Archive for febbraio 2010

Jekyll

febbraio 26, 2010

Jekyll E pensare che volevo pure registrarmela, questa nuova perla di Italia1, per la stima che nutro verso Gianluca Nicoletti che non sono mai riuscita a seguire in maniera continuativa nelle sue intelligenti trasmissioni radiofoniche.
Che Jekyll non fosse altro che una specie di Blob l’avevo immaginato ma non potevo certo supporre quanto fosse orrida la formula simil Blob accompagnata da un commento parlato, quanto potesse essere fastidiosamente ridondante e inutile una voce (in particolare poi quella sottile ed altezzosa di Nicoletti) che insiste a sottolineare il dettaglio piu’ squallido della scena incriminata.
L’ultimo blocco di programma riguarda poi Youtube e come prassi di diverse trasmissioni, si vanno a cercare le immagini piu’ pietose; stamattina l’attenzione era tutta per gli imbarazzanti addii al celibato pubblicati sul web. Questa morbosa attenzione per il peggio di Youtube mi sa tanto di disperazione di una televisione malata che cerca di dimostrare che c’e’ addirittura qualcosa di peggio delle brutture che mostra il mezzo televisivo, dimenticando che i filmini scemi del web sono figli della cultura televisiva piu’ deleteria.
Riifuggo quindi inorridita dall’incontro casuale con Jekyll con un grosso dispiacere per la caduta di Nicoletti, che evidentemente avra’ un mutuo da pagare pure lui per prestarsi a condurre un programma ideato e curato da Mario Giordano (e si vede!)

Promettilo!

febbraio 25, 2010

Promettilo! Quando lo stato serbo chiude la scuola del villaggio di cui Tsane e’ l’unico allievo, il nonno spedisce in citta’ il ragazzino con il compito di vendere la mucca e soprattutto di trovarsi una moglie. Appena Tsane arriva in citta’ gli viene rubata la mucca da una banda di malavitosi, gli stessi che vorrebbero indurre alla prostituzione la bella Jasna, la fanciulla di cui Tsane si e’ innamorato a prima vista..

La surreale favola di Kusturica, metafora della situazione serba, trova distribuzione in Italia a tre anni dalla presentazione del film al Festival di Cannes del 2007.
Quello che impressiona e’ che in questi tre anni i mali dello stato serbo stigmatizzati nella commedia sembrano aver dilagato anche da noi: le donne viste solo come oggetto di piacere, da scambiare per ottenere favori politici, del resto le puttane sono la piu’ grande risorsa della Serbia, dice Bajo, il boss che vive di racket e prostituzione, palazzinaro con il folle sogno di ricostruire in Serbia la prima copia delle Twin Towers distruggendo costruzioni di un certo interesse storico: si tratta di una vecchia fornace simbolo del lavoro e della fatica necessaria per la (ri)costruzione seria di una nazione ma il cinico faccendiere prevede che prima o poi si abbatteranno anche le piramidi, se intralceranno il progetto di un qualche oleodotto.
La disincantata critica politica si innesta in un contesto favolistico che vede la contrapposizione classica tra mondo contadino e vita di citta’ dove l’apparentemente sprovveduto villico rivela doti di astuzia non indifferenti che gli permettono di ricorrere a risorse inaspettate.
Girata con lo stile proprio di Kusturica caotico, surreale e grottesco, alla pellicola non mancano momenti di assoluta poesia (il bagno nella vasca piena di mele), con una fotografia che sembra ispirarsi a certe assolate commedie contadine russe di epoca krusceviana e del resto come non menzionare quell’adorabile Traby limousine!

A single man

febbraio 24, 2010

Los Angeles,1962. George Falconer e’ un raffinatissimo professore universitario vittima di una profonda depressione seguita all’improvvisa morte del compagno in un incidente automobilistico. Sopraffatto dai ricordi di 16 anni di vita in comune, Falconer trascina a fatica la sua solitudine tra l’attivita’ universitaria e la compagnia di Charlie, la sua migliore amica, sempre piu’ affascinato dall’idea del suicidio..


