Archive for dicembre 2010

Porco Rosso

dicembre 29, 2010

Porcorosso Marco Pagot, eroe dell’aviazione italiana durante il primo conflitto mondiale, si e’ trasformato in un maiale a causa di un maleficio. Nonostante questo, il prode aviatore, a bordo del suo idrovolante, combatte la sua guerra solitaria contro il fascismo e gli aerei pirati che infestano la costa dalmata.

Hayao Miyazaki, nel 1992 si regala quest’opera la cui trama fonde due temi molto cari al maestro giapponese, l’aviazione, passione del regista e attivita’ della sua famiglia e il cinema degli anni ‘20 e ‘30 sia in pellicola che d’animazione. Per i cartoni animati e’ evidente l’omaggio racchiuso nel cognome del protagonista, Pagot, come i celebri fratelli del cartone animato italiano. C’e’ poi la sequenza dentro il cinema dove Porco Rosso assiste a un cartoon in bianco e nero che cita il primo Topolino con un’eroina che ricorda Betty Boop.
L’atmosfera e’ quella delle pellicole belliche a cavallo degli anni ‘20-’30, che molto spesso avevano per protagonisti aviatori (Rivalita’ eroica, Angeli dell’inferno ecc..) Eroi solitari che combattevano per il loro onore e per la donna amata come dice la didascalia di apertura di Porco Rosso e non e’ neppure difficile ravvisare nelle le sembianze suine di Marco Pagot una certa somiglianza con Clark Gable.
L’elemento magico tipico di Miyazaki e’ presente anche questa volta, ma i contorni della maledizione restano sfumati: nulla e’ dato sapere sul perche’ Marco Pagot abbia assunto i tratti di un maiale e anche il finale del film resta aperto: il nostro eroe scompare nel nulla e non sapremo nemmeno per chi batte il suo cuore, se per la raffinata Gina o la giovanissima ragazza meccanico Fio.
Nonostante gli aspetti scanzonati, la pellicola si muove prevalentemente su due dimensioni di malinconia molto diverse, da una parte la fine dell’epopea eroica degli idrovolanti e dall’altra la pesantezza dell’incombente tragedia della Seconda Guerra mondiale. Su tutto domina l’ambientazione in un Italia di fantasia che un po’ sconcerta e un po’ incuriosisce lo spettatore italiano con la perfetta rappresentazione dei Navigli in una Milano pero’ senza il Duomo.

Tron

dicembre 26, 2010

Tron !982, Walt Disney
con Jeff Bridges, Bruce Boxleitner, David Warner, Cindy Morgan
regia di Steven Lisberger

A Kevin Flynn, giovane ingegnere elettronico vengono rubati alcuni progetti per videogiochi da un collega, Dillinger, che in seguito al successo dei prodotti diventa direttore generale della Encom, mentre Flynn viene licenziato. Per proteggere i documenti che dimostrano la vera paternita’ dei videogiochi, Dillinger crea un programma di controllo, MCP (Master Control Program) che pero’ si sviluppa autonomamente e si ribella alla volonta’ dell’uomo. Quando Flynn, con l’aiuto dei due colleghi cerca di violare il sistema da un computer interno alla azienda, MCP utilizza un programma laser in sperimentazione per smaterializzare l’uomo e introdurlo nel sistema operativo. In questa nuova dimensione Flynn trova la collaborazione di alcuni programmi che l’aiuteranno a combattere lo strapotere di MCP.

Ripasso obbligatorio per il film del 1982 il cui seguito, Tron Legacy, promette di essere il primo blockbuster del 2011.
Si tratta di una pellicola firmata Disney per un pubblico adolescenziale, i primi patiti dei videogiochi. Un’opera piacevole che applica una trama da avventure spaziali all’innovativo scenario dei videogiochi.
Tron e’ passato alla storia perche’ fu il primo film ad usare la computer grafica per intere sequenze. Oggi quegli effetti speciali risultano commoventi nel loro essere primordiali ma non hanno perso di fascino. C’e’ anzi un parallelo molto intrigante tra gli esordi della computer grafica e i film del cinema muto: l’uso del viraggio, la recitazione affidata principalmente ai volti con gli occhi pesantemente bistrati crea un rimando tra l’aspetto dei personaggi intrappolati nel sistema operativo e l’estetica dei film muti ed e’ tutto sommato consolante vedere come ogni nuova avventura del cinema parta dagli stessi stilemi.

