Archive for luglio 2019

Insoliti criminali

luglio 26, 2019

Albinoalligator

Albino Alligator
USA 1996 MGM
con Matt Dillon, William Fichtner, Frankie Faison, Faye Dunaway, Viggo Mortensen, John Spencer, Gary Sinise, M. Emmet Walsh, Skeet Ulrich, Joe Mantegna, Melinda McGraw
regia di Kevin Spacey

New Orleans: tre rapinatori il cui colpo è saltato perché è partito l’allarme si ritrovano inseguiti dalla polizia e si rifugiano nell’unico bar che trovano aperto, posto in uno scantinato senza via di fuga. Durante il sequestro scopriranno dalla televisione che la polizia non è sulle loro tracce ma su quelle di un trafficante d’armi anche lui nel locale per uno scambio…

Il debutto alla regia di Kevin Spacey, vincitore del Courmayeur Noir in festival 1996, è un bel noir che paga qualche debito verso i due grandi successi degli anni immediatamente precedenti: Pulp Fiction da cui derivano in certa misura i dialoghi tra i gangster e I soliti sospetti con cui gioca anche il titolo italiano, il film che lanciò nel 1995 la carriera di Spacey con il mitico Keyser Söze e a cui rimanda il colpo di scena sulla scoperta del vero ricercato dalla polizia.



Insoliticriminali


Il film parte con una scena d’azione dove lo scambio di auto del trafficante con quella dei rapinatori porta i secondi a credere di essere inseguiti dalla polizia e a rifugiarsi nel bar, da quel momento il film diventa un teso kammerspiel dove le profondità di campo si alternano a stretti primi piani perché Insoliti criminali è soprattutto un film d’attori e tutti molto bravi, dall’eterno sottovalutato Gary Sinise nei panni di Milo, l’unico rapinatore con un po’ di senno che deve tenere a bada il fratello Dova (Matt Dillon) dalla pessima influenza dello psicopatico Law (William Fichtner). Faye Danaway è la matura cameriera Janet preoccupata anche per le sorti del figlio Danny presente nel locale al momento del sequestro e poi c’è un ancora sconosciuto Viggo Mortensen, nel ruolo di Guy Foucard, il trafficante d’armi.



Albino  alligator


Fuori dal locale il cordone di polizia è capitanato da Joe Mantegna, che entra in scena ripreso di spalle dal basso verso l’alto con la piega dei pantaloni perfetta e quasi rigida, stessa piega che torna nel completo della giornalista Jenny Ferguson, la prima ad arrivare sul posto e a svelare da fonti canadesi l’identità del trafficante portando scompiglio dentro il locale dove cambiano gli equilibri ancora una volta.
L’ironia di credersi inseguiti e scoprire che tutta la mobilitazione riguarda un altro si trasforma in cinismo quando Dova chiede a Janet e suo figlio di provare che vogliono salvarsi uccidendo un altro ostaggio.



Albinoalligator


Il cinismo dei media che trasforma immediatamente i tre sopravvissuti in eroi dando per scontato che siano degli ostaggi ma del resto il titolo originale del film rimanda alla leggenda del sacrificio dell’alligatore albino perché si possa salvare il gruppo e nella pellicola possiamo trovare molte vittime sacrificali.



Insoliti criminali


Un film molto intrigante, anche nella scenografia: il bar, che ai tempi del proibizionismo era una rivendita clandestina di alcolici, vanta un arredo decò ricostruito fedelmente.
Spacey tornerà alla regia solo nel 2004 per il biopic su  Bobby Darin, Beyond the Sea.

La mala ordina

luglio 25, 2019

La mala ordina

Italia 1972
con Mario Adorf, Henry Silva, Woody Strode, Adolfo Celi, Luciana Paluzzi, Sylvia Koscina, Franco Fabrizi, Francesca Romana Coluzzi, Femi Benussi, Peter Berling, Cyril Cusack, Gianni Macchia, Renato Zero
regia di Fernando Di Leo

Il boss newyorkese Corso invia due killer a Milano per uccidere Luca Canali un magnaccia di poco peso sospettato di aver rubato una partita di droga. I due killer si appoggeranno al boss Vito Tressoldi, il vero organizzatore della truffa agli americani che fa di tutto per eliminare Canali perché gli americani non scoprano il suo gioco, arrivando a far uccidere anche la moglie e la figlia del pappone ma questo omicidio scatena la furia di Canali che si vendica mortalmente dei suoi nemici.

