Germania, USA 2019
con Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Taika Waititi, Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Archie Yates, Rebel Wilson, Alfie Allen, Stephen Merchant
regia di Taika Waititi
Johannes Betzler ha dieci anni nella Germania nazista del 1945, il padre è al fronte, la sorella maggiore è morta, la madre per quanto dolce ha mille impegni e Jojo, succube della propaganda, ha come amico immaginario niente meno che il führer
in persona, che lo sprona ad essere coraggioso: quando a un campo della gioventù hitleriana il ragazzino non ha il coraggio di uccidere un coniglio diventando per i compagni Jojo Rabbit, sarà proprio Hitler a incoraggiarlo a lanciare una granata per dimostrare di essere coraggioso. Il gesto costa a Jojo delle ferite sul volto e una leggera zoppìa che lo escludono dalle attività militaresche ed è proprio rientrando a casa prima del previsto che il ragazzino scopre che la madre nasconde una ragazzina ebrea. Non potendo denunciarne la presenza per non fare incriminare la madre, a Jojo non resta che cercare di studiare il pericolo esemplare giudeo con cui si trova a convivere…
Ormai è tradizione (credo tutta italiana) far uscire un film che tratti il tema del nazismo in prossimità del Giorno della Memoria, con esiti molto diversi. Jojo Rabbit è un ottimo film che appartiene al filone che osa deridere il dramma nazista, a partire da Il Grande Dittatore, il solitamente dimenticato Vogliamo Vivere! di Lubistch per arrivare a Train de Vie e a La vita è Bella; con le pellicole citate Jojo Rabbit condivide solo il spirito ironico e graffiante ma i referenti sono ben altri.
Colori e atmosfere rimandano a Wes Anderson, soprattutto l’inizio al campo della gioventù hitleriana che non ha una chiara connotazione temporale, potrebbe essere un campo estivo organizzato da nostalgici, facendo capire da subito che il film si rolge soprattutto ai rigurgiti neofascisti dei nostri tempi.
L’unico amico di Jojo, Yorki, ricorda molto il Piggy de Il signore delle mosche, classico film per ragazzi che analizza la nascita del totalitarismo; la somiglianza non è solo fisica ma anche nel ruolo: nel film di Peter Brook il ragazzino diventa la memoria storica del gruppo, la parte razionale che viene eliminata, anche Yorki spiega le cose a Jojo ed è quello che nei tragici giorni della caduta di Berlino comunica a Jojo che Hitler si è suicidato nel bunker.
I toni drammatici ovviamente non possono mancare: la morte della madre, inattesa e toccante con Jojo che le allaccia le scarpe, lui che non era mai in grado di farlo bene, improvvisamente si ritrova adulto e solo (o quasi) nell’inferno della resa, le immagini della città distrutta rimandano a Germania Anno Zero e una volta di più comprendiamo il suicidio di Edmund nel film di Rossellini che molto probabilmente sarebbe anche il gesto di Jojo se non avesse a casa Elsa, il vituperato nemico di cui si è innamorato.
Il messaggio e la positività del film sta tutto nell’incontro dell’altro: la convivenza forzata che diventa amicizia e il primo amore di Jojo. Lo scoprire che quanto ci è stato insegnato ad odiare non è diverso da noi ma più simile di quanto si creda (la condivisione della solitudine) e nonostante lo strazio della perdita alla fine dell’orrore si può riuscire a ballare sulle note di Heroes di David Bowie cantata in tedesco, una canzone che ti frulla in testa dall’eroico sacrificio del capitano Klenzendorf.