Archive for aprile 2012

Cesare deve morire

aprile 30, 2012

Cesaredevemorire Nel carcere di massima sicurezza di Rebibbia si organizza annualmente un laboratorio di teatro, questa volta il testo da portare in scena è il Giulio Cesare di Shakespeare; il film documentario dei Fratelli Taviani segue tutte le fasi del progetto, dalla scelta degli attori alle prove fino alla prima dello spettacolo.

Il paragone che mi viene ripensando a Cesare deve morire è con un libro, Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar: solo in quel testo scritto ho trovato la stessa densità di concetti in un linguaggio estremamente asciutto.
Girato prevalentemente in un bianco e nero fortemente contrastato (solo le immagini dello spettacolo sono a colori) il film riesce a restituire con poche pennellate il mondo dei carcerati quando le battute riportano alla memoria situazioni reali vissute in passato: con una sola scena si riesce a raccontare una vita e al contempo a sottolineare l’eterna attualità dell’opera di Shakespeare, quindi dell’arte. Di grande umanità è il momento del rientro in cella dopo lo spettacolo, quello che nella vita normale sarebbe il momento dell’adrenalina a mille, tra le congratulazioni del pubblico e della cena qui diventa uno spaccato di profonda tristezza e solitudine e si prova compassione, nel senso più alto del termine, per uomini che hanno un passato giudiziario molto pesante che viene raccontato da una didascalia quando alla fine dei provini si scelgono gli interpreti.
Cesare deve morire non racconta solo la realtà carceraria, ci parla anche di noi, della nostra civiltà: lo scontro così alto raccontato dalla pièce teatrale, la scelta tra repubblica o impero si svolge in seno una civiltà primitiva e violenta. A raccontare il nostro presente è la fotografia: il volo notturno sul complesso di Rebibbia, gli esterni in corridoi stretti, cinti da muraglioni grigi non identificano immediatamente il luogo “galera”, ma potrebbero essere tranquillamente scorci di angoli metropolitani: siamo tutti imprigionati nel brutto.

Renato Rascel

aprile 27, 2012

Un secolo fa nasceva a Torino (per caso, i genitori erano in tournée) Renato Ranucci, “il piccoletto” destinato a diventare un grande del teatro leggero italiano, ma non solo. Nei primi anni trenta l’attore decide di trovarsi un nome d’arte e sceglie Rachel ispirandosi a una famosa cipria francese. Per ovviare ai problemi di pronuncia presto opta per Rascel. Il governo fascista cerca di imporgli una e finale trasformando il cognome in Rascele in ottemperanza delle leggi di italianizzazione delle parole ma Renato Rascel rifiuta defilandosi elegantemente con una battuta.
Il primo grande successo è del 1939 quando l’attore impazza con E’ arrivata la bufera ingenua canzoncina dl immensa portata liberatoria rispetto al tragico momento storico.
I successi nella rivista (eclatante la macchietta de Il corazziere) attraggono sull’attore l’attenzione del cinema. Nel 1952 viene scelto da Alberto Lattuada per un ruolo drammatico, quello dell’impiegato comunale De Carmine nel film Il cappotto tratto dall’omonimo racconto di Nikolai Vasilievic Gogol. L’interpretazione di Rascel varrà all’attore un Nastro d’Argento.
Rascel si cimenta anche con la regia e l’anno seguente gira La passeggiata (sempre ispirato a un racconto Gogol) che interpreta al fianco di Valentina Cortese e Paolo Stoppa ma il film non riscuote grande successo.
Nel frattempo miete grandi successi con gli spettacoli teatrali firmati da Garinei e Giovannini appositamente per lui, le favole musicali Attanasio cavallo vanesio (1952) Alvaro piuttosto corsaro del ‘53 e nel 1954 Tobia, candida spia.
Del 1957 è la commedia musicale con Un paio d’ali e sempre in quell’anno Rascel esplode a livello internazionale come compositore musicale grazie al successo della sua canzone Arrivederci Roma. La musica gli riserverà un altra grande soddisfazione con Romantica del 1960, portata al successo dall’”urlatore” Tony Dallara. Nel 1959 l’ultimo grande successo cinematografico Policarpo, ufficiale di scrittura diretto da Mario Soldati che vale a Rascel un David Di Donatello.
L’avvento della televisione allarga il pubblico dell’attore romano, molti dei suoi spettacoli vengono trasmessi dal piccolo schermo.
L’ultima grande commedia musicale è del 1970, Alleluia brava gente nel frattempo l’attore si dedica alla televisione, del 1967 è lo sceneggiato televisivo diretto da Vittorio Cottafavi I racconti di padre Brown e del 1977 il ruolo del cieco nel Gesù di Nazareth di Zeffirelli. La poliedricità dell’artista si rivela anche nella scrittura: per Mursia pubblica in tre raccolte di favole.
Ultima grande prova teatrale nel 1986 in Finale di partita di Samuel Beckett insieme a Walter Chiari.
L”attore si spegne a Roma, il 2 gennaio 1991.

