveva sposato
segretamente. Verra’ aiutata a difendere la proprieta’ che ha ereditato
da un individuo senza nome che ha un vecchio conto in sospeso con Frank
e dal bandito Cheyenne.

Erawest


Capolavoro di Sergio Leone che  racconta la fine del mito della frontiera, costretta a cedere il passo al progresso.

I personaggi di questa vicenda hanno una levatura degna di una
tragedia greca: Morton, interpretato da un grande Gabriele Ferzetti e’
un magnate senza scrupoli disposto a tutto pur di realizzare il suo
sogno: portare la ferrovia dall’Atlantico al Pacifico, l’unica cosa che
gli difetta e’ tempo, dato che soffre di una grave forma di sclerosi
ossea che lo costringe in un busto e a camminare con le stampelle: trae
la sua forza fissando un quadro che rappresenta l’oceano, ma finira’
con la faccia in un rigagnolo melmoso. A Frank da vita uno stupefacente
Henry Fonda, che solitamente siamo abituati a vedere nei panni del
protagonista buono ed onesto e che in questa pellicola dipinge uno dei
vilain piu’ perfidi di tutta la storia del cinema, Cheyenne e’ il
burbero bandito dal cuore tenero: come Frank ha ceduto al denaro facile
di Morton, ed anche a lui questo peccato di ubrys costera’ la vita.

Si salvano solo “Armonica”, lo straniero senza nome interpretato
da Charles Bronson che suona la sua armonica per non dimenticare un
torto subito e alimentare la sua vendetta e Jill, la bellissima Claudia
Cardinale, l’unica donna, simbolo di coraggio e forza vitale: il film
si chiude su lei che sta creando la nuova citta’.
Sullo sfondo e’ sempre presente il Grand Canyon, a sottolineare l’omaggio al maestro del western, John Ford.

Alla classica dilatazione del ritmo, tipica di Leone, corrisponde
una dilatazione degli spazi, non solo quelli esterni, ma anche gli
interni degli edifici sono sviluppati con una profondita’ di campo
quasi teatrale: ci sono sempre almeno tre piani visivi su cui si
allineano i vari personaggi o semplicemente degli oggetti: quasi un
horror vacui in antinomia con le nude vastita’ del deserto americano.

Un gioco di contrasti: pieno/vuoto, campo lungo/primo piano (se
non dettaglio) che alimenta il senso del ritmo, la musicalita’ della
composizione visiva di Sergio Leone: indimenticabile la sequenza
iniziale dell’attesa del treno dove nella totale mancanza di dialoghi e
nella quasi immobilita’ degli attori tutto e’ affidato al rumore della
pala del mulino, della goccia che cade sul cappello e al ronzio della
mosca.

Ancora una volta le musiche sono di Ennio Morricone che crea  temi  distinti per ogni personaggio.

Un film indubbiamente penalizzato dal piccolo schermo, per cui se
vi dovesse capitare l’occasione, come e’ successo alla sottoscritta, di
vederlo in un cinema non perdetela assolutamente.