L’armata Brancaleone

dicembre 21, 2010

Italia, 1966
con Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno, Maria Grazia Buccella, Barbara Steele, Carlo Pisacane, Folco Lulli
regia di Mario Monicelli

L'armatabrancaleone

Tra le masserizie che alcuni villici, sopravvissuti all’assalto di un borgo, tentano di vendere all’ebreo Abacuc, si trova una pergamena imperiale che consegna al cavaliere latore della missiva il feudo di Aurocastrum, nelle Puglie. Abacuc conosce un cavaliere spiantato e la banda lo convince a dividere con loro le ricche proprieta’ che la pergamena promette. Dopo alcuni tentennamenti il prode Brancaleone da Norcia decide di mettersi al comando dell’armata e raggiungere la Puglia tra mille avventure..

Le avventure di un’armata sgangherata e imbelle cosi’ rappresentativa di un modo di fare sconclusionato che il titolo del film e‘ entrato nel linguaggio corrente con questa accezione ed e’ accettato anche dai dizionari della lingua italiana.
Il film racchiude tutti i temi centrali della teoretica filmica del regista: il suo occhio benevolo verso i perdenti, messi alla prova dalla Storia e legati da un forte senso di amicizia virile. In questa compagine tutta al maschile non si puo’ non citare la geniale componente animalesca rappresentata da Aquilante, lo malo caballo assurdamente tinto di giallo, fedele compagno delle mille avventure del suo cavaliere, pur restando sempre recalcitrante ed infido.
Un capolavoro del cinema popolare che mischia con grande abilita’ il basso con l’alto. Tra le pellicole che stanno alla base della sceneggiatura firmata da Age e Scarpelli e lo stesso Monicelli, c’e’ anche La sfida del samurai di Kurosawa a cui si ispira, in maniera stracciona e balorda, il trucco di Brancaleone.

Teodoraebrancaleone

C’e poi un chiaro intento di affrancare l’immaginario medievale dal modello fantasioso di stampo hollywoodiano e allora ecco la reinvenzione del linguaggio con un volgare maccheronico divertentissimo. L’ambientazione e’ filologicamente perfetta e i luoghi in cui la pellicola e’ girata, situati prevalentemente nel Lazio settentrionale, conservano ancora una chiara impronta romanica. Su questo rigore architettonico si inseriscono i costumi eccentrici di Piero Gherardi che riescono a sottolineare la dimensione medievale senza stravolgerla. Caso emblematico la famiglia di Teofilatto dei Leonzi presso cui l’armata si reca per chiedere il falso ricatto del cavaliere: i personaggi vengono rappresentati nella maestosa ieraticita’ dello stile bizantino. La mollezza di una civilta’ decadente e’ invece affidata alla parlata di Teofilatto e ai gusti sessuali estremi della zia Teodora.
La sigla animata porta il tratto inconfondibile di Emanuele Luzzati.

Il film e’ il regalo di Natale di Raimovie: sara trasmesso alle ore 21,00 il 25 dicembre.