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Il primo uomo

aprile 26, 2012

Ilprimouomo Nel 1957 lo scrittore Jacques Cormery torna in Algeria, dove era nato quarantatré anni prima, per una contestata conferenza sulla soluzione pacifica del conflitto nella colonia francese e intanto va a trovare la madre che non vede da tempo. La permanenza nella casa materna fa riaffiorare i ricordi dell’infanzia quando Jacques era un bambino povero, legatissimo alla madre, vedova di un caduto della prima guerra mondiale; insieme allo zio Etienne, Jacques e la madre formavano una famiglia retta con pugno d’acciaio dalla nonna.

L’omonima opera incompiuta di Albert Camus, dai risvolti autobiografici pubblicata postuma, a cura della figlia nel 1994, offre l’occasione a Gianni Amelio per tornare su uno dei temi più cari alla teoretica dell’autore, quello dell’infanzia. C’e’ estrema partecipazione nelle parti ambientate nel 1924, quando Jacques ha dieci anni e inizia a porsi alcune domande sulla propria condizione di bambino povero e orfano di padre. Destinato dalla nonna al duro lavoro insieme allo zio Etienne, Jacques può’ permettersi di continuare la scuola grazie all’interessamento del maestro che gli fa destinare una borsa di studio. Se il maestro Bernard è una figura paterna sostitutiva, tutto il film ruota attorno al rapporto tra il bambino e le due donne che hanno segnato la sua infanzia: la nonna severa che non esita a frustarlo e la madre dolcissima che lo appoggia sempre, soprattutto il giorno in cui il ragazzino decide di rifiutare l’autorità sottraendosi alla punizione imposta dalla nonna.
La guerra d’Algeria viene evocata anche nelle sequenze del ’24 proprio nell’assenza del popolo algerino: la vita di Jacques e i suoi amici si svolge senza accorgersi degli arabi (la ragazzina che lava le scale) se non per prenderli in giro (la liberazione dei cani randagi). Il conflitto tra i coloni e gli autoctoni è rappresentato dalla rissa tra Jacques e Hamoud, il compagno di scuola arabo, quando i due uomini si ritrovano nel ‘57, nonostante Hamoud chieda un favore a Jacques, il ricordo degli anni d’infanzia è opposto: se per lo scrittore il compagno di scuola era un amico, quest’ultimo ribadisce una mancanza di stima (in quanto oppresso) che continua anche nel ‘57.
Se il piccolo Jacques può accontetarsi di essere il figlio di un soldato morto per la patria, l’intellettuale, che ha perso il senso retorico della parola patria, ha bisogno di ritrovare l’uomo e infatti la pellicola si apre con Jacques adulto che cerca la tomba del padre nel cimitero di guerra e termina con la brevissima comparsa del genitore sullo schermo nel flashback della nascita di Jacques.
Maya Sansa è l’unica interprete italiana della pellicola che dovrebbe vantare un doppiaggio di tutto rispetto (PierFrancesco Favino per Cormery adulto, Kim Rossi Stuart per lo zio Etienne) ma sinceramente non ho riconosciuto neppure una voce e non saprei se interpretarlo come un bene o come un difetto; detto questo possiamo concludere che Il primo uomo è il viaggio dentro la memoria personale e collettiva di un individuo, che Amelio racconta con estrema grazia e raffinatezza.