Asingleman

Quando sa essere beffarda la vita: nel giorno che Falconer ha scelto con precisione meticolosa essere il suo ultimo perche’ non sa piu’ sopravvivere alla perdita del suo grande amore gli incontri si fanno piu’ densi e aprono flebili spiragli sulla possibilita’ di un futuro che da tempo il protagonista non vedeva piu’; ma accantonati (o definitivamente abbandonati?) i propositi di suicidio, il destino gioca lo scherzo crudele dell’attacco di cuore, un cuore certo spezzato dal troppo dolore ma cosa avra’ pensato Falconer in quegli ultimi istanti? Sara’ stato felice di poter finalmente ritrovare il suo Jim o avra’ rimpianto la possibilita’ di un nuovo inizio di una vita che sembrava finita?
Un finale intenso per l’opera prima dello stilista Tom Ford che ha colpito per la naturalezza con cui il debuttante si e’ approcciato alla regia e alla scrittura filmica del romanzo di Christopher Isherwood. L’opera e’ indubbiamente raffinata ed elegante soprattutto nella composizione visiva anche se a volte si ha l’impressione di essere in uno spot pubblicitario, di quelli molto sofisticati che andavano di moda tra gli anni ‘80 e ‘90.
Meritatissima la Coppa Volpi per Colin Firth, (nominato anche agli Oscar 2010) dolente protagonista sulle cui spalle poggia tutto il film.

Il pianeta proibito – Musical

febbraio 22, 2010

Ilpianetaproibito L’astronave William S. e’ adibita al turismo spaziale. La guida il comandante Tempesta, playboy fanfarone alla testa di un equipaggio altrettanto balzano a cui si aggiunge un nuovo enigmatico elemento. Una pioggia di meteoriti costringe l’astronave a un atterraggio forzato su un misterioso pianeta abitato esclusivamente dalla bella Miranda, da suo padre Prospero, geniale scienziato dato per scomparso e dal robot Ariel…

