Archive for marzo 2010

Genova

marzo 31, 2010

Genova Genova
GB 2008
con Colin Firth, Catherine Keener, Perla Haney-Jardine
regia di Michael Winterbottom

Dopo l’incidente automobilistico che e’ costato la vita alla moglie Marianne e da cui sono miracolosamente uscite illese le due figlie, Joe, professore universitario, decide di lasciare Chicago e di trasferirsi in Italia per un anno. La sua sede d’insegnamento sara’ Genova.

Siamo di fronte a una piccola perla da annoverare tra i film invisibili: nonostante Michael Winterbottom abbia vinto il premio per la miglior regia al festival di San Sebastian, in Italia la pellicola soffre di una programmazione molto sparagnina concentrata soprattutto in Liguria e trainata dal successo veneziano di Colin Firth in A single man.
L’inizio del film e’ molto coinvolgente: la macchina da presa si muove dentro l’abitacolo dell’automobile cogliendo l’intimita’ giocosa di una madre in viaggio con le due figlie, l’adolescente Kelly e la decenne Mary che involontariamente causera’ la morte della madre.
La scelta radicale del padre di trasferirsi in un paese completamente diverso come l’Italia (di cui per altro la madre era originaria) inasprisce l’elaborazione del lutto da parte della famiglia che rischia di perdersi. Il naturale rapporto conflittuale tra sorelle viene esacerbato dal silenzio che avvolge la responsabilita’ di Mary nella morte della madre, Kelly ricerca spasmodicamente la vita buttandosi nel rapporto con l’altro sesso mentre la piccola sublima il suo senso di colpa affascinata dalla molteplice rappresentazione religiosa italiana: chiese e edicole mariane. Questo percorso psicologico si svolge nel centro storico di Genova in cui le ragazze faticano ad orientarsi e i carruggi con la loro oscurita’ squarciata da abbacinanti tagli di luce sono la rappresentazione ideale del iter obbligato(rio) per uscire dal lutto. Oltre a Genova altri luoghi della Liguria, ad esempio San Fruttuoso diventano le location mai banali che sottolineano l’evoluzione psicologica dei personaggi.
La pellicola si chiude con un andamento circolare della trama: Joe e le sue figlie si ritrovano dopo un altro incidente automobilistico che questa volta non ha conseguenze.
Cast di tutto rispetto: oltre a Colin Firth c’e Catherine Keener (la Nelle Harper Lee di Truman Capote: A sangue freddo) che qui interpreta l’amica italiana di Joe, da sempre un po’ innamorata di lui e si segnala Perla Haney-Jardine: la piccola B.B. Kiddo di Kill Bill affronta molto bene il ruolo complesso di Mary, mentre la bella Kelly e’ interpretata Willa Holland, la Kaitlin Cooper di The O.C.

Shutter Island

marzo 30, 2010

Shutterisland L’agente del FBI Teddy Daniels e il suo nuovo compagno Chuck Aule devono condurre un’indagine sulla misteriosa scomparsa di una detenuta nel manicomio criminale di Ashecliffe, che sorge su un’inaccessibile isola al largo delle coste del Massachusetts, Mentre l’indagine prosegue tra l’ostilita’ del personale di custodia, si svela una realta’ del tutto inaspettata..