I Tudors – quarta stagione

dicembre 19, 2010

Itudors4 Anche se protagonista assoluto della serie dovrebbe essere Enrico VIII, a dare un certo spessore alle quattro stagioni de I Tudors resta la galleria di personaggi femminili che si inanellano nel corso della storia. Se nella prima stagione Margaret Tudor, la sorella del re, rappresentava il lato comico del serial, nel corso delle altre stagioni anche i personaggi femminili minori riescono a spiccare sul l’altrimenti piatto quadro storico delle battaglie politiche e religiose volute da Enrico. C’e’ una maggiore profondita’ di scrittura solo nel tratteggiare l’astutissima Lady Herford che riesce a mettere nel sacco il cardinale Gardiner quando l’accusa di essere luterana e quindi eretica, che nel raccontare le lotte interne ed estere che il sovrano deve domare.
Non mi pare che l’interesse per le figure femminili sia dovuto solo al loro rappresentare il lato romantico e quindi erotico della vicenda, lo stesso spirito voyeristico dovrebbe allora animare lo spettatore durante le scene di tortura che sono piuttosto dettagliate; non so quanto questo sia voluto, ma le diverse sfaccettature che le figure femminili mostrano nel corso della serie diventano quasi un compendio dei vari modi di sopravvivere delle donne in un mondo maschilista e ancora profondamente medievale come la corte di Enrico VIII. La quarta serie non raggiunge le vette della seconda ma la puntata migliore resta la quinta, quella del processo a Catherine Howard, quinta moglie del sovrano, decapitata per alto tradimento in quanto infedele al talamo nuziale: il montaggio alternato tra la messa a morte dei suoi amanti e la sua ultima danza solitaria racchiude l’intero destino di una fanciulla che ha puntato tutto sulla seduzione. Il momento della sua decapitazione con l’ascia che le stilla sul collo il sangue di Lady Rochford che l’ha preceduta al patibolo resta la scena indimenticabile dell’ultima stagione.
A dar vigore alle ultime puntate arriva il tatticismo della vedova Parr, ultima moglie di Enrico che riesce a sfuggire alle accuse di eresia e l’indurirsi del carattere di Lady Maria, figlia primogenita del sovrano che passera’ alla storia come Bloody Mary, per la furia con cui cerco’ di riconvertire l’Inghilterra al cattolicesimo.
Se il ritratto di Enrico VIII non e’ lusinghiero, la serie ce lo mostra come un sovrano capriccioso sempre pronto ad accusare i consiglieri del momento delle scelte che si sono rivelate sbagliate, non si puo’ essere altrettanto negativi con l’attore che l’interpreta, Jonathan Rhys-Meyers. Confesso che parte del mio interesse verso la serie nasceva proprio dal desiderio di vedere come avrebbero trasformato il bellissimo attore nel vecchio grasso e gottoso che fu Enrico nei suoi ultimi anni. Per quanto invecchiato dal trucco Rhys-Meyers non prova neppure ad assomigliare al vecchio sovrano: scelta intelligente, che evita l’impari confronto con l’Enrico VIII portato sullo schermo nel 1933 da Charles Laughton e che gli valse l’oscar come miglior attore protagonista per Le sei mogli di Enrico VIII (The Private Life of Henry VIII) di Alexander Korda.

EnricoVIII

Nomads

dicembre 16, 2010

Nomads Nomads
USA 1986
con Pierce Brosnan, Lesley-Anne Down
regia di John McTiernan

Los Angeles. Durante un turno di notte in ospedale, la dottoressa Eileen Flax visita un barbone farneticante. Prima di morire l’uomo l’aggredisce e la morde. Si scoprira’ in seguito che la persona scambiata per un barbone era un antropologo di chiara fama, Jean Charles Pommier. Intanto la dottoressa Flax, in conseguenza al morso, comincia a ricordare le ultime esperienze di Pommier..