Diaz – Don’t clean up this blood

aprile 23, 2012

Diaz Il rewind dei frammenti di vetro di una bottiglia che si ricompongono e il suo volo al contrario per tornare nella mano del ragazzo che la lancia contro la volante di polizia che provocatoriamente passa davanti alla scuola Diaz. Quel lancio di bottiglia tornerà più volte a scandire la pellicola di Vicari, per distinguere i diversi punti di vista di chi quella terribile notte si trovò coinvolto in una delle vicende più tragiche e vergognose della nostra storia che il film ricostruisce seguendo gli atti giudiziari del processo contro i responsabili delle violenze alla Scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto durante l’ultimo giorno del G8 di Genova nel 2001.
Benchè gli eventi di quel G8 siano stati i primi in cui le riprese (amatoriali o meno) abbiano seguito quasi ogni momento di quel disastroso vertice e il materiale sia stato rimontato in diversi documentari, non ultimo Black block andato in onda su Rai3 domenica 15 aprile, a due giorni dall’uscita nelle sale del film di Vicari, l’opera di fiction ha un alto valore civile e politico che rende universale una storia di cui era possibile, e da tempo, sapere tutto o quasi.
La mattanza nella scuola che sembra la sequenza di un film horror è sicuramente il segmento più ruscito di un film nel complesso molto buono che riesce a “far volare” i 127 minuti di durata inchiodando lo spettatore a una realtà terribile e incredibile. Le torture nella caserma di Bolzaneto sono invece un contraltare anche stilistico alla violenza della Diaz se nella scuola la violenza esplode inattesa e violenta, di Bolzaneto rimane impressa la stupidita’ del torturatore (ecco il messaggio universale che trascende la vergognosa pagina di storia italiana) farò l’esempio più leggero: quando Alma viene introdotta in caserma la poliziotta che la trascina malamente per i capelli si ferma come secondo un copione stabilito davanti a un poliziotto che sputa in faccia alla ragazza e più che indignare l’offesa (si è già assistito a trattamenti più disumani) colpisce la stupidità di uno che sta lì, con l’unico compito di sputare in faccia alla gente. Chi ci starebbe? verrebbe da chiedersi se non ci fosse stato l’esperimento della prigione di Stanford che ha dimostrato scientificamente che l’individuo demanda il suo giudizio critico e la sua umanità al gruppo di appartenenza. Quello scioccante esperimento è stato narrato anche in alcuni film, The experiment (rifatto nel 2010) uscì proprio nel 2001, nel 2002 in Italia. Vorrei chiarire che il fatto che l’individuo perda la sua libertà di giudizio quando viene inserito in un gruppo, non è certo una giustificazione per gli atti di Bolzaneto, casomai un ulteriore colpa per chi dirige le forze dell’ordine che non dovrebbe mai creare il presupposto per situazioni così esplosive.
La validità nella pellicola sta quindi nel raccontare quanto accadde in luoghi preclusi alle telecamere, mostrarne l’orrore e la follia riuscendo a mantenere una lucidità di giudizio per cui i poliziotti non vengono visti solo come colpevoli e c’e’ un finale tenerissimo che forse è la scena che resta più impressa: Alma che quando vede la madre si mette una mano davanti alla bocca: quello che a prima vista sembra un’innato gesto di stupore è il tentativo dignitoso di nascondere alla madre la vistosa ferita sul labbro.