Il pianeta proibito e‘ un celebre film di fantascienza del 1956, ispirato a La tempesta di Shakespeare; nel film compare uno dei primi robot della storia del cinema, Robbie, che divenne un giocattolo di grande successo. Da questo film, nel 1988, il commediografo inglese Bob Carlton trasse Return to the Forbidden Planet un rock musical, anzi un juke box musical, dato che le canzoni usate non sono inedite ma grandi successi anni ‘60 e’70 un po’ come Baz Luhrmann ha fatto per il suo Moulin rouge!.
Il musical con Lorella Cuccarini che e’ attualmente nei teatri, e’ l’adattamento italiano di questo spettacolo inglese, realizzato da un brillante Luca Tommassini che non teme di aggiungere al pastiche citazionistico, teatro elisabettiano, cinema e musica pop, il media televisivo. La possiblita’ di produrre un musical innovativo e grandioso nasce dal successo di X Factor e Tommassini compone meta’ del cast con ragazzi usciti dalle tre edizioni del talent show di Rai2, fa intervenire in maniera virtuale le tre icone del programma: Dj Francesco nelle vesti di uno speaker del telegiornale, Morgan nei panni quanto mai attuali del mostro sulla musica di Sympathy for the devil dei Rolling Stones e la Maionchi nientemeno che nel ruolo del presidente degli Stati Uniti che, come tutti i fan di X Factor sanno, non sa parlare l’inglese e a un certo punto dice le parolacce regolarmente bippate; una metateatralita’ che fa riferimento al mito televisivo che l’autore usa anche per la Cuccarini, quando nel corteggiamento con Tempesta gioca a fare Grease (la Cuccarini e’ stata protagonista dell’omonimo musical) e quando nel finale Prospero declama un monologo dove le citazioni di Shakespeare si mischiano con i versi di Vola.
Questo spettacolo mi ha anche riconciliato con Lorella Cuccarini, di cui devo ammettere non avevo una gran stima: dopo gli esordi con Pippo Baudo, la soubrette e’ passata a Mediaset finendo (si’, finendo!) a fare Paperissima, quando e’ diventata la regina del musical con Grease credevo che fosse l’ennessimo esempio di star televisa riciclatasi a teatro, in quel periodo lo facevano tutte, dalla Marini alla Parietti e ho sinceramente creduto che anche la Cuccarini avesse colto l’occasione. Invece vederla sul palco e’ stata una piacevolissima sorpresa: bravissima nel canto e nel ballo (ma non e’ una novita’) ha dimostrato una presenza scenica eccezionale soprattutto nell’assolo contro lo schermo bianco che man mano proiettava figurazioni astratte e quant’altro, uno spettacolo magnifico, che ho trovato piu’ innovativo del tanto decantato Avatar, mostrato anche a Sanremo ma che dal vivo e’ incredibile.
Eppure piu’ che su quel pezzo assoluto di bravura, l’emozione mi ha colto nel duetto tra Miranda e Tempesta dove l’amore scocca sui refrain delle piu’ note canzoni d’amore degli ultimi tempi, da Tre minuti dei Negramaro a Meravigliosa creatura della Nannini, da Gocce di memoria di Giorgia a Luce di Elisa e mentre gli interpreti duettavano, alle loro spalle si proiettavano immagini dell’edera che ricopre il balcone di Giulietta a Verona e tripudi di cuori e cupidi; a raccontarlo e’ una cosa melensa e anche la parte razionale del mio cervello era conscia di cio’ eppure sara’ stata l’onda dell’entusiasmo, la bravura degli attori, l’energia della sala.. fatto sta che la commozione prevaleva!
A Tommassini va quindi riconosciuto il merito di aver sprovincializzato il musical italiano con uno spettacolo ironico e divertente ma con estrema leggerezza il nostro ha anche dimostrato che si puo’ giocare con le citazioni del mezzo televisivo (la Vaudetti che fa gli annunci con un ditone all’E.T. con cui tocca lo schermo come le signorine buonasera di nuova generazione, la vecchia sigla rai di fine delle programmazione che scandisce l’intervallo), senza scadere nell’autoreferenzialita’ che la televisione ha verso se stessa e per cui viene notoriamente demonizzata. Se poi, intrigati dai risultati dell’ultimo Sanremo, sorvolando sulla boutade del Principe e del Pupo, ci si chiede il valore del talent show televisivo, questo o spettacolo e’ la risposta di un uso intelligente del talento canoro e soprattutto del consenso mediatico che puo’ portare anche su strade ben diverse dalla previdibile vittoria sanremese.

Ricky, una storia d’amore e liberta’

febbraio 15, 2010

Ricky Katie e’ la madre single di una bambina, Lisa e lavora in una fabbrica chimica. Un giorno sul posto di lavoro conosce Paco, emigrato spagnolo. Tra i due scoppia l’amore e nasce un bambino, Ricky. Quando Katie si accorge che la schiena del neonato e’ segnata da lividi sospetta che Paco lo maltratti; l’uomo, offeso, abbandona la famiglia ma al piccolo Ricky cominciano a spuntare le alucce…

Avevo un bel ricordo di Angel quindi fatico a contenere la delusione per l’ultima opera di Francois Ozon. Se debbo leggere questa nuova pellicola nell’ottica citazionista di Angel, che rappresenta una delle cifre stilistiche dell’autore francese, mi pare che Ozon, raccontando l’irruzione del fantastico nella piatta vita proletaria di Katie e Paco, superi il realismo alla Dardenne per ispirarsi direttamente ai nostri Zavattini e De Sica, soprattutto per l’attenzione posta nel cogliere le reazioni della piccola Lisa al mutare del suo mondo: l’arrivo di Paco e poi quello di un fratellino diverso, difficile da gestire.
Alla prima parte molto rigorosa di questo studio familiare segue la parte un po’ deludente dell’elemento fantastico. Certo l’idea del bimbo alato e’ davvero carina e simpatica e Ozon gioca furbescamente con la bellezza del neonato biondo e dall’occhio ceruleo che parte a razzo con le sue alucce, tutto cio’ strappa sorrisi e si accaparra benevolenza ma la morale banalotta del “if you love somebody set him free” e’ davvero debole e scontata, forse meriterebbe piu’ attenzione quel sorriso finale di Lisa in motorino, quando i genitori hanno imparato a prestare attenzione a cio’ che eccezionale non e’, ma anche la morale del saper trovare l’eccezionalita’ nella normalita’, alla fin fine risulta superficiale.