Mi sembra naturale che l’approfondimento della tematica piu’ peculiare del cinema di Scorsese, la violenza come unica risposta ai tentativi di un individuo di sfuggire alle leggi ferree che regolano il suo gruppo sociale, portasse il regista newyorkese a cimentarsi prima o poi, con il mondo della malattia mentale nello spazio chiuso del manicomio.
Nel suo amore per il cinema classico americano, il maestro del noir postmoderno prende un classico plot destrutturato (siamo dalla parti de L’uomo senza sonno, tanto per intenderci senza svelare i colpi di scena) e lo riveste con lo stile del noir piu’ classico: ambientazioni, costumi, epoca e citazioni cinefile che vanno da Welles a Fuller, passando per la ricostruzione di atmosfere hitchcockiane. La perfezione si sarebbe raggiunta se il film fosse stato palindromo cioe’ se avesse retto sia la versione di Teddy che quella dei dottori del manicomio invece, nonostante l’aggrovigliarsi di colpi di scena nel finale, si conferma solo una delle versioni, ma il film regge bene questa veniale delusione. Si sarebbe potuta risparmiare anche qualche lungaggine di troppo ma pare che 138 minuti sia diventato il nuovo standard dei blockbuster hollywoodiani: che sia la lunghezza ideale per riempire un blu ray?

Dieci inverni

marzo 26, 2010

Dieciinverni
Dieci inverni e’ il lasso di tempo che ci mette a maturare l’amore tra Camilla e Silvestro che si conoscono sul traghetto appena arrivati a Venezia per intraprendere gli studi universitari. Dieci anni in cui il tempo del cuore dei due giovani non collima mai, tra altre storie, orgoglio e incomprensioni.
Il debuttante Valerio Mieli realizza un piccolo gioiello che coniuga la semplicita’ degli amori giovanili narrati da Eric Rohmer con l’andamento circolare della storia che trovera’ compimento dove era iniziata dieci anni prima con una notte d’amore negata (omaggio a Mitchell Leisen?) nella piccola casa sulla laguna.
L’inverno come metafora del freddo del cuore: infatti il giorno in cui il gioco tra Silvestro e Camilla si scioglie c’e’ finalmente un bellissimo sole.
Oltre a un clima poco cinematografico, anche la Venezia illustrata nel film non e’ quella turistica, ma la Venezia dimessa di chi ci vive quotidianamente, soprattutto dagli studenti che si devono arrangiare in appartamenti scrostati a prezzi esosi (vedi la sorta di basso “capolavoro di logistica”).
La fotografia di una Venezia insolita e perennemente nebbiosa salta all’occhio perche’ ormai gli angoli piu’ caratteristici e le belle giornate sono le location tipiche di film e fiction, soprattutto italiane e sinceramente colpisce anche la rappresentazione di una gioventu’ universitaria diversa dal modello imperante di Moccia o di quello di veline e tronisti: Isabella Ragonese non ha una scena in minigonna ma recita sempre in pantaloni e maglioni oversize. Finalmente sullo schermo un mondo che sappiamo esistere ma che non vediamo mai rappresentato e recuperare questo film al cineforum giusto il 25 marzo, e’ una lancia per spezzare l’omologazione tanto quanto guardare Santoro via web.

Donne senza uomini

marzo 24, 2010

Donnesenzauomini Nella Teheran del 1953, nei giorni del colpo di stato, si incrociano le storie di quattro donne: Munes che va contro la volonta’ del fratello pur di manifestare il suo impegno politico, la sua amica Faezeh, pudica ragazza che sogna il matrimonio e verra’ stuprata una sera per strada; Zarin, emaciata fanciulla consumata dal suo lavoro di prostituta e Fakhiri, moglie del generale che assumera’ il potere per gli occidentali: inseguendo un amore di gioventu’ la donna abbandona il marito e riapre la tenuta dove troveranno rifugio le protagoniste.

L’opera di Shirin Neshat e’ sicuramente imperfetta e risente dell’attivita’ primaria della regista, fotografa e artista di videoistallazioni, per cui il ritmo narrativo del film a volte e’ zoppicante e poco chiaro, ma l’occhio artistico della Neshat sa portare sullo schermo delle immagini dal forte impatto emotivo e simbolico e dunque la poesia che pervade la pellicola fa passare in secondo piano i problemi narrativi. Ispirandosi al romanzo omonimo di Shahrnush Parsipur, Shirin Neshat descrive con una delicata sensibilita’ che sa sfiorare anche il magico, la drammatica situazione di donne che non possono mai essere padrone del proprio destino e sono costrette a soccombere a un crudele mondo maschile che, come dice Zarin, vuole divorare tutto. La condizione femminile diventa quindi paradigmatica della situazione politica della nazione ridotta in poverta’ in nome dello sfruttamento petrolifero. I fatti politici del 1953 sono emblematici della situazione attuale, come conferma anche la dedica posta la termine del film: un pensiero a tutti coloro che da oltre cento anni si sono sacrificati e continuano a farlo perche’ l’Iran possa diventare un paese libero.

