Posts Tagged ‘Train de vie’

Jojo Rabbit

ottobre 10, 2020

Germania, USA 2019
con Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Archie Yates, Rebel Wilson, Alfie Allen, Stephen Merchant
regia di Taika Waititi


Jojorabbit


Johannes Betzler ha dieci anni nella Germania nazista del 1945, il padre è al fronte, la sorella maggiore è morta, la madre per quanto dolce ha mille impegni e Jojo, succube della propaganda, ha come amico immaginario niente meno che il führer
in persona, che lo sprona ad essere coraggioso: quando a un campo della gioventù hitleriana il ragazzino non ha il coraggio di uccidere un coniglio diventando per i compagni Jojo Rabbit, sarà proprio Hitler a incoraggiarlo a lanciare una granata per dimostrare di essere coraggioso. Il gesto costa a Jojo delle ferite sul volto e una leggera zoppìa che lo escludono dalle attività militaresche ed è proprio rientrando a casa prima del previsto che il ragazzino scopre che la madre nasconde una ragazzina ebrea. Non potendo denunciarne la presenza per non fare incriminare la madre, a Jojo non resta che cercare di studiare il pericolo esemplare giudeo con cui si trova a convivere…

Ormai è tradizione (credo tutta italiana) far uscire un film che tratti il tema del nazismo in prossimità del Giorno della Memoria, con esiti molto diversi. Jojo Rabbit è un ottimo film che appartiene al filone che osa deridere il dramma nazista, a partire da Il Grande Dittatore, il solitamente dimenticato Vogliamo Vivere! di Lubistch per arrivare a Train de Vie e a La vita è Bella; con le pellicole citate Jojo Rabbit condivide solo il spirito ironico e graffiante ma i referenti sono ben altri.
Colori e atmosfere rimandano a Wes Anderson, soprattutto l’inizio al campo della gioventù hitleriana che non ha una chiara connotazione temporale, potrebbe essere un campo estivo organizzato da nostalgici, facendo capire da subito che il film si rolge soprattutto ai rigurgiti neofascisti dei nostri tempi.



Jojo Rabbit


L’unico amico di Jojo, Yorki, ricorda molto il Piggy de Il signore delle mosche, classico film per ragazzi che analizza la nascita del totalitarismo; la somiglianza non è solo fisica ma anche nel ruolo: nel film di Peter Brook il ragazzino diventa la memoria storica del gruppo, la parte razionale che viene eliminata, anche Yorki spiega le cose a Jojo ed è quello che nei tragici giorni della caduta di Berlino comunica a Jojo che Hitler si è suicidato nel bunker.
I toni drammatici ovviamente non possono mancare: la morte della madre, inattesa e toccante con Jojo che le allaccia le scarpe, lui che non era mai in grado di farlo bene, improvvisamente si ritrova adulto e solo (o quasi) nell’inferno della resa, le immagini della città distrutta rimandano a Germania Anno Zero e una volta di più comprendiamo il suicidio di Edmund nel film di Rossellini che molto probabilmente sarebbe anche il gesto di Jojo se non avesse a casa Elsa, il vituperato nemico di cui si è innamorato.



Jojo rabbit


Il messaggio e la positività del film sta tutto nell’incontro dell’altro: la convivenza forzata che diventa amicizia e il primo amore di Jojo. Lo scoprire che quanto ci è stato insegnato ad odiare non è diverso da noi ma più simile di quanto si creda (la condivisione della solitudine) e nonostante lo strazio della perdita alla fine dell’orrore si può riuscire a ballare sulle note di Heroes di David Bowie cantata in tedesco, una canzone che ti frulla in testa dall’eroico sacrificio del capitano Klenzendorf.