Biancaneve

aprile 19, 2012

Biancaneve Tarsem Singh vorrebbe ribaltare la fiaba di Biancaneve ma la rivoluzione riesce solo a metà e questo inficia lo spettacolo la cui trama risulta altalenante e questo è un vero peccato perchè il film è una vera gioia per gli occhi. Dovrebbe essere la storia della matrigna di Biancaneve, donna bellissima che ha fatto innamorare il padre della sua figliastra con la magia per poi eliminarlo e usare le ricchezze del regno per la propria vanità, sulla soglia della bancarotta la regina è pronta a sposare il principe Alcott più per il suo denaro che per la sua avvenenza. Purtroppo come ci dice anche lo specchio nel finale, il film ritorna ad essere la storia di Biancaneve in versione eroina moderna che si salva da sola, archetipo di ragazza contemporanea a cui ci hanno già abituato le ultime eroine di casa Disney.
Spostare l’attenzione sulla Regina crea un’interessante e quanto mai attuale lettura della fiaba: il rapporto conflittuale tra una fanciulla in fiore e una donna matura che non vuole rinunciare la proprio fascino (azzeccata la scena della cura di bellezza a base di guano di uccelli e altre bestioline disgustose e la precisa citazione di Via col Vento nella scena del busto). Che la matrigna sia più vanitosa che cattiva lo dimostrano gli evidenti riferimenti al mito di Narciso: come il bel giovane la donna ama specchiarsi (Mirror Mirror è il titolo originale della pellicola) e il magico specchio parlante è riposto sulle rive di un lago in un’altra dimensione dove emerge la regina per i suoi colloqui, al pari di Narciso che cadeva nell’acqua per raggiungere il proprio riflesso. Col procedere della storia l’attenzione si sposta verso altri aspetti più convenzionali e il confronto tra le due donne, vero motore del film, viene a mancare.
Resta comunque il divertimento dei dialoghi e di alcune scene molto spassose grazie al segretario personale Brighton interpretato da Nathan Lane degna spalla comica di una Julia Roberts che regala la prova più interessante della sua carriera. La pellicola è un’ulteriore conferma del talento visivo del regista e l’apoteosi (purtroppo postuma) della costumista Eiko Ishioka (autrice anche dei costumi di Dracula di Bram Stoker) che se stupisce con i trampoli pressurizzati dei nani, riesce a incantare con l’elmo delle guardie ispirato ai comignoli modernisti di Casa Milà a Barcellona. Di derivazione art nouveau sono anche parte delle magnifiche scenografie (di Tom Foden) che ci riportano all’epoca d’oro di Hollywood: ormai il film storico pretende una minuziosa ricostruzionefilologica quindi le fiabe e le storie fantastiche restano l’ultimo baluardo per fantasmagoriche scenografie.

Rendez-vous, appuntamento con il nuovo cinema francese

aprile 17, 2012

Visuel_RV_2012 Dal 17 al 22 aprile a Roma: Rendez-vous, appuntamento con il nuovo cinema francese, seconda edizione di un festival esclusivo dedicato al cinema d’Oltralpe.
Iniziativa dell’Ambasciata di Francia in Italia, la manifestazione è realizzata dall’Institut français Italia, in collaborazione con l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, l’Institut français – Centre Saint-Louis, e l’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale con il sostegno di UNIFRANCE.

La direzione artistica del festival è affidata a VANESSA TONNINI.

La seconda edizione di Rendez-vous si apre a conclusione di un biennio d’oro del cinema francese, con una rimonta del 23% partita nel 2010, e con un 2011 che si è chiuso con 215,6 milioni di spettatori, cifra record dal 1967. Una lunga stagione di successi coronata dal pluripremiato The Artist e da Intouchables (Quasi amici).

Il programma di domani – mercoledì 18 aprile – della seconda edizione del Rendez-vous, appuntamento con il nuovo cinema francese prevede al Cinema Fiamma alle ore 15:30 la proiezione dell’ultimo film del ribelle Mathieu Kassovitz, regista, sceneggiatore, attore del dramma storico L’ordre et la morale. Alle ore 18:30, è la volta del cinema di genere con Nuit blanche, avvincente poliziesco firmato da Frédéric Jardin, presente alla proiezione, che risponderà alle domande del pubblico. Alle ore 20:30, alla presenza della regista-rivelazione Ursula Meier, Orso d’Argento Speciale della Giuria al 62° Festival del Cinema di Berlino, proiezione di L’enfant d’en haut, storia delicata e sobria, che racconta la vita di un dodicenne che vive rubacchiando ai turisti ricchi del resort sciistico di lusso e poi riscende nell’altopiano industriale dove convive con la sorella, sbandata e senza lavoro, interpretata da Léa Seydoux. Alle 22:30, Juliette Binoche e Anaïs Demoustier, protagoniste dello scabroso film-inchiesta sulla prostituzione giovanile, Elles, diretto da Malgoska Szumowska.

