Archive for aprile 2021

Quella sporca ultima meta

aprile 22, 2021

The Longest Yard
USA 1974
con Burt Reynolds, Eddie Albert, Ed Lauter, James Hampton, Michael Conrad, John Steadman, Harry Caesar, Charles Tyner, Mike Henry, Jim Nicholson, Bernadette Peters, Pervis Atkins, Tony Cacciotti, Anitra Ford, Richard Kiel, Mort Marshall, Ray Nitschke, Tony Reese, Sonny Sixkiller, Robert Tessier, Dino Washington, Ernie Wheelwright, Steve Wilder, George Jones, Donald Hixon, Joe Kapp, Don Ferguson, Wilbur Gillan, Joe Jackson, Sonny Shroyer, Howard Silverstein, Ray Ogden
regia di Robert Aldrich



The longest yard


Paul Crewe, ex campione di rugby beccato a vendere le partite della propria squadra, vive alle spalle della fidanzata e quando la lascia rubandole la macchina, finisce in galera. Lo accoglie il capitano Knauer che con modi bruschi lo invita a declinare l’offerta che il direttore del carcere sicuramente gli farà, cioè di occuparsi della squadra di rugby delle guardie. Crewe ubbidisce al capitano e il direttore Hazen lo spedisce ai lavori forzati più duri, Crewe finisce per cedere e accettare la proposta del direttore, quando gli propone di fare iniziare il campionato con una squadra più debole, il direttore decide di creare una squadra di galeotti di cui Crewe sarà il capo. Dopo le molte peripezie per creare la squadra, la partita si rivela più complicata del previsto per le guardie così Hazen corrompe Crewe per ottenere la vittoria, l’uomo accetta con la promessa che le guardie non infieriranno sui detenuti ma Hazen invita i secondini a fare proprio il contrario così Crewe torna in campo e per la prima volta in vita sua combatte per un ideale, vincendo



The longestyard-


Il genere carcerario è sempre stato un modo per ricreare un microcosmo in cui sottolineare lo scontro violento tra potere costituito e losers dove il primo si sente in diritto di sopraffare il secondo per le colpe che sta scontando. Quando si unisce al genere sportivo, apoteosi di retorica e di senso di rivalsa i risultati difficilmente non sono coinvolgenti e Quella sporca ultima meta ne è un’ottima riprova.
Alla regia troviamo il veterano Robert Aldrich, regista che sempre indagato il tema del conflitto e della violenza che ne consegue, tema che sviluppa molto bene anche in questa pellicola, anche se la materia è leggera e non mancano momenti comici: la malta negli stivali con l’altro galeotto è una vera gag muta sottolineata dalla classica musichetta delle comiche.



Quella sporca ultima meta


Il tema principale sarebbe il riscatto del cinico campione Crewe che ha sempre messo i soldi prima di tutto, rovinando la sua carriera vendendo le partite, una cosa che non comprendono neppure i galeotti più efferati tra cui vige comunque un senso dell’onore. Crewe quindi deve prima consolidare la sua reputazione presso gli altri carcerati che sono attirati dal far parte della squadra solo per poter menare i carcerieri senza conseguenze. Ben presto prevale il tema dello scontro caro al regista e tutto si trasforma in uno scontro tra ordine costituito prevaricante e i carcerati che a modo loro conservano il senso del rispetto e che con divertente furbizia ribattono i colpi di violenza gratuita dei secondini.


Quellasporcaultima meta


La galleria di personaggi è perfetta: dal grande e scemo al grande e ultraviolento, la spia che provoca l’incendio della cella in cui muore Caretaker, il braccio destro di Crewe, l’ex gloria sciancata che vuole provare per l’ultima volta il piacere di segnare, la discriminante razziale, con i galeotti di colore che accettano di giocare solo per vendicarsi dell’ennesimo sopruso fatto all’unico di colore che era entrato in squadra.