Mine vaganti

marzo 19, 2010

Minevaganti Tommaso torna a Lecce e confida al fratello Antonio che durante un’importante cena familiare rivelera’ di non aver studiato Economia e Commercio, come credono i genitori, ma di essersi laureato in Lettere e di voler fare il romanziere e di essere gay, ma durante la cena Antonio ruba la scena al fratello per fare a sua volta coming out..

Peccato che Ozpetek non sappia trovare un equilibrio ta i toni grotteschi e quelli piu’ malinconici di questa commedia familiare il cui incipit con il fratello che ruba la scena all’altro per proclamarsi gay e’ decisamente divertente, come la caratterizzazione della famiglia borghese omofoba, piu’ che altro timorosa del giudizio della mentalita’ bigotta della citta’ di provincia.
Troppe caratterizzazioni affollano la pellicola, alcune perfette come l’alcolizzata zia Luciana, mai piu’ ripresasi da una fuga in gioventu’ in quel di Londra, interpretata molto bene da una Elena Sofia Ricci imbruttita a puntino. Risultano un po’ meno comprensibili le due figure femminili legate all’amore impossibile, la nonna e Alba, la ricca socia del pastificio che si innamora di Tommaso.
Nel complesso comunque una commedia che riesce a divertire e che, se non altro, conferma l’abilita’ di Ozpetek nel dirigere gli attori.

Alice in Wonderland

marzo 18, 2010

Alice Kingsleigh e’ una ragazza diciannovenne decisamente troppo emancipata per l’epoca vittoriana: il giorno in cui il giovane lord Ascot la chiede in moglie, la ragazza decide di seguire un bianconiglio con l’orologio e si rituffa nell’avventure della sua infanzia che credeva essere solo un sogno…

AliceInWonderland

Tim Burton rilegge i personaggi di Alice nel paese delle meraviglie secondo la sua poetica: sono tutti freak con un lato oscuro ed anche i personaggi piu’ perfidi hanno un risvolto umano. Cosi’ non si puo’ non provare simpatia per la macrocefala Regina Rossa la cui crudelta’ nasce dal senso d’inferiorita’ verso la bellissima sorella, la leziosissima Regina Bianca. Anche nei nomi, Iracebeth e Mirana, la lotta tra le due sorelle regine richiama lo scontro tra Elisabetta I e Maria di Scozia, si intravede anche il quadro di un antenato ispirato al notissimo ritratto di Enrico VIII. Burton omaggia nella sua Regina Rossa Bette Davis, che vesti’ per ben due volte i panni dell’augusta sovrana ne Il conte di Essex e ne Il favorito della grande regina, fim che narrano i tormentati amori di Elisabetta con i suoi sottoposti, ripresi dalla passione che Iracebeth nutre per Stayne, il Fante di Cuori. E in fondo anche Anne Hathaway interpreta una regina Bianca che potrebbe ricordare la Maria Stuarda di Katherine Hepburn, esasperando le movenze che per un certo periodo fecero della Hepburn il veleno dei botteghini.
Johnny Depp, nei panni del Cappellaio Matto dimostra per l’ennesima volta la qualita’ della sua collaborazione con Tim Burton dando alla follia del cappellaio una vena drammatica perche’ la sua pazzia e’ frutto del dolore provocato dalla guerra e dalla distruzione.
Purtroppo la seconda parte del film trasforma il possibile ennesimo capolavoro in un‘opera minore. Man mano che la vicenda procede ci si discosta dalle peculiarita’ visive burtoniane, ad esempio mancano i suoi vertiginosi dolly verticali o a volo d’uccello, per sostituirle con un immaginario fantasy di mostri e scontri con armi magiche che hanno il sapore gia’ visto de Il signore degli anelli o Le cronache di Narnia e addirittura un retrogusto alla Harry Potter. Anche il finale cosi’ accomodante e la morale dell’essere quel che si e’, molto disneyana, tradiscono la teoretica burtoniana per sconfinare nel prodotto mainstream piu’ attuale testimoniato anche dalla canzone di Avril Lavigne piazzata in malo modo sui titoli di coda ad interrompere le musiche stranianti del fidato Danny Elfmann.
Andrebbe indagato se queste pecche nascono da pressioni della casa di produzione, in ogni caso possiamo accontentarci di quel che resta comunque un ottimo film firmato Tim Burton.

