Archive for giugno 2016

Femmina Folle

giugno 28, 2016

Leave Her to Heaven
Usa 1945 20th Century Fox
con Gene Tierney, Cornel Wilde, Jeanne Crain, Vincent Price
regia di John M. Stahl

Leavehertoheaven

La bellissima ereditiera Ellen Berent incontra su un treno lo scrittore Richard Harland e se invaghisce subito. Anche l’uomo non sa resistere al fascino di questa donna bellissima che sembra sapere benissimo quello che vuole. Quello che Ellen vuole è la completa attenzione dell’uomo che ama e per ottenerla sarà disposta a tutto..

Femmina folle è il terzo titolo della rassegna Gene Tierney, La diva fragile, un ciclo di quattro film restaurati da Lab80 che sta circolando in diversi cinema d’essai.
Il film è un celeberrimo melò di Stahl, che parte come un’appassionato film sentimentale per calare lentamente lo spettatore nel delirio di Ellen che ucciderà prima Danny, il fratello malato del marito, poi si lancerà dalle scale per eliminare il figlio che porta in grembo e che sente già come una minaccia al rapporto esclusivo con Richard e infine, gelosa dell’amicizia tra la cugina Ruth e Harland arriverà a suicidarsi facendo passare la propria morte come l’omicidio commesso da Ruth per liberarsi della moglie dell’uomo che ama.
La copia restaura recupera pienamente la brillante fotografia di Leon Shamroy che venne premiata con l’Oscar. Il colore e i paesaggi incantevoli fanno da contraltare al delirio di Ellen, come l’incredibile bellezza di Gene Tierney che per questo ruolo venne nominta agli Oscar.
Femminafolle
Cornell Wilde, attore che nell’infanzia amavo molto, si rivela essere piuttosto rigido nella recitazione ma anche questo elemento serve a rappresentare lo sconcerto di fronte a una ossessione inattesa e incontrollabile.
Molto più incisiva, dal punto di vista recitativo, la presenza di Vincent Price, ex fidanzato di Ellen e procuratore distrettuale nel processo per la sua scomparsa. La coppia Tierney/Price è piuttosto rodata tanto che girarono insieme tre film, di cui Femmina Folle è il secondo.
Sono passate alla storia le scene dell’annegamento di Danny, con Ellen impassibile che lo guarda dalla barca dietro gli occhiali scuri e la caduta dalle scale per porre fine alla gravidanza, trovo memorabile anche la morte di Ellen, con quella mano che artiglia il braccio di Harland anche dopo il decesso e da cui l’uomo fatica a liberarsi e infatti, liberarsi dal giogo della moglie, costerà allo scrittore due anni di carcere.
Il film inizia con il ritorno dell’uomo dal carcere e viene raccontato come un lungo flashback lineare a cui segue l’happy end con Ruth; i titoli di testa sono raccontati attraverso le pagine di un libro che si apre, un metodo piuttosto usuale ma sono tutti elementi che servono a distanziare emotivamente lo spettatore dalla portata drammatica della vicenda.

La costola di Adamo

giugno 20, 2016

LacostoladiAdamoAdam’s Rib
USA 1949 MGM
con Katharine Hepburn, Spencer Tracy, Judy Holliday
regia di George Cukor

Quando una donna spara al marito dopo averlo sorpreso con un’altra, finisce la pace in casa degli avvocati Bonner: lui, Adamo, è il procuratore a cui viene affidata l’accusa mentre la moglie Amanda decide di difendere la donna tradita per dimostrare che le donne devono avere gli stessi diritti degli uomini, anche in materia di delitto d’onore.