Good Morning Aman

febbraio 12, 2010

Aman e’ un ragazzo somalo, trasferitosi a Roma nella prima infanzia; soffre di insonnia e trascorre le notti sui tetti dei palazzi. Una notte incontra Teodoro, ex pugile quarantenne in profonda crisi depressiva, tra i due nasce un’amicizia..


Gooodmorningaman

Non e’ un paese per neri, titolava un servizio di una testata sportiva de La 7 andato in onda questa settimana e la parafrasi del titolo del romanzo di McCarthy si adatta bene anche la vicenda di Aman. Lui in realta’ italiano ci si sente, ha i modi indolenti dei poveri ma belli del neorealismo rosa o de I Vitelloni: tampina ragazze rigorosamente bianche e lavora come lavamacchine in un autosalone di lusso con la certezza di poter essere un grande venditore, ma il suo capo lo mette regolarmente al suo posto e anche Teodoro gli fa presente che non si e’ mai visto un negro vendere macchine.
Il rapporto con Teodoro e’ strano e misterioso, il ragazzo teme anche delle avances sessuali da questo strambo quarantenne che non esce di casa da tre anni, ma non e’ un rapporto di sesso quello che interessa a Teodoro, che continua a riempire di soldi le tasche di Aman, le motivazioni sono meno banali e per certi versi piu’ egoistiche e daranno uno scossone al ragazzo che ne trae uno spunto per maturare e seguire l’esempio dell’amico Said.
Good Morning Aman e’ un film complesso, probabilmente riuscito solo in parte anche a causa di un certo compiacimento dell’autore di insistere su stilemi registici come l’estrema sfocatura: la macchina da presa e’ sempre addosso a personaggi, anche se l’estrema apertura dell’obbiettivo non riesce/vuole penetrare la loro interiorita’.
Sicuramente di estremo interesse la prova attoriale di Valerio Mastandrea: Teodoro entra nella sua lunga galleria di personaggi disadattati, incapaci di gestire la loro vita, ma l’ex pugile si distingue dagli altri “sfigati” di Mastandrea per il mistero ambiguo e cattivo che nasconde soprattutto nello sguardo creando una caratterizzazione inattesa e inquietante.

Il concerto

febbraio 11, 2010

Ilconcerto Unine Sovietica 1980, il talentuoso direttore d’orchestra Andrej Filipov si oppone al diktat brezneviano di estromettere i musicisti di origine ebrea dall‘orchestra, per questo motivo viene umiliato con l’interruzione del concerto e la retrocessione: restera’ sempre nell’organico del Bolshoi ma come addetto delle pulizie. 30 anni dopo Filipov e’ ancora la’ a pulire il teatro e un giorno, mentre lucida la scrivania del direttore, intercetta il fax di un celebre teatro parigino che propone una data per un concerto: Filipov decide di spacciare i suoi vecchi orchestrali per l’orchestra ufficiale e dirigire ancora una volta..