Antonio Albanese -Personaggi

marzo 15, 2010

Antonioalbanese Ho visto Antonio Albanese per la prima volta 17/18 anni fa, ai tempi di Su la testa!: un centinaio di chilometri nella nebbia padana per ritrovarsi in una discoteca brianzola dove il comico, con l‘ausilio del solo cappotto, passava da Alex Drastico ad Epifanio sottolineando come le ragazze fossero intenerite da quest’ultimo mentre gli uomini preferissero il cinico siculo. A distanza di tanti anni si constata con piacere la centralita’ dei due capisaldi della comicita’ di Albanese nella galleria di personaggi che il comico sta portando nei teatri.
Lo spettacolo comincia con L’ottimista alle prese con una valigia, a lui segue Il ministro della paura, il personaggio di Albanese che di solito mi inquieta di piu’. L’unico che puo’ futtersene del ministro della paura e’ ovviamente Alex Drastico e lo spazio dedicato a questo personaggio e’ forse il migliore dello spettacolo. Albanese domina il pubblico: gli basta fare una mossetta e strappa risate a crepapelle, ma a questo gioco segue il monologo piu’ inquietante dello spettacolo.
Non c’e’ intervallo ma il recital riparte idealmente dal Perego seguito dal comizio di Cetto Laqualunque. E’ noto quanto questo personaggio inquieti il suo interprete e Albanese passa buona parte del tempo fuori dai panni di Cetto per raccontare come il personaggio sia nato, dell’assurdita’ dei comizi a cui ha assistito per documentarsi. Si chiude con il sempre adorabile Epifanio che ci ripropone i suoi classici tormentoni (Sotto un mazzo di rose scarlatte..) e poi racconta la sua esperienza al servizio di leva.
Chicca finale Il sommelier, l’assurdo ma irresistibile personaggio che conferma quanto sia fondamentale la fisicita’ nella comicita’ di Albanese, assieme all’attenzione con cui il comico coglie i tic e l manie contemporanee.

Codice Genesi

marzo 5, 2010

Codicegenesi Futuro prossimo venturo: lo scontro tra le religioni porta inevitabilmente a un’esplosione nucleare. I sopravvissuti, presi da isteria, distruggono tutti i testi sacri. Eli si sente chiamato a portare in salvo l’ultima copia rimasta della Bibbia e a questa missione dedica trent’anni della sua vita finche’ sulla sua strada incontra Carnegie, un uomo violento che vuole impossessarsi del libro per governare meglio la citta’ che comanda..