Marc Chagall

gennaio 21, 2015

MarcChagall La retrospettiva completa del grande pittore ha il pregio, non solo di mostrare l’evoluzione creativa di uno dei più noti artisti del XX secolo, ma di rivelarne l’estrema sensibilità che traspare dallo sguardo delle foto che illustrano il pannello della biografia.
March Chagall non è solo il sognante pittore di figure volanti ma un’artista che ha sempre mostrato interesse per le diverse correnti pittoriche cimentandosi con esse, soprattutto dopo il primo viaggio a Parigi, pur restando fedele al fantastico mondo chassidico degli ebrei russi: davanti ai suoi quadri più leggiadri una, forse neanche tanto strana, associazione d’idee mi ha fatto pensare alla vitalità surreale del film Train de vie.
Chagallloc Se la pienezza della vita traspare nelle opere della seconda metà degli anni ’10, dopo il matrimonio con l’amata Bella, al rientro dal primo viaggio a Parigi, in quadri come La passeggiata che campeggia sulla locandina o Il poeta giacente, Chagall sa presentire gli orrori della guerra e descriverne tutta la tragedia fin dagli anni’ 30 in opere come La caduta dell’Angelo o Incendio sulla neve che hanno la stessa potenza che possiamo trovare in Guernica di Picasso.
Non è neppure un caso strano che il Palazzo Reale di Milano dedichi questa mostra a Chagall a un anno di distanza dalla mostra su Picasso, entrambi gli artisti, con esiti speculari si sono imbevuti delle avanguardie artistiche sapendole piegare alla propria personalita profondamente legata alla tradizione locale da cui provenivano espressa nel simbolismo degli animali totemici (il solo toro per Picasso, il gallo la mucca o l’asino per Chagall).
Chagallpicasso Nonostante il successo, la felicità ritrovata accanto alla seconda moglie Vava, dopo la scomparsa di Bella, il tratto di Chagall difficilmente torna alla levità e alla luce giovanile, a dimostrazione dell’enorme sensibilità del pittore, dal profondo sguardo introspettivo: la biografia giovanile Ma Vie e gli schizzi che la illustrano presenti in mostra, dimostrano una valenza di indagine autobiografica piuttosto che un egocentrismo esasperato, come si potrebbe pensare superficialmente.
L’esposizione indaga anche le altre esperienze di Chagall: i bozzetti teatrali per scenografie e costumi per i balletti, le illustrazioni de Le Favole di Fontaine, tantissimo materiale esposto ma non credo sia la vastità della collezione a esaurire lo spettatore, piuttosto è l’enorme empatia emotiva che si avverte con le opere a lasciare piacevolmente spossati.

P.S. i dipinti citati sono nella board pinterest

Il concerto

febbraio 11, 2010

Ilconcerto Unine Sovietica 1980, il talentuoso direttore d’orchestra Andrej Filipov si oppone al diktat brezneviano di estromettere i musicisti di origine ebrea dall‘orchestra, per questo motivo viene umiliato con l’interruzione del concerto e la retrocessione: restera’ sempre nell’organico del Bolshoi ma come addetto delle pulizie. 30 anni dopo Filipov e’ ancora la’ a pulire il teatro e un giorno, mentre lucida la scrivania del direttore, intercetta il fax di un celebre teatro parigino che propone una data per un concerto: Filipov decide di spacciare i suoi vecchi orchestrali per l’orchestra ufficiale e dirigire ancora una volta..

Dopo un decennio da Train de vie (1998) Mihaileanu torna a imbastire un’altra truffa, questa volta pero’ non e’ la sopravvivenza a spingere i protagonisti a fingersi gli orchestrali ufficiali del Bolshoi, ma il bisogno di rivalsa. Purtroppo sono passati 30 anni e il mondo e’ cambiato: alla nomenclatura russa si e’ sostituita una classe dirigente rozza e prepotente la cui messa alla berlina sostiene brillantemente la prima parte della pellicola, ambientata a Mosca, una Mosca a due facce, quella perfettamente linda della Piazza Rossa, meta di turisti e quella squallida dei quariteri popolari dove Filipov cerca di ritrovare i componenti della sua storica orchestra.
Come manager della sua scalcagnata banda Filipov chiama l’uomo che trent’anni prima stronco’ pubblicamente la sua carriera, l’indefesso comunista Ivan Gavrilov. Anche per Gavrilov Parigi e’ un mito dove ricostruire un’internazionale comunista e anche lui dovra’ scontrarsi con una realta’ ben diversa.
Sberleffo senza riguardi, quello di Mihaileanu per la Russia contemporanea, ma anche la Francia da sempre rifugio privilegiato degli esuli russi non e’ messa meglio: il teatro Chatelet accetta le bislacche richieste del manager di Filipov perche’ molto convenienti e quindi adatte a ripianare i conti del teatro sull’orlo della banca rotta.
A vent’anni dalla caduta del muro la riflessione del regista sullo stato della cultura in Europa e’ amarissimo: i due blocchi si sono sciolti nella medesima acquiescenza al dio denaro. Non c’e’ pero’ nessun rimpainto dell passato, i terribili danni della dittatura comunista emergono nella seconda parte del film quando entra in scena la giovane violinista Anne Marie Jaquet, interpretata da Mélanie Laurent, la Shosanna di Inglourious bastards che veste ancora una volta i panni di un’ebrea orfana a causa di una dittatura e che agisce tra le mura di un (cine)teatro parigino.
La messa in scena del concerto finale e’ travolgente e la commozione della musica e della vicenda si stemperano grazie ai fotogrammi che raccontano il futuro dei protagonisti strappando al pubblico le ennesime risate nate da un umorismo caustico che trova alimento in quello spirito mitteleuropeo che all’inzio del secolo scorso ci regalo’ maestri della comicita’ come Lubitsch e Wilder, di cui Mihaileanu sembra seguire le tracce.