Dopo un decennio da Train de vie (1998) Mihaileanu torna a imbastire un’altra truffa, questa volta pero’ non e’ la sopravvivenza a spingere i protagonisti a fingersi gli orchestrali ufficiali del Bolshoi, ma il bisogno di rivalsa. Purtroppo sono passati 30 anni e il mondo e’ cambiato: alla nomenclatura russa si e’ sostituita una classe dirigente rozza e prepotente la cui messa alla berlina sostiene brillantemente la prima parte della pellicola, ambientata a Mosca, una Mosca a due facce, quella perfettamente linda della Piazza Rossa, meta di turisti e quella squallida dei quariteri popolari dove Filipov cerca di ritrovare i componenti della sua storica orchestra.
Come manager della sua scalcagnata banda Filipov chiama l’uomo che trent’anni prima stronco’ pubblicamente la sua carriera, l’indefesso comunista Ivan Gavrilov. Anche per Gavrilov Parigi e’ un mito dove ricostruire un’internazionale comunista e anche lui dovra’ scontrarsi con una realta’ ben diversa.
Sberleffo senza riguardi, quello di Mihaileanu per la Russia contemporanea, ma anche la Francia da sempre rifugio privilegiato degli esuli russi non e’ messa meglio: il teatro Chatelet accetta le bislacche richieste del manager di Filipov perche’ molto convenienti e quindi adatte a ripianare i conti del teatro sull’orlo della banca rotta.
A vent’anni dalla caduta del muro la riflessione del regista sullo stato della cultura in Europa e’ amarissimo: i due blocchi si sono sciolti nella medesima acquiescenza al dio denaro. Non c’e’ pero’ nessun rimpainto dell passato, i terribili danni della dittatura comunista emergono nella seconda parte del film quando entra in scena la giovane violinista Anne Marie Jaquet, interpretata da Mélanie Laurent, la Shosanna di Inglourious bastards che veste ancora una volta i panni di un’ebrea orfana a causa di una dittatura e che agisce tra le mura di un (cine)teatro parigino.
La messa in scena del concerto finale e’ travolgente e la commozione della musica e della vicenda si stemperano grazie ai fotogrammi che raccontano il futuro dei protagonisti strappando al pubblico le ennesime risate nate da un umorismo caustico che trova alimento in quello spirito mitteleuropeo che all’inzio del secolo scorso ci regalo’ maestri della comicita’ come Lubitsch e Wilder, di cui Mihaileanu sembra seguire le tracce.

Tra le nuvole

febbraio 10, 2010

Tralenuvole Ryan Bingham e’ un tagliatore di teste, licenzia le persone per le aziende con forti esuberi. Svolge il suo lavoro con sereno distacco, lo stesso che impiega in tutti i settori della sua vita: amore, famiglia.. Perche’ Ryan vive tra le nuvole: con un lavoro che lo vede sempre in aereo -300 mila miglia l’anno- sorvola la vita con un bagaglio leggero. Il suo unico obiettivo e’ collezionare le carte di fidelizzazione piu’ esclusive che gli permettono di ricevere trattamenti di riguardo, come saltare le code evitando ancora una volta il contatto con le persone.
Ryan fa del non luogo la sua vita: alberghi aeroporti, duty free.. tutta quella finta cortesia e perfezione gli permettono di svicolare con il suo bagaglio leggero.
Le cose cambiano quando anche la sua azienda deve rivedere i costi, a Ryan non spetta il licenziamento, ma qualcosa di peggio: restare a terra e svolgere il suo lavoro da un monitor. Per salvare il suo stile di vita perfetto Ryan deve dimostrare che il progetto della neolaureata rampante e’ inadeguato e intanto gli tocca fare da tutor alla collega con il fastidio di portarsi dietro una ragazzina saccente e ficcanaso. Ovviamente il contatto forzato scatenera’ un effetto domino per cui Ryan rivedra’ tutta la sua vita, dall’occasionale storia di sesso con una disinvolta quarantenne al suo ruolo nell’ambito familiare, partecipando alle nozze della sorella minore rappresentato con tutto l’armamentario di un volgarotto matrimonio di provincia, ma conosciamo tutti il valore “delle buone cose di pessimo gusto”.
Una messa in scena dalla forte valenza, seconda sola alla ripresa dall’alto delle citta’ in cui atterra ogni nuovo volo di Ryan: all’inizio e’ una trovata piacevole che ha il sapore della scoperta dell’arrivo in una nuova citta’, poi diventa straniante e simbolica del cambiamento che si sta operando nel personaggio.
Non arrivera’ l’happy end perche’ nella vita anche se impari il valore dei sentimenti non e’ che le cose si aggiustano al volo: Ryan ricomincia a volare sentendo finalmente il peso di una vita disancorata e forse in un futuro… chissa’, avra’ qualcosa di irrinunciabile da mettere nel suo zaino.