Secondo capitolo della Trilogia del milieu di Fernando Di Leo a cui Tarantino si è ispirato per la coppia di killer di Pulp Fiction, un bianco e un nero come i due killer spediti in Italia dal padrino newyorkese. David Catanìa e Frank Webster vengono scelti perché parlano italiano, uno per le origini l’altro per aver combattuto in Italia durante la guerra, doppiati con un accento alla Stanlio e Ollio senza però sbagliare un congiuntivo.



Lamalaordina


Contraddizioni che rappresentano bene i poliziotteschi e i gialli anni ’70 considerati b movie dove poi trovi arredi di design che oggi non entrano neppure nella miglior produzione a grosso budget e un attenzione incredibile per il colore e la composizione dell’immagine, anche sperimentale come nelle scene dei “contestatori” dove nel gruppo di Triny compare regolarmente un giovanissimo Renato Zero quasi sempre con bombetta. La scena che mi ha colpito di più è quella in cui Canali va a telefonare da una cabina a Tressoldi chiedendogli perché lo cerca e l’attraversamento della piazza è ripreso dai buchi del logo della Sip poi la macchina da presa scende senza stacchi e riprende la telefonata in primo piano.



Lamalaordina


Luca Canali è il prototipo malavitoso dell’uomo tranquillo che si scatena quando lo toccano negli affetti più cari: Don Vito nel confronto finale in cui gli confessa di aver ordito il colpo ai danni degli americani si stupisce che un uomo del suo valore sia rimasto in un ruolo marginale, un semplice uomo da casino. Neppure il magnaccia si spiega la sua furia, nata dalla disperazione.



La mala ordina


L’uomo che si fa vendetta da solo, in cui scatta la violenza più efferata quando viene toccato nel vivo non è un tema nuovo, anzi è tipico dei noir, in particolare degli anni ’70 ma la forza quasi sovrumana con cui Canali si libera della carcassa dell’auto per tacere del super capoccione con cui sventra telefoni o sfonda il vetro del camioncino al termine del celebre inseguimento sui Navigli, anticipano gli eroi anni ’80 alla Stallone e/o Schwarzenegger.

Il servo di scena

luglio 24, 2019

Thedresser

The dresser
GB 1983, Columbia Pictures
con Albert Finney, Tom Courtenay, Edward Fox, Zena Walker, Eileen Atkins, Michael Gough, Cathryn Harrison, Betty Marsden, Sheila Reid, Lockwood West, Guy Manning
regia di Peter Yates

Un attore dal passato glorioso guida la sua compagnia di anziani attori in una turneè nell’Inghilterra devastata dai bombardamenti nazisti. A sostenere il vecchio attore è il suo fedele servo di scena, Norman; dopo una travagliata rappresentazione di Re Lear dove comunque il Sir ha dato il meglio di sé, l’attore muore e il servo scopre che ha dedicato la sua autobiografia a tutti, anche alle maestranze teatrali dimenticandosi solo di lui.

Film molto acclamato all’uscita con cinque nomination agli Oscar 1984 e altrettante ai Golden Globe vinto da Tom Courtenay come miglior attore in un film drammatico mentre Albert Finney ha vinto l’Orso d’argento a Berlino per la sua interpretazione del dispostico Sir.



Thedresser


E’ un film che punta tutto sull’innegabile bravura dei due protagonisti, la vecchia gloria del teatro che sull’orlo della morte inizia a confondere la realtà con i ruoli teatrali e quella del suo servo di scena, l’uomo che conosce tutti i suoi segreti e difetti, che lo rassicura egli ricorda le battute prima di entrare in scena, vivendo di fatto per interposta persona, facendo propri i successi del Sir di cui nel film non viene mai fatto il nome ma è risaputo che il commediografo Ronald Harwood scrisse la commedia da cui il film è tratto ispirandosi alla sua esperienza personale di servo di scena per l’attore shakespeariano  Sir Donald Wolfit.



Ilservodiscena


Il regista è meticoloso nel raccontare il mondo del teatro: la vestizione, i riti scaramantici, i rapporti non sempre idilliaci nella compagnia che la forzata convivenza trasforma in una grande famiglia, l’innegabile carisma del vecchio protagonista di cui è sempre stata innamorata Marge, la direttrice di scena e a cui, nonostante l’età è disposta a concedersi l’immancabile giovane attrice disposta a tutto pur di far carriera, l’unica serenamente distaccata è la moglie, anche lei una ex giovane attrice riuscita per giunta a farsi sposare e ad ottenere il titolo di Milady.