Quella sporca ultima meta


Anche dalla parte dell’ordine costituito la piramide gerarchica è perfetta nelle facce e negli atteggiamenti al culmine c’è il direttore Hazen, dall’apparente bonomia che nasconde la violenza più bieca come dimostrato nella scena del post partita.
Molto bello l’inseguimento iniziale di Crewe in fuga con l’auto dell’ex e memorabili le scene della partita con lo split screen.

La settima vittima

aprile 16, 2021

The Seventh Victim
USA 1943 RKO
con Tom Conway, Jean Brooks, Hugh Beaumont, Kim Hunter, Isabel Jewell, Evelyn Brent, Feodor Chaliapin Jr., Erford Gage
regia di Mark Robson


The Seventh Victim


L’educanda Mary Gibson viene informata dalla rettrice del collegio che da sei mesi si sono perse le tracce di sua sorella Jacqueline che ha smesso di versare la retta scolastica. A Mary viene lasciata la scelta di andarsene o restare nella scuola mantenendosi come insegnante per le ragazzine più piccole. Mary decide di andarsene a New York in cerca della sorella scoprendo che Jacqueline ha venduto il salone di bellezza alla socia, Esther; le sue indagini la portano a una locanda italiana, dove Jacquilne ha affittato una stanza, quando viene aperta dentro si trova solo una sedia e un cappio ma il dottor Judd tranquillizza Mary dicendole che l’allestimento era solo un modo per tenere a bada le manie suicide di Jacqueline. Intanto un detective che si è offerto di aiutare Mary viene ucciso e la ragazza scopre che la sorella ha un marito segreto, di cui si innamorerà ma soprattutto che la sorella è entrata nella setta satanica dei Palladisti e che le sue confidenze allo psichiatra ne hanno decretato la messa a morte per aver infranto il vincolo di segretezza. Mary e is suoi amici riescono a salvare Jacqueline, perlomeno dalla setta…



La7mavittima


La settima vittima segna il debutto alla regia di Mark Robson, montatore dei grandi successi RKO firmati da Val Lewton che lo prende sotto la sua ala protettrice per il debutto dietro la cinepresa.
La trama è piuttosto complicata, a volte poco chiara e piuttosto lenta ma i topos del cinema lewtoniano ci sono tutti: un culto arcaico, la camminata notturna con i rumori che amplificano la sensazione di essere seguita della protagonista della scena; il buio che fa scattare la paura dell’inconoscibile.
Ci sono anche altri elementi che rendono indimenticabile la visione del film: il cappio nella stanza vuota è certamente una di quelle, la prima apparizione di Jacqueline a quasi metà film con un dito sulle labbra per dire alla sorella di fare silenzio per poi chiudere la porta.
Alcune scene sono state d’ispirazione per altri famosissimi horror: in particolare la scena in cui Esther va a minacciare Mary entrando nel suo appartamento
mentre lei è sotto la doccia pare avere ispirato nientemeno che la scena della doccia di Psycho, mentre la congrega di stregoni perfettamente integrati nella società ritorna nei vecchi borghesi che infestano il palazzo di Rosemary’s baby.
Sconcerta il senso di nichilismo che emana dal film, aperto e chiuso dagli stessi versi del poeta inglese John Donne sull’ineluttabilità della morte a cui [attenzione spoiler] Jacqueline non sfugge: nonostante la determinazione nel resistere alle pressioni di avvelenarsi dei palladisti, quando viene salvata la ragazza si reca nella sua stanza nelle locanda e incontrando sui gradini una ragazza malata che improvvisamente si sente in grado di affrontare la vita, le risponde con l’ennesima allusione alla morte.
L’attrice che interpreta Mimi è Elizabeth Russell, la stessa che ne Il bacio della pantera chiama sorella Irena, anche Tom Convay veste i panni del dottor Judd nel capolavoro dell’anno precedente.