Palloso western futuribile dove tutto sembra gia’ visto in migliaia di film precedenti, a partire dalla saga di Interceptor. Non si salva neppure quel che vorrebbe essere il fulcro originale della vicenda, la riflessione sulla religione e sui testi sacri e l’uso che se ne vuole fare. La meta del pellegrinaggio trentennale di Eli e’ l’isola di Alcatraz: nel medioevo prossimo venturo le inespugnabili carceri americane saranno i nuovi monasteri dove proteggere il sapere, tant’e’.
Il colpo di scena finale, la menomazione di Eli che probabilmente e’ il motivo per cui lui e’ stato prescelto, lascia il tempo che trova, mettendo al limite in dubbio la credibilita’ di molte delle scene precedenti.
Spiace molto per il cast coinvolto in questa operazione non riuscita, il film e’ l’occasione per rivedere Gary Oldman nei panni di un vilain che legge la biografia di Mussolini e ritrovare sul grande schermo Jennifer Beals, inoltre c’e’ un cameo di tutto rispetto per Tom Waits.
Spiace ancor di piu’ per lo Sphinx cacciato e mangiato (anche da un topo!) a inizio pellicola: povera mutazione genetica felina un tempo ispiratrice dell’E.T. di Rambaldi e oggi finita allo spiedo in un film mediocre!

Il figlio piu’ piccolo

marzo 4, 2010

Ilfigliopiùpiccolo L’ascesa dell’imprenditore Luciano Baietti e’ iniziata una quindicina di anni fa, il giorno in cui ha impalmato in chiesa la madre dei suoi due figli e subito dopo l’ha abbandonata fuggendo con gli appartamenti della donna che si era appena fatto intestare.
Oggi la Baietti Enterprise e’ la classica holding fatta a scatole cinesi per frodare il fisco che va avanti a bustarelle e raccomandazioni ma la bancarotta e’ dietro l’angolo e la magistratura e’ sulle tracce dell’imprenditore che per sfuggire al suo destino decide di rifarsi vivo con la famiglia che non sente da anni con la scusa di invitare il figlio piu’ piccolo al suo imminente secondo matrimonio ma in realta’ per intestare tutto al giovane Guidobaldo detto Baldo e lasciare lui nei guai..

Spaccato puntuale di un’Italia maneggiona e spudorata che farebbe meno fatica a lavorare seriamente che a costruire equilibri sempre piu’ fragili e indegni per sfuggire alle magagne precedenti. Le scene inziali dei consigli d’amministrazione disperati per cercare una via di uscita all’imminente catastrofe sono ansiogene e claustrofobiche. Il sottofinale amaro con l’addio tra Baietti e il suo consigliere Bollino, un perfido Luca Zingaretti, ha un tono malinconico e amaro che sembra mettere un punto a quarant’anni di commedia all’italiana: ecco la fine ingloriosa e patetica dei vari furbetti che il cinema italiano ci ha raccontato dai tempi de Il sorpasso.
Non meno inquietante e’ la figura di Fiamma, la moglie abbandonata e derubata dall’infingardo Baietti (che non per nulla la chiama la scemina): tra crisi isteriche e calma da psicofarmaci la sua ossessione amorosa per l’ex marito mette i brividi quanto la mancanza di scrupoli di lui.
L’unico candido e’ il figlio piu’ piccolo: Baldo che ama disperatamente i suoi genitori e si illude che possano tornare insieme. Ma anche attraverso questa figura di ingenuo dal cuore d’oro, non nuova nella filmografia di Avati, il maestro bolognese si permette di tirare qualche frecciatina al mondo del cinema, descrivendo uno studente del Dams sfigatissimo e con la (ormai) banalissima idea di girare un suo film tarantinesco.
Lo sguardo di Avati sui suoi personaggi, anche i piu’ meschini e’ sempre bonario quasi conciliante, non c’e’ l’intento di stigmatizzare i costumi, anche se la pellicola ha un’aderenza spaventosa con la realta’ odierna. Avati mantiene sempre quell’occhio disincantato e ironico tipico di un certo mondo di provincia che e’ la sua cifra stilistica e che puo’ deludere lo spettatore in cerca di una morale o di un messaggio piu’ forte.