Presso l’Accademia di Francia – Villa Medici , alle ore 21:00, alla presenza del regista Bertrand Bonello e dell’attrice protagonista Jasmine Trinca, proiezione di L’Apollonide – Souvenirs de la maison close, che racconta la vita quotidiana in un bordello in una casa chiusa di Parigi.

Presso l’Institut français – Centre Saint-Louis, alle ore 17:00 nell’ambito del focus dedicato al talentuoso ed eccessivo Mathieu Kassovitz,uno degli artisti più contraddittori, provocatori e amati del cinema francese, proiezione di Metisse, opera prima di Kassovitz da lui stesso interpretata, la storia di Lola, bellissima ragazza meticcia che ha due fidanzati: Felix, bianco ebreo amante del rap e Jamal, nero, arabo e ricco. L’equilibrio è perfetto, almeno fino a quando Lola non rimane incinta.

www.rendezvouscinemafrancese.it
www.villamedici.it
www.institutfrancais-csl.com

Proiezioni in versione originale con sottotitoli in italiano
Prezzi:
Cinema Fiamma – 4 euro (intero); 3 euro (ridotto: minori di 26 anni)
Accademia di Francia – Villa Medici – 4 euro (intero); 3 euro (ridotto: minori di 26 anni)
Institut français – Centre Saint-Louis – Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti

I più grandi di tutti

aprile 13, 2012

Ipiùgrandiditutti Loris, sulla soglia dei quaranta, vive facendo lavoretti saltuari con cui aiutare il budget familiare sostenuto prevalentemente dalla moglie sotto lo sguardo critico del figlio Alessio di sette anni. Un giorno riceve la lettera calorosa di un fan che vorrebbe intervistare Loris e gli altri componenti del gruppo Pluto, attivo sulla scena musicale labronica sul finire degli anni ’90. Loris si reca all’apputamento con l’intenzione di spiegare che non è più in contatto con i membri della band ma si trova davanti un ragazzo entusiasta e paraplegico. Per accontentarlo e guadagnarsi la caparra dell’ingaggio Loris si mette sulle tracce degli altri musicisti..

Carlo Virzì, fratello minore di Paolo, ebbe un discreto successo con il gruppo Snaporaz sciolto nel 2001, da allora si è dedicato prevalentemente alla composizione delle colonne sonore dei film del fratello. Il suo secondo lungometraggio è un’opera che sicuramente risente dell’influenza dello stile dolce amaro da commedia all’italiana di Paolo Virzì ma che risulta credibile e piacevole perchè racconta un mondo che Virzì jr. conosce molto bene, la scena rock livornese a cavallo degli anni novanta e il duemila.
La storia è quella di un gruppo che in realtà era il più sfigato di tutti, il cui massimo successo fu quello di prestare un brano per la pubblicità di un anticalcare. Quando i membri si ritrovano si capisce che si sono lasciati in malo modo e la stima reciproca e’ bassissima: Mao (diminutivo di Maurilio) il front man vivacchia facendo il cameriere con il solito stile sbruffone di sempre, Sabrina la bassista, si è rifatta una vita borghese che le sta stretta dopo essere uscita dalla droga, Loris ex batterista, ha una famiglia ma ha problemi con il lavoro e Rino il chitarrista è l’unico ad avere un lavoro a tempo indeterminato come operaio suscitando l’invidia di tutti. I componenti dei Pluto non hanno grandi ricordi del loro periodo musicale e rimangono colpiti dalla caparbietà con cui Federico, il giornalista si ostina a volerli ricordare come star potenziali del rock italiano; si scoprirà che la sua determinazione è legata al ricordo della fidanzata morta nell’incidente che lo ha paralizzato. Il quadro di una generazione fallita che non vuole o (non può?) crescere ben rappresentato da un cast di attori che da sempre ruota nell’orbita dei Verzì con l’aggiunta di un bravissimo Alessandro Roja, bolso e timido ben diverso dal Dandy elegantone e spavaldo che abbiamo imparato a conoscere on Romanzo Criminale – La serie.
La compiacenza verso Federico si trasforma nella speranza di una nuova opportunità musicale ma il beffardo destino dei Pluto è segnato, del resto nomen omen: il piccolo Alessio spiega al padre che che lo stesso pianeta Plutone è stato declassato da pianeta a satellite. Finiscono i sogni di gloria ma resta la voglia di suonare per il gusto della musica, perchè cari ggggiovani d’oggi fino a qualche tempo fa amare la musica non significava solo prepararsi per il provino di un talent show.