La ragazza che sapeva troppo (2016)

aprile 14, 2021

The Girl with All the Gifts
GB 2016, Netflix
con Gemma Arterton, Glenn Close, Sennia Nanua, Paddy Considine, Anamaria Marinca, Dominique Tipper, Fisayo Akinade
regia di Colm McCarthy


The Girl with All the Gifts


Una terribile infezione fungina trasforma le masse in zombie famelici, i pochi sopravvissuti al contagio vivono in campi di sicurezza protetti dall’esercito nella speranza che presto si trovi un vaccino all’infezione. La ricerca della cura si effettua sui famelici di seconda generazione: bambini che nonostante la presenza del fungo nel loro cervello sono riusciti a mantenere le capacità intellettive, in pratica degli ibridi tra umani sani ed infetti. In uno di questi centri vive Melanie, una ragazzina molto sveglia che per la sua innata gentilezza si attira le simpatie della maestra Justineau che la tratta con umanità. Il centro è diretto dalla dottoressa Caldwell che vede nei bambini solo delle cavie per portare a termine le sue ricerche. Il giorno in cui dovrebbe dissezionare il cervello di Melanie, il centro cade sotto l’invasione dei famelici, riescono a fuggire la dottoressa Cadwell con alcuni soldati di protezione e la maestra Justineau che si porta dietro anche Melanie che l’ha salvato durante gli scontri con i famelici. La presenza della ragazzina è guardata con sospetto dagli altri membri ma Melanie sa rendersi utile e farsi ben volere…



Thegirlwithallthegifts


Non ho mai avuto particolare simpatia per gli zombie: vedo quotidianamente gli esiti delle azioni di una massa di gente senza cervello che non sento la necessità di seguirne le avventure sul grande schermo, confesso di non aver visto nemmeno Walking Dead.
Fatta questa doverosa premessa devo dire che La ragazza che sapeva troppo mi è piaciuto, molto meno la fantasia dei titolisti italiani che hanno ripiegato sul titolo di un film di Bava del 1963 che non ha nulla a che spartire con la tematica del film Netflix.
Il titolo originale che in italiano suona (bene) “La ragazza che aveva tutti i doni” fa riferimento al mito di Pandora, una storia molto amata da Melanie. L’attenzione forse non dovrebbe essere posta sulla scatola affidata alla donna che conteneva tutti i mali del mondo che Pandora si fa sfuggire per curiosità, trovando sul fondo la speranza: di speranza non ce n’è molta nel finale del film, caso mai un rovesciamento delle parti piuttosto sardonico. Il punto da tener presente del mito di Pandora è che si tratta della prima mortale, quindi la prima della sua specie, senza far troppo spoiler questa considerazione giustifica i comportamenti della ragazzina nel finale senza farli apparire un plot twist troppo azzardato.
LaragazzachesapevatroppoLa particolarità del film è quella di tenere il tema degli zombie sullo sfondo, il tema cardine è il rapporto tra “speci” diverse: Melanie è una mutante in bilico tra due razze, la curiosità e la simpatia innata ne fanno un’adorabile ragazzina in contrasto con gli aspetti violenti della sua natura dovuti alla simbiosi con il fungo. Della razza puramente umana Melanie ha anche il bisogno di affetto materno e forse uno dei momenti più belli del film è la carezza sulla testa della maestra Justineau a cui fa seguito la scena che illustra la vera natura dei bambini rimasta fino a quel punto sconosciuta allo spettatore.
Melanie sembra preferire la razza umana ai suoi simili anche se è spesso discriminata ma quando troverà altri famelici di seconda generazione saprà scegliere in piena coscienza da che parte stare.
E’ interessante l’attenzione per tutti i punti di vista: anche la Cadwell ha le sue ragioni nel vedere nell’adorabile mutante solo una cavia, ultimo tassello da sacrificare per debellare una terribile pandemia; Helen Justineau è solo una maestra molto empatica che si trova coinvolta suo malgrado in eventi molto più grandi di lei.
Ottimo il cast dove spicca la debuttante Sennia Nanua nel ruolo di Melanie; buona la messa in scena di una metropoli abbandonata ormai riconquistata dalla natura: il grande albero fungino avvolto attorno alla torre è di grande impatto e ricorda le grandi radici che avviluppano il sito archeologico di Angkor, consolidando l’idea di una civiltà tramontata.