Nel 1986 John McTiernan (Predator, Caccia a Ottobre rosso) debutta alla regia con questo piccolo cult horror che declina in maniera del tutto originale il tema del vampiro. Essendo un mistery di suggestione e ben poco di sangue, possiamo solo dedurre dal morso che unisce la mente di Eileen a quella di Pommier e dal fatto che i soggetti non impressionino la pellicola fotografica, che la banda violenta e sanguinaria che attira l’attenzione di Pommier sia un’accolita vampiresca. L’elemento gotico e’ in realta’ al servizio di una teoria antropologica ben piu’ intrigante, che le megalopoli, al pari dei deserti, possano ospitare delle colonie di nomadi.
Ben presto Pommier comprende che gli strani personaggi in cui si e’ imbattuto sono degli spiriti maligni attirati da scenari di fatti di sangue (la casa che Pommier ha preso in affitto a L.A. senza sapere che e’ stata teatro di morti violente) esattamente come le entita’ malefiche presenti nelle mitologie delle popolazioni nomadi da lui studiate. Forse pero’ si tratta solo di suggestione, del resto lo stesso Pommier nel suo incipiente delirio, ricorda le parole di un vecchio cacciatore inuit: quando ci si spinge troppo oltre, sul pak come nella vita, si finisce per superare il confine della realta’.
Dopo cinque lustri il film mantiene inalterato tutto il suo fascino, i segni del tempo si rivelano solo nell’uso spinto delle luci blu per gli esterni notturni che fa tanto anni ‘80 e tanto videoclip e a confermare la dimensione musicale troviamo il cameo di Adam Ant nel ruolo di Number One, il capo della banda.
Pierce Brosnan non e’ mai stato cosi’ bello e c’e’ uno strano incrocio nelle carriere dei due protagonisti: Lesley-Anne Down che nei titoli di testa viene prima di Brosnan, aveva avuto un inizio carriera prettamente cinematografico per poi specializzarsi in ruoli televisivi e la possiamo vedere quasi quotidianamente in Beautiful nei panni di Jackie Marone, la madre peperina di Nick. Pierce Brosnan invece aveva alle spalle una carriera squisitamente televisiva e Nomads e’ il suo primo ruolo da protagonista sul grande schermo sul finire della serie di successo Mai dire si’ (Regminton Steele) terminata nel 1987. Ben presto Brosnan avrebbe abbandonato del tutto il mondo della televisione per dedicarsi esclusivamente al cinema vestendo anche i panni del penultimo 007.

20 sigarette

dicembre 14, 2010

Aureliano Amadei nel 2003 ha 28 anni e aspirazioni nel mondo del cinema. Gli viene proposto un lavoro come aiuto regista per un film che si deve girare in Iraq e pur essendo un giovane alternativo di sinistra contrario alla guerra, Aureliano accetta l’impiego. Parte per il Golfo l’11 novembre 2003 e avra’ a malapena il tempo di fumare un pacchetto di sigarette prima di restare coinvolto nell’attentato di Nassiriya.

20sigarette

L’italia ripudia la guerra, declama la Costituzione Italiana e aldila’ di ogni considerazione politica dev’essere pur vero se da quasi un decennio siamo impiccati in uno sforzo bellico e 20 sigarette e’ il secondo film che si occupa di raccontare una guerra (o due?) cosi’ lontana e a cui siamo totalmente indifferenti. L’altra pellicola, per inciso, era Saddam dove la caccia al dittatore si rivelava un reality show. Anche la fiction televisiva si e’ limitata a un solo esempio di storia militare che narrava proprio di Nassiriya con Raoul Bova.
Siamo un popolo che non ama la retorica probabilmente e certamente siamo affaccendati in beghe ben piu’ pressanti che una guerra nel Golfo Persico a cui abbiamo espresso il nostro rifiuto quando e’ iniziata e poi ce ne siamo disinteressati.
Ben venga allora la pellicola di Amadei che attraverso la sua esperienza personale ci costringe a confrontarci con qualcosa che sembra essere stato rimosso, intitolazione di piazzette a parte.
La pellicola ha indubbiamente dei limiti, soprattutto la seconda parte, dopo il ritorno in Italia e il ricovero nell’ospedale militare romano, perde mordente e si trascina in sottofinali sempre piu’ sfilacciati in cui si sintetizza l’esperienza del libro scritto da Amadei, 20 sigarette a Nassiriya, e il segno indelebile che la traumatica esperienza ha lasciato anche nella sua vita di padre.
La prima parte del film e’ invece molto interessante nel descrivere i preconcetti che un ragazzo (e un mondo) pacifista ha nei confronti dei militari salvo poi trovarsi di fronte a persone ricche di umanita’ a cui lega di sincera amicizia in un sol giorno. C’e poi un’idea autoriale dietro la regia di questo film, quella di mostrare il momento della strage tutto in soggettiva, scelta intelligente dato che l’opera mette in scena un’esperienza personale, incidentalmente una delle piu’ grosse perdite che abbiamo registrato nelle missioni di pace, ma Amadei la racconta come una casualita’, con lo stesso spirito con cui si sarebbe potuta rappresentare una serata in discoteca funestata dall’incidente del sabato sera che cambia una vita ed e’ proprio il venire meno di questa idea accidentale che appesantisce la seconda parte.
Che non sia un film celebrativo e’ noto dall’uscita della pellicola al festival Venezia, non ci si aspetta pero’ di ridere cosi’ tanto in un film che ruota attorno a una tragedia, il cui aspetto drammatico e’ pero’ ben presente e si fa valere.
Ottima la prova di Vinicio Marchioni (Il Freddo di Romanzo criminale la serie) che sa passare dai panni algidi di uno dei capi della banda della Magliana al ritratto di un ragazzo spiritoso ed allegro messo a dura prova dal destino.