Il sesto dei nove film girati dalla coppia Hepburn/Tracy è una raffinata commedia diretta da George Cukor dove si trattano temi attualissimi ancora oggi senza un briciolo di retorica e chiosando con estrema leggerezza sui rapporti uomo-donna in termini sociali, civili e ovviamente sentimentali.
I due attori, legati da otto anni di relazione sentimentale sembrano portare in scena la loro vita quotidiana e i loro veri caratteri: lui pragmatico e conservatore lei combattiva e protofemminista (Kate Hepburn era figlia di una suffragetta).
Con estremo acume lo script della coppia di sceneggiatori, anche loro sposati nella vita, Ruth Gordon e Garson Kanin, sa rovesciare gli stereotipi dei sessi: sarà l’austero procuratore a mettersi a frignare per commuovere la moglie quando sull’orlo del divorzio dovranno vendere l’amata fattoria di cui hanno appena saldato il mutuo, mentre Amanda porta in tribunale una schiera di donne che nei vari settori, da quello scientifico alla forza bruta, non hanno nulla da invidiare agli uomini.
AdamSrib

Alla delicatezza del rapporto della coppia di avvocati che, almeno i primi tempi, riescono a duellare in punta di fioretto in tribunale per poi coccolarsi a casa, fa da contraltare la rudezza degli Attinger, composta dal marito fedifrago e dalla moglie sparatrice: quello che raccontano in tribunale è un legame senza nessun rispetto per l’altro che sfocia nella violenza verbale e fisica ben prima del colpo di pistola che li porta in tribunale.
Ad interpretare Doris Attinger c’è Judy Holliday, attrice molto amata da George Cukor, che le fece vincere l’oscar l’anno successivo per Nata Ieri, portando sul grande schermo la pièce teatrale che aveva rivelato l’attrice.
Warren Attinger è interpretato da Tom Ewell che nel 1955 sarà ancora un marito con fantasie extraconiugali nel suo film più famoso Quando la Moglie è in Vacanza dove è coprotagonista accanto a Marilyn Monroe.
Curiosamente gira il suo film più noto con la Monroe, Come Sposare un Milionario, anche l’altro coprotagonista de La Costola d’Adamo, David Wayne, qui nelle vesti del vicino di casa dei Bonner che corteggia Amanda e le dedica la canzone Farewell Amanda, composta da Cole Porter.

The nice guys

giugno 16, 2016

Theniceguys

Los Angeles 1977: il picchiatore Jackson Healy e il detective Holland March, si incontrano in maniera non proprio amichevole: su commissione Healy spacca un braccio a March per convincerlo ad abbandonare un caso che sta seguendo. Ben presto però i due si ritrovano a collaborare per ritrovare Amelia, l’unica sopravvissuta del cast di un film porno che scotta: il sesso è solo una copertura per svelare i raggiri sull’inquinamento dell’industria automobilistica..

Shane Black torna al mondo che gli è congeniale e che in parte ha inventato, o almeno aggiornato agli anni ’80, con la sceneggiatura di Arma Letale: la strana coppia malassortita da cui nasce un’amicizia vincente, nel caso di The Nice Guys i protagonisti sono così squinternati da essere tenuti a bada da Holly, la figlia tredicenne di Holland March, detective fallito ed alcolizzato per il senso di colpa per la morte della moglie. Tra gag surreali e battute fulminanti c’è anche spazio per creare dei personaggi profondi, oltre che divertenti.
La trama è rocambolesca e piena di colpi di scena ma estremamente divertente, la ricostruzione della Los Angeles di fine anni ’70 è perfetta a partire dalla scritta cadente di Hollywood, ai costumi e nella scena alla festa del re del porno in cui una ragazza viene cambiata per un tavolino vedo una citazione artistica delle donne-mobile di Allen Jones.
Questo intelligente divertissement è sostenuto magistralmente dai due interpreti: se Russell Crowe fa la parodia del suo ruolo da duro (e rincontra Kim Basinger vent’anni dopo L.A. Confidential) Ryan Gosling, che già aveva dimostrato una vena comico surreale in Lars e una ragazza tutta sua, rivela un talento grandioso per la comicità slapstick, degna delle comiche di Mack Sennett o Hal Roach.