Mank

aprile 10, 2021

USA 1020, Netflix
con Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Arliss Howard, Tom Pelphrey, Sam Troughton, Tuppence Middleton, Tom Burke, Joseph Cross, Ferdinand Kingsley, Jamie McShane, Toby Leonard Moore, Monika Gossmann, Charles Dance
regia di David Fincher


Mank


1940: la RKO affida al giovane genio della radio e del teatro, Orson Welles, l’opportunità di girare un film in totale libertà, il giovane regista si affida per la sceneggiatura a Herman J. Mankiewicz, brillante soggettista con l’irrefrenabile passione pe l’alcol. Mankiewicz, detto Mank, scrisse la sceneggiatura di Quarto Potere da infermo, con una gamba fratturata a seguito di un incidente d’auto. Relegato nel deserto del Mojave con un’infermiera, la segretaria e la presenza di John Houseman, braccio destro dell’impegnatissimo giovane genio, a controllarlo. Il copione ha per protagonista Charles Foster Kane, magnate della carta stampata che ha molte analogie con William Randolph Hearst, di cui Mank fu per lungo tempo amico, soprattutto grazie all’affinità elettiva con Marion Davies, l’attrice amante ufficiale di Hearst. Terminata la sceneggiatura e conscio del suo valore, Mank si batterà con Welles per mantenere il nome sullo script che vincerà l’oscar nel 1942.



Mank-


Il primo maggio 1941, cinque giorni prima del 26° compleanno di Orson Welles ci fu la prima assoluta di Quarto Potere, film che ancora oggi viene considerato il più bello di sempre o al massimo tra i film più belli di sempre; il sessantesimo anniversario della celebre pellicola viene allietato dall’uscita di Mank il biopic che David Fincher dedica allo sceneggiatore e che sicuramente farà incetta di Oscar alla Notte degli Oscar del 25 aprile.
Il film nasce da una sceneggiatura del padre di David Fincher, Jack che il figlio voleva portare sul grande schermo fin dagli inizi della sua carriera ma negli anni ’90 un film in bianco e nero era praticamente improponibile e solo oggi, grazie alla disponibilità di Netflix, il regista è riuscito a realizzare l’opera secondo i suoi desideri.



Mank


Mank è molte cose: uno spaccato quasi perfetto della Hollywood anni’30 di cui ha il merito di far rivivere i tycoon da Louis B. Mayer al suo pupillo Irving Thalberg, scomparso a soli 37 anni di polmonite. L’elite hollywoodiana si ritrova alla corte del magnate dell’editoria W.R.Hearst che ha per amante ufficiale Marion Davis, un’attrice del muto che passa senza problemi la transizione al sonoro, un grande talento per la commedia ma il potente compagno la preferiva in ruoli drammatici impedendole così di diventare una stella di prima grandezza.
Mankiewicz fu per lungo tempo un invitato di Hearst che ne apprezzava le battute fulminanti ma l’alcolismo molesto finì per farlo allontanare come finì per rovinargli la carriera.
Il lato più metacinematografico è certamente quello sulla lavorazione del film più famoso della storia del cinema, Quarto potere il capolavoro di Orson Welles, Fincher ne ripropone lo stile nei campi lunghi e nelle inquadrature con il soffitto e indaga anche i diversi pesi tra gli autori di un’opera filmica con lo sceneggiatore che si batte perché anche il suo nome compaia tra gli autori della sceneggiatura.