Noi credevamo

dicembre 13, 2010

Noicredevamo Angelo, Domenico ed Salvatore sono tre ragazzi cilentani che nel 1828 aderiscono agli ideali unitari e democratici della Giovine Italia di Mazzini. Salvatore, figlio di contadini, dovra’ ben presto abbandonare la cospirazione per sfamare la famiglia e sara’ ucciso come traditore da Angelo, che finira’ ghigliottinato in Francia dopo aver attentato alla vita di Napoleone III. Domenico, dopo aver trascorso decenni nelle carceri borboniche e aver visto confiscate le terre di famiglia, assistera’ al compimento dell’unita’ nazionale, ma la nuova nazione nasce gia’ preda di affaristi e maneggioni.

Che l’Italia fosse nata male, ce lo avevano gia’ raccontato ottimamente romanzi e pellicole, come Il gattopardo che pero’ avevano lasciato sullo sfondo l’epopea garibaldina narrando gli esiti infausti dell’Italia unita. L’opera di Martone si concentra proprio sulle figure che quelle lotte le combatterono credendoci fermamente, narrando quindi il crollo di un sogno: Mazzini appare nel corso del trentennio preso in esame sempre piu’ deluso e chiuso in se’ stesso, Garibaldi e’ solo un’apparizione lontana che sa pero’ infiammare gli animi, lo stesso Angelo diventa una maschera ridicola nel suo continuo tentativo di riscattarsi dall’assassinio di Salvatore ma restando comunque pavido e delatore.
La forza del film sta nel far emergere dai confusi barlumi dei ricordi scolastici figure dalla tragica portata: l’esito disastroso della spedizione di Pisacane e’ solo un racconto tra esuli a Londra ma basta a far risaltare il contrasto tra i fatti storici e il ricordo scolastico delle belle rime de La spigolatrice di Sapri (eran trecento eran giovani e forti e sono morti)

Noicredevamo

Ancora piu’ dirompente il divario tra storia e leggenda a proposito dello scontro del 1862 in Aspromonte tra garibaldini ed esercito regolare che costo’ a Garibaldi quella ferita ad una gamba su cui tutti, da bambini abbiamo canticchiato e giocato a recitare il ritornello con l’uso di una sola vocale (Goroboldo fo foroto).
Da un punto puramente cinematografico la pellicola si dimostra potente, un grande affresco storico che riesce ad avvincere lo spettatore. Ci sono momenti di grande forza evocativa come il tentativo insurrezionale in Savoia finito male e in un mare di nebbia. Per certi versi poi l’ho trovato molto viscontiano, molto vicino a Senso: gia’ solo l’idea di aprire il film con il passaggio di mano dei denari per sovvenzionare la rivolta..
A una grande correttezza filologica Martone unisce degli inserti di contemporaneita’ come il rudere in cemento armato che sovrasta una spiaggia calabrese in cui Domenico e Saverio trovano riparo mentre cercano di raggiungere i garibaldini: le conseguenze di quegli atti pesano ancora sul nostro presente.