Brigitte Helm

giugno 11, 2016

Brigittehelm

L’11 giugno 1996 moriva in Svizzera, ad Ascona, Brigitte Helm, icona del cinema (non solo) muto per il doppio ruolo di Maria e la donna robot in Metropolis. L’attrice ebbe una carriera fulminea: si ritirò dalle scene nel 1936 e non volle mai rilasciare interviste relative alla sua attività cinematografica.
Brigitte Eva Gisela Schittenhelm era nata a Berlino il 17 marzo 1906, ultima di quattro figli. Il padre militare morì nel 1913.

Metropolis

Quando nel 1924 Fritz Lang stava preparando I Nibelunghi, la madre di Brigitte inviò le foto della figlia a Thea von Harbou, moglie e collaboratrice di Lang.
La ragazza non venne selezionata ma per il lavoro seguente, Metropolis, Thea si ricordò di lei, che nel frattempo si era impiegata come segretaria negli studi cinematografici della UFA.
Brigitte Helm entra nel cinema – e nella storia del cinema- con il doppio ruolo Maria e la Robot, impegnativo da un punto di vista artistico ma anche fisico visto il complicato costume che doveva indossare per il robot.

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L’esperienza con Lang non la soddisfa e Brigitte non volle mai più lavorare con il regista. Il terzo film lo interpreta nel 1928 per G.W.Pabst, il delirante Il giglio nelle tenebre dove interpreta una ragazza cieca.
Sempre nello stesso anno il regista la dirige anche in Crisi (Abwege).
Ancora nel 1928 è Alraune, ne La mandragora di Henrik Galeen: una donna amorale nata da un esperimento genetico. Brigitte torna ad interpretare lo stesso ruolo due anni dopo nel 1930 in Alraune la figlia del male, remake sonoro del film di Galeen diretto da Richard Oswald.

Alraune

Con Alraune l’attrice viene identificata totalmente con la vamp mangiauomini, ruolo che riveste egregiamente anche ne L’argent di Marcel L’Herbier, sempre del 1928.
Superato senza problemi lo scoglio del sonoro la carriera della Helm procede bene: nel 1932 lavora ancora con Pabst ne L’Atlandide dove interpreta Antinea, la regina del regno perduto.

L'atlantide

Se ha accettato l’imposizione dell’esclusivo ruolo di femme fatale che lei non ama, Brigitte Helm non accetta l’intromissione in campo cinematografico del regime nazista e nel 1936 si ritira definitivamente dalle scene, lasciandosi alle spalle una serie di occasioni mancate che avrebbero potuto fare di lei una grande diva: imdb dice che Josef von Sternberg aveva pensato in origine a lei per L’angelo azzurro.
Non volendo trasferirsi in America, la Helm nel 1935 rifiuta il ruolo de La moglie di Frankenstein di James Whale che fece la fortuna di Elsa Lanchester.
In quell’anno Brigitte Helm gira il suo ultimo film Il marito ideale diretto da Herbert Selpin e ripara in Svizzera perché il secondo marito era di origini ebraiche. Qui cerca di farsi dimenticare dal mondo del cinema ma la potenza del suo debutto resta indimenticabile.

La pazza gioia

giugno 9, 2016

Lapazzagioa

Beatrice Morandini Valdirana ricca snob bipolare, è in custodia giudiziara presso un centro di recupero ricavato da una proprietà di famiglia. Lega poco con le altre ospiti della comunità fino al giorno in cui non arriva Loredana Morelli, depressa, tatuata, reticente sul passato che l’ha condotta a Villa Biondi. Nella loro totale diversità le due donne trovano una complementarità che le unisce in modo indissolubile e quando capita l’occasione per scappare dalla struttura non se la lasciano sfuggire..