Mank


Il lato più interessante, e quello che ha fatto riprendere a Fincher il progetto accantonato da tempo, è il parallelo tra la strumentalizzazione mediatica degli anni ’30 e quella odierna. Il film si prende certe libertà nel dire che le manovre degli studios spinsero Mank ad allontanarsi dall’élite hollywoodiana e il personaggio del regista suicida per aver montato falsi cinegiornali è inventata, resta il fatto che quei cinegiornali furono creati ad arte e portarono alla vittoria del candidato repubblicano alla carica di Governatore della California a discapito del democratico Upton Sinclair: le fake news esistono da tempo, probabilmente immemore e non è per nulla consolante

Anima persa

aprile 6, 2021

Italia, 1977
con Vittorio Gassman, Catherine Deneuve, Danilo Mattei, Anicée Alvina, Ester Carloni, Gino Cavalieri, Michele Capnist, Aristide Caporale
regia di Dino Risi



Anima persa


Il diciannovenne Tino Zanetti vuole studiare pittura e si trasferisce dalla provincia a Venezia, ospitato dagli zii che vivono in una grande casa in decadimento. Lo zio Fabio è arcigno e severo anche con la moglie, la molto più giovane Elisa. Ben presto Tino si accorge di strani rumori e la cameriera Annetta gli rivela che al piano superiore vive recluso, Alberto, fratello pazzo di Fabio. Le confidenze dei due zii però rivelano a Tino una realtà ancora più inquietante…


Animapersa


Il film è tratto dal romanzo di Giovanni Arpino, Un’anima persa che non approvò la trasposizione cinematografica.
L’opera, considerata minore, rimane relegata nella filmografia del regista anche per il tema scabroso trattato, la pedofilia: il rapporto perverso che lega Elisa e Fabio li porta a inventarsi una realtà fittizia fatta di morti e fratelli immaginari per giustificare la scomparsa di un sentimento svanito con la normale crescita della bambina. Uno sguardo inquietante e a suo modo pietoso su uno degli abissi più orridi della follia umana.
E’ interessante lo sviluppo del film che parte da un topos classico del genere gotico, la porta chiusa dietro cui si celano i più oscuri segreti di famiglia e il divieto assoluto di varcarla, veto che ovviamente scatena l’irrefrenabile curiosità.



Anima-persa


Torna anche il rapporto de Il sorpasso: il giovane timido e senza esperienza affascinato suo malgrado da un adulto sicuro e saccente, se Bruno Cortona era l’apoteosi dell’ignoranza e della gaglioffaggine,  Fabio Stolz nasconde i suoi demoni dietro una facciata irreprensibile di conformismo -la tirata contro i cappelloni compagni del corso d’arte del nipote- e cultura: le continue citazioni letterarie, soprattutto in tedesco. Il doppio ruolo di Fabio e Alberto permette a Gassman di sfruttare tutto il suo grande talento di mattatore e Risi riesce a tenere a bada l’estro dell’attore mettendolo al servizio del film.
Se il giovane de Il Sorpasso ci lasciava la pelle, Tino si salva grazie alla fuga finale e all’amicizia con Lucia, la modella che posa al suo corso. La ragazza diventa sua confidente e lo aiuta nelle ricerche della tomba di Beba, la bambina morta, presunta figlia di Elisa.
Anima persa ha anche elementi thriller, piccoli indizi disseminati qua e là che lasciano intuire il legame malsano dei due coniugi: la voce infantile con cui Elisa si esibisce nel fatiscente teatro del palazzo, i continui riferimenti alle piante di Fabio, ingegnere, quando dovrebbe essere Alberto lo studioso di scienze naturali.



Animapersa


Venezia è l’ambientazione ideale per la vicenda: la bellezza decadente, le acque limacciose e piene di immondizie, la galleria di personaggi bislacchi sottolineano l’atmosfera putrescente e morbosa del film.