Piccoli gangsters

dicembre 6, 2010

Piccoligangsters Bugsy Malone
Inghilterra 1976,
con Jodie Foster, Scott Baio
regia di Alan Parker

Nella New York del proibizionismo, Bugsy Malone e’ un pugile fallito che vive di espedienti alla corte di Lardo Sam, benche’ non faccia parte della gang del malavitoso. Pur non essendo indifferente al fascino della bellissima Tallulah, Bugsy si invaghisce di Santa, aspirante cantante che sogna di trasferirsi ad Hollywood, ma quando la banda di Lardo Sam e’ sgominata dalla nuova mitragliatrice di Dan lo Sciccoso, Bugsy utilizza tutto il suo ingegno per aiutare il boss, anche a discapito della sua relazione con Santa..

Dopo il grande successo degli anni ’30 il gangster movie decade per l’avvento del genere noir che dominera’ tutti gli anni ’40 e ’50 del cinema americano. Verra’ recuperato dalla nuova Hollywood, movimento che esplode proprio grazie a film come Gangster Story dove i gangster sono visti come eroi individualisti che si mettono contro la legge per la propria liberta’, a differenza dei gangster movie anni ’30 dove la connotazione del gangster era sempre negativa. Il nuovo filone ebbe talmente successo che uscirono degli epigoni molto piu’ scanzonati tra cui La Stangata e questo celebre musical che ha per protagonisti solo ragazzini che si sparano torte in faccia e guidano perfette riproduzioni di auto anni ’30 a pedali. L’idea dei protagonisti bambini non e’ proprio originale, dato che deriva da una serie di celebri comiche di Hal Roach Simpatiche canaglie (titolo originale Our gang) prodotte tra il 1922 e il 1944, andate in onda con grande successo anche sulla RAI.
L’accusa piu’ comunemente rivolta a Piccoli gangsters e’ di scadere nel lezioso, ma pensando alle trasmissioni televisive piu’ di successo degli ultimi tempi (Io canto e Ti lascio una canzone) la critica e’ totalmente da rivedere grazie al fascino acerbo di Jodie Foster e resta memorabile per il suo tragico realismo, il numero che introduce i disoccupati alla mensa dei poveri a cui Bugsy si rivolge per costituire la nuova banda di Lardo Sam.
Gran finale a liberatorio a torte in faccia.
Nel 2003, dopo che il film si e’ classificato 19° tra i cento migliori musical di tutti i tempi e’ stato girato un documentario Bugsy Malone: After They Were Famous che ripercorre le carriere successive al film dei piccoli protagonisti.

La donna della mia vita

dicembre 2, 2010

LaDonnadellamiaVita Leonardo, un ragazzo timido e imbranato con le ragazze, con un grosso complesso di inferiorita’ verso il fratello maggiore Giorgio, don giovanni impenitente, si e’ appena ripreso da un tentato suicidio per amore e conosce Sara, anche lei reduce da una storia fallimentare con un uomo sposato. Leonardo e Sara si innamorano e la felicita’ sembra a portato di mano, almeno fino a quando non si scopre che l’ex di Sara era Giorgio, il fratello di Leonardo..