Avatar

febbraio 1, 2010

Che delusione questo Avatar! Una delle trame piu’ piatte della storia del cinema, che non poteva esser certo risollevata da una visione 3D! Tutto e’ talmente prevedibile che non c’e’ nulla di emozionante, neppure la distruzione di una foresta millenaria ha procurato la benche’ minima reazione al mio cuore, pure ecologista. Tacciamo poi sui personaggi tagliati con l’accetta che trovano il loro culmine nel comandante dei marines che e’ praticamente la parodia del soldato duro e puro: fisico tarchiato e massiccio alla Big Jim, grinta e determinazione da vendere che fanno apparire Rambo una pavida femminuccia.
Ma questi potrebbero esser difetti su cui chiudere un occhio, questo film non lo si va a vedere per la trama ma per l’avanguardia tecnologica. Effettivamente quella c’e’: la scena in cui Neytiri abbraccia l’umano Jack Sully, e’ davvero perfetta, l’incontro tra l’attore in carne e ossa e il personaggio digitale e’ credibilissimo. Davvero con questo film la storia del cinema potrebbe cambiare perche’ tutto diventa possibile. E allora analizziamolo questo primo passo nel mondo della totale liberta’ creativa: gli animali che popolano Pandora sono creati mettendo insieme pezzi di diversi dinosauri, io adoro i dinosauri, volevo pure fare la paleontologa ma l’immaginario preistorico al cinema comincia oggettivamente a stufarmi, suggerisco di aprire un bel bestiario medievale per trarre un’ispirazione originale.
Vogliamo parlare del Toruk, intrepido pterodattilo alieno, signore assoluto dei cieli di Pandora che si rivelera’ fondamentale per combattere i terrestri? Si distingue dagli altri uccelli addomesticabili per i colori sgargianti, fiammate di rosso e giallo decorano la sua pelle nera: ma non e’ dagli anni ‘60 che i giovani ribelli decorano le loro auto con lingue di questi colori?

<centerAvatar

Neppure la flora brilla per originalita’, brillano solo le fosforescenze kitsch gialle e viola e l’albero della vita non e’ altro che un salice piangente i cui rami sono formati da fibre ottiche, ma del resto siamo in un mondo in cui la connessione e’ tutto e i Na’vi incorporano la loro personale chiavetta USB biologica nella folta treccia.
I Na’vi sono bellissimi e perfettamente omologhi, tutti con la medesima sfumatura di azzurro, lo stesso fisico snello e muscoloso, nessuna ruga o difetto fisico, del resto questo nazismo estetico e’ supportato dalla loro stessa Dea Madre: se la ferita si rivela troppo grave e’ meglio che la persona sfregiata muoia, come tocca alla dottoressa Grace (Sigourney Weaver, che anche nell’avatar non sa rinunciare al nasino alla francese invece di sfoggiare il naso camuso che contraddistingue la popolazione aliena). Io non lo trovo un messaggio granche’ edificante che si ripete anche nel finale dove l’energia vitale di Jake si trasferisce nel suo avatar e vissero tutti felici e contenti. Peccato che l’umano Jake fosse paraplegico e benche’ sia ovvio che per vivere con la nuova razza che ha scelto debba usare il corpo che e’ piu’ congeniale a quel mondo, sotto sotto secondo me passa un messaggio leggermente discriminante.
In sostanza mi chiedo dove finisce tutta la liberta’ creativa che l’avanguardia tecnologica di Avatar ci offre, se il film si limiita a riproporci in costosa chiave digitale la stessa omologazione culturale che possiamo trovare nel piu’ becero prodotto televisivo?