Romanzo di una strage

aprile 12, 2012

Romanzodiunastrage Il 1969 è un anno di forti tensione in Italia: diverse bombe esplodono a scopo dimostrativo. La Polizia Politica di Milano guidata dal Commissario Luigi Calabresi segue la pista anarchica e la strada di Calabresi incrocia spesso quella di Giuseppe Pinelli, ferroviere quarantenne a capo del movimento anarchico meneghino. I due uomini si rispettano, pur restando su posizioni profondamente diverse ma tutto cambia il pomeriggio del 12 dicembre 1969 quando la bomba che esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana uccide 17 persone e apre una scia di sangue che si concluderà oltre un decennio dopo.

Pare che non si possa parlare di questo film senza commentarne il titolo, quella parola “romanzo” applicata a un fatto realmente accaduto 43 anni fa che in una qualsiasi altra nazione avrebbe già avuto una sua codificazione processuale e storica mentre da noi resta una pagina incompiuta (la prima di tante) su cui si può solo costruire un romanzo.
Le teorie portate sullo schermo da Marco Tullio Giordana ovviamente hanno subito dato adito a recriminazioni di vario genere, resta il fatto che il regista riesce a costruire un romanzo avvincente, quei 130 minuti sono praticamente volati per l’abilità narrativa e sicuramente per la voglia di sapere e di capire di più quella strage che ci ha segnato profondamente.
Ritornano alla parola romanzo, mi è piaciuta molto la romanzatura lombrosiana dei personaggi i tre protagonisti destinati al martirio sono belli e portatori di valori: resta impresso lo sguardo buono e pulito del Pinelli di Favino, la postura eretta che corrisponde alla drittura morale di Calabresi di un Mastandrea che sorprende in un ruolo insolitamente compassato che valorizza la sua sottrazione recitativa e poi c’è l’Aldo Moro di Gifuni, tormentato da una politica che non cerca più il dignitoso compromesso ma il più bieco intrallazzo. Dietro i tre eroi si muovono le mogli di Calabresi e Pinelli e due caratteristi del cinema italiano che a me piacciono molto, Thomas Trabacchi nel ruolo del giornalista Marco Nozza e Antonio Pennarella, l’untuoso maresciallo Panessa a cui spettava il comando nel momento della caduta di Pinelli. Mi ha colpito la bellezza folle della faccia dei terroristi, l’imbiancato Giorgio Marchesi che interpretava Franco Freda mi ha ricordato il Marlon Brando de I giovani leoni. Dietro a questi personaggi che “ci mettono la faccia” arrivano i volti disgustosamente lombrosiani dei politicanti, dei servizi segreti, degli alti gradi della polizia e il film è riuscito a mettere in scena tutta la bruttura fisica e morale di chi da oltre 40 anni governa (e contemporaneamente) trama alle spalle di questa nazione.

Addio a Maria Pia Casilio

aprile 11, 2012

Pinterstmpcasilio


Si è spenta ieri a Roma la nota caratterista dal bel visetto sbarazzino che ha spesso interpretato il ruolo della cameriera impertinente nelle commedie anni ’50.
Nata a San Pio Delle Camere, in provincia dell’Aquila, il 5 maggio 1935, ha debuttato nel 1952 in Umberto D. di Vittorio De Sica. E’ stata Elvira, la fidanzata di Nando, l’americano a Roma di Alberto Sordi ed è stata la rivale della Lollobrigida nei primi due Pane e amore diretti da Comencini, che la volle anche per La valigia dei sogni. L’ultima apparizione sul grande schermo fu in Tre uomini e una gamba con Aldo Giovanni e Giacomo.
Su Pinterest una board con le locandine dei film più celebri a cui ha partecipato.