Non è il primo film in cui si ride molto del disagio mentale, penso a Si può fare di Giulio Manfredonia; di certo il merito di Virzì è quello di far capire, attraverso il pregresso delle sue protagoniste, quanto sia facile cadere nel disagio psichico con conseguenze anche serie, stiano attente quindi le tante persone che liquidano il film come una bella commedia sulla malattia mentale, pensando che non si parli di qualcosa che appartiene a tutti noi.
Senza pietismi ma con vera pietas Virzì racconta una delle figure più drammatiche del femminile, la madre suicida/infanticida, affidandola alla figura spigolosa di Micaela Ramazzotti. Dal punto di vista recitativo a mangiarsi la scena è però Valeria Bruni Tedeschi protagonista di una costante crescita recitativa negli ultimi film interpretati, scoprendo un’ irresistibile vena comica.
La scrittura si perde un po’ nel finale: sembra indecisa su quale strada prendere se osare una svolta drammatica od optare per un lieto fine ma forse vuole solo sottolineare il bivio a cui si trova una delle protagoniste.

The Blackbird

giugno 6, 2016

Theblackbird

Usa 1926 MGM
con Lon Chaney, Owen Moore, Renée Adorée
regia di Tod Browning

Il malfamato quartiere londinese di Limehouse è il regno del ladro Dan, soprannominato il Merlo (The Blackbird) fratello di The Bishop, prete sciancato di buon cuore che gestisce una missione per i poveri. In realtà The Bishop non esiste, è solo una messa in scena dell’astuto ladro per crearsi un alibi.
Dan è invaghito di Fifi Lorraine, stellina francese del locale notturno che frequenta abitualmente ma la ragazza gli preferisce West End Bertie, un ladro azzimato che bazzica il bel mondo per far fare incetta di gioielli ai suoi scagnozzi. Il Merlo cercherà in ogni modo di impedire l’amore tra Fifi e Bertie ma proprio il suo travestimento gli sarà fatale..

Il secondo film del rinnovato incontro di Lon Chaney con Tod Browning sotto l’egida di Irving Thalberg alla MGM, è un melodramma amoroso piuttosto lambiccato, vista anche la presenza di Polly Limehouse, ex moglie di Dan ancora innamorata di lui, che per gelosia verso Fifi scatena, senza volerlo, il dramma finale.
Anche le riprese a macchina fissa non deporrebbero a favore della pellicola ma Browning si conferma un grande costruttore di atmosfere, qui affidate a una selezione di volti inquietanti che popolano i bassifondi londinesi e Lon Chaney aggiunge quella patina untuosa ed disturbante che fa sì che ancora oggi il film riesca ad affascinare.
Fifi TheBishopCome nel precedente Il trio infernale del 1925 ritorna l’escamotage della doppia identità del ladro per avere sempre un alibi a disposizione.
Questa volta il temutissimo Blackbird ha come alter ego addirittura un prete che salva i poveri con la sua missione: forse il Merlo ha davvero un cuore migliore di quel che lui stesso crede, come sostiene Polly? Non è dato saperlo ma la cosa davvero interessante del film è che Lon Chaney, l’uomo dai mille volti in grado di deformarsi quasi a piacimento, si trasforma nello storpio Bishop direttamente in scena: con poco più di una piroetta davanti alla macchina da presa assumere la posizione contorta del personaggio.
Un urto con la porta spalancata dalla polizia che sta inseguendo Blackbird spezza la schiena di Dan che non può farsi vedere da un medico altrimenti si scoprirebbe la simulata deformità: Dan muore quindi effettivamente storpiato, secondo quella caratteristica legge del contrappasso cara al regista.
Una particolarità riguarda le didascalie: per sottolineare la diversa pronuncia degli abitanti di Limehouse dall’inglese perfetto di West End Bertie o altri personaggi si ricorre all’uso di apostrofi per contrarre frasi e suoni, caratteristica poi sviluppata negli errori grammaticali dei cowboy de Il Vento di Sjöström nel ’28.