Un film che mi ha mandato in sollucchero: adoro da sempre la commedia sofisticata, molto poco praticata in questi ultimi anni, quindi mi godo con immenso piacere le poche pellicole che attengono con classe ed intelligenza al genere e plaudo al ritorno di Luca Lucini alla commedia brillante dopo il buon tentativo de L’uomo perfetto (2005).
La commedia sofisticata mette alla berlina con pungente ironia le dinamiche sentimentali ed ha per sfondo l’alta societa’: l’errore pu’ frequente negli ultimi anni e’ di ambientare le commedie brillanti in diverse location internazionali finendo per disperdere il materiale in cartoline dalle citta’ piu’ belle del mondo. La donna della mia vita punta con intelligenza su un ambientazione tutta italiana, l’azione si svolge tra Roma e Milano ma e’ il capoluogo meneghino a fare da cornice al girotondo amoroso dimostrando un fascino da grande metropoli sia negli esterni che negli interni di lussuose abitazioni altoborghesi pur mantenendo intatta la sua tipicita’, vedi la Sandrelli e Lella Costa a passeggio nelle vesti inappuntabili delle sciure della Milano bene.
Il motore attorno a cui ruota la vicenda e’ tipicamente italiano, non sarebbe mai venuto in mente ne’ a Cukor ne’ ad Howard Hawks, il grande narratore della guerra dei sessi: a condizionare le personalita’ di Giorgio e di Leonardo, facendo del primo un playboy superficiale e del secondo un sensibile ragazzo intimidito dalle donne e’ la madre, l’immarcescibile mamma italiana. Alba e’ un ex signorina buonasera (altro tocco geniale per sottolineare una peculiarita’ italica) che ha piegato a suo piacere le personalita’ dei figli per coprire le conseguenze di una vita amorosa un po’ turbolenta. La interpreta una monumentale Stefania Sandrelli che dai tempi de La famiglia di Scola recita il ruolo della madre un po’ sventata (profetica la battuta “uno scemo in famiglia ci vuole”) la cosa stupefacente e’ che l’attrice sa rivestire ogni suo personaggio di sfumature diverse invece di ridurlo a cliche’.
La commedia sofisticata esige attori belli ma che sappiano anche recitare e anche questo assunto e’ rispettato dall’ultima opera di Lucini: gareggiano in bravura oltre che in belta’ i due belloni Gassman e Argentero, se il primo procede (ottimamente) per sottrazione, colpisce soprattutto la prova di Luca Argentero che conferma il suo talento soprattutto nella prima parte del film quando veste i panni dell’imbranato.

L’illusionista

dicembre 1, 2010

L'illusionista A sette anni da Appuntamento a Belleville, Sylvain Chomet torna ad incantarci con il suo cinema d’animazione sospeso e dolcemente melanconico che ne L’illusionista si mette al servizio di una sceneggiatura del grande comico francese Jacques Tati la cui poetica e’ caratterizzata da uno spaesamento stralunato molto vicina al mondo di Chomet, che gia’ lo omaggiava nel precedente lungometraggio.
Il plot e’ un classico del cinema, molto amato soprattutto dai grandi comici: un vecchio artista in declino che si prende cura di una ragazza e la accompagna sulle soglie della vita o del successo (penso al Calvero de Le luci della ribalta) per farsi poi da parte.
Chomet ci racconta con divertente leggerezza l’ultima un tournée in Inghilterra di un illusionista francese che ha le fattezze dello stesso Tati e si chiama Tatischeff, come il comico di origine russa che ha poi scelto come nome d’arte Tati. L’elemento metacinematografico e’ sempre presente tanto che a un certo punto il mago si rifugera’ in un cinema e incontrera’ il suo doppio “reale” in uno spezzone di Mio zio proiettato sul grande schermo.
La malinconia e’ certamente il tema centrale della pellicola: il declino dell’illusionista corrisponde anche alla fine di un certo teatro di varieta’ che viene soppiantato dalla televisione e dai nuovi idoli musicali per cui le ragazze si strappano i capelli (l’azione si svolge a cavallo degli anni ‘50/’60). Nonostante il mood malinconico non siamo di fronte a un film triste, anzi si ride molto e non bisogna neppure farsi intimidire dalla presunta difficolta’ di una pellicola quasi muta dove le poche parole pronunciate sono quasi un grammelot tra il francese di Taticheff, l’inglese dei vari coprotagonisti e lo scozzese della ragazza. La comicita’ non ha bisogno di parole, ce lo insegnarono proprio Charlie Chaplin e Jacques Tati dopo l’avvento del sonoro.