Il Simbolismo

giugno 1, 2016

Simbolismoloc

Chiuderà domenica 5 giugno la mostra milanese sul movimento artistico che si sviluppa nell’ultimo quarto del XIX secolo.
Il simbolismo ha i suoi prodromi nell’opera poetica e critica di Charles Baudelaire, il primo ad avvertire la crisi del pensiero positivista che ha permeato buona parte del’800 a partire dalla rivoluzione industriale. Sul finire del secolo le certezze positiviste vengono minate dalle scoperte darwinane che tolgono all’uomo il primato e l’imprimatur divino, il negativismo filosofico di Nietzsche e Schopenhauer e l’affermazione del ruolo fondamentale dell’inconscio che emerge dagli studi di Freud.
AutoritrattoAlbertoMartini

Questi scossoni scientifici si riversano sull’arte e se per lungo tempo il simbolismo è stata considerata un’esperienza artistica di ambito franco-belga, la mostra milanese dimostra che il movimento, nelle sue varie declinazioni ha avuto dimensioni ben più vaste e indaga con maggiore attenzione il simbolismo italiano, forse un poco più tardo ma con esiti notevoli e mettendo in luce anche artisti poco conosciuti come Alberto Martini a cui è dedicata un’intera sezione con il suo autoritratto e diversi disegni tratti dalla serie de La Parabola dei Celibi e da quella ispirata ai racconti di Edgar Allan Poe. Anche Attilio Mussino, Attilio Bonazza, Pompeo Mariani,Francesco Lojacono, Cesare Laurenti, Cesare Saccaggi e Domenico Baccarini dimostrano tutta la vitalità della stagione simbolista italiana.
La donna è sicuramente la figura centrale del movimento simbolista che la esalta nel suo duplice aspetto di tentatrice voluttuosa e demoniaca e più che alle due versioni de Il peccato di Franz von Stuck penso all’inquietante Donna serpente di Achille Calzi, opposta alla forza generatrice del femminile rappresentato da Segantini o Bistolfi.
Carezze (L’Arte) di Fernand Khnopff, che campeggia sulla locandina, ben racchiude il duplice femminino; il quadro è esposto in Italia per la prima volta.
La tentazione femminile è ovviamente rivolta alla voluttà dell’eros che i simbolisti coniugano sempre con thanatos come dimostra La Sirena di Giulio Aristide Sartorio: il vigoroso e sensuale gesto del pescatore verso la bianca e abbandonata figura femminile trova soluzione nell’angolo sinistro del quadro, dove giacciono le ossa di chi ha già ceduto alla mortale tentazione della sirena.
La mitologia affascina molto i simbolisti, in particolare il mito di Orfeo a cui è dedicata un’intera sezione.
GiorgioKienerkIlDolore

Sezioni sono dedicate ai più illustri esponenti del movimento: a Odilon Redon è riservata una sala con otto delle sue litografie più bizzarre, il belga Felicien Rops è presente nella sezione iniziale dedicata a Baudelaire di cui illustrò Les Épaves e ha un sala dedicata a dieci suoi disegni, mentre una sezione è dedicata ai dieci disegni della serie Il Guanto di Max Klinger, a cui anche Francesco De Gregori ha dedicato una canzone.
Bocklin e Moreau sono uniti nell’analisi nel loro ritorno al mito: L’isola dei morti in mostra è una copia di Otto Vermehren ma da Le sirene di Moreau si capisce quando Matisse abbia preso dalla lezione del suo maestro.
Anche i Nabis vantano una sala dedicata a loro con opere del fondatore Serusier e del più celebre esponente Maurice Denis, anche se il mio quadro preferito resta Il mare giallo di Georges Lacombe.
La mostra si conclude con gli artisti italiani che meglio hanno saputo coniugare la lezione simbolista con lo stile liberty: Giorgio Kiernek si ispira chiaramente a Mucha nel trittico de L’enigma umano, mentre Galileo Chini sembra trovare ispirazione per il suo gusto decorativo nella lezione di Klimt, a cui attinge, ma con esiti molto diversi, anche Vittorio Zecchin: quattro pannelli del suo ciclo de Le Mille e una notte concludono la mostra.

Il Simbolismo
dal 3 febbraio al 5 giugno 2016
Palazzo Reale – Milano