The dresser


L’ambientazione teatrale ritorna anche in diverse costruzioni dell’immagine: profondità di campo dove l’inquadratura è divisa da elementi che ricordano le quinte teatrali.
Sullo sfondo tragico della guerra Il servo di scena ci racconta una storia melanconica e patetica: se il Sir ha passato tutta la vita a pensare a sé stesso e alla propria gloria senza accorgersi di chi per anni ha permesso che vivesse sugli allori del successo passato, anche la disperazione e la rabbia finale di Norman risuonano egoriferite: la delusione di una vita dedicata a un altro senza ottenere nulla, nemmeno la dedica su un’autobiografia non terminata.

Il castello maledetto

luglio 22, 2019

The Old Dark House
USA 1932, Universal
con Boris Karloff, Melvyn Douglas, Raymond Massey, Gloria Stuart, Charles Laughton, Lilian Bond, Ernest Thesiger, Eva Moore, Brember Wills, Elspeth Dudgeon
regia di James Whale



Theolddarkhouse


In una notte da tregenda nella sperduta campagna scozzese, Philip Waverton con la moglie Margaret e l’amico Roger Penderel trovano rifugio in una vecchia casa, abitata da due singolari personaggi; poco dopo anche un ricco imprenditore e la sua amica sopraggiungono in cerca di riparo. Tra Penderel e Gladys è colpo di fulmine mentre si scopre di più sui bizzarri abitanti della casa e l’energumeno muto Morgan, il maggiordomo.



Il castello maledetto intro


Dopo il grande successo di Frankenstein, il regista James Whale si dedica a questa commedia horror e nonostante la presenza di Boris Karloff nei panni dell’inquietante maggiordomo, il film ebbe scarso successo, soprattutto in America, tanto che già alla fine degli anni ’50 il film veniva considerato perduto e nel 1963 il regista William Castle ne girava un omonimo remake; solo nel 1968 vennero ritrovati i negativi nei magazzini della Universal e ristampati.
Whale s’ispira a Il Castello degli spettri di Paul Leni nel cercare una commistione tra i toni da commedia brillante e le suggestioni horror, se il film non ebbe fortuna al botteghino di certo fu fonte d’ispirazione per molta cinematografia a venire basta pensare ad Arsenico e Vecchi Merletti dove Raymond Massey interpreta uno psicopatico con la faccia di Frankenstein: l’attore ne Il castello maledetto è il giovane marito di Margaret, la diafana bellezza che attira le attenzioni del mostruoso Morgan / Boris Karloff.



Ilcastellomaledetto


Le suggestioni del cinema espressionista sono notevoli: ho notato un’impressionante somiglianza tra il codardo Horace Femm e Lord Melo di Genuine firmato da Robert Wiene; pur derivando il proprio stile da quello espressionista, Whale si permette uno sberleffo quando Margaret, rimasta sola nel salone si mette a giocare alle ombre cinesi.
A funzionare ancora oggi è proprio lo scarto tra i personaggi: le persone che trovano rifugio nella magione dei Femm sono giovani e calati nel presente: la bella coppia alla moda e l’amico vivono di rendita mentre  Sir William Porterhouse è un uomo che si è fatto da solo, vedovo si accompagna a una ballerina, Gladys Perkins in arte DuCane solo per avere compagnia, perché va bene essere in piena stagione Pre Code ma una ragazza, per essere impalmata da un ricco squattrinato, deve aver pure una parvenza di onestà anche se ammette di farsi mantenere dal ricco accompagnatore!



The old dark house specchi


I cinque giovani in perfetto stile anni ’30 riparando nella vecchia casa si trovano in una dimensione temporale avulsa dalla modernità dove regna ancora la superstizione, incarnata dalla vecchia Rebecca Femm, beghina intrisa di religione che ritiene il sesso la causa della sventura della famiglia e non esita a mostrare il suo disprezzo per le giovani donne che le sono piombate in casa.
Whale è bravissimo nel cogliere gli aspetti più ridicoli di questa figura, superlativa la scena della cena, e al contempo ne mostra il lato spaventoso: Rebecca deformata nello specchio mentre sproloquia su donnine compiacenti suggestiona Margaret inducendola a fuggire terrorizzata dalla stanza.



The old dark house


Anche Saul, il fratello pazzo liberato incautamente dall’ubriaco maggiordomo mostra un lato infantile quasi commovente prima di trasformarsi in un violento piromane e lo stesso Morgan che sublima nell’alcol le passioni suscitate dalla bella Margaret, rivela una profonda tenerezza verso il corpo di Saul, il pazzo che aveva sempre accudito.
Una curiosità: ad interpretare l’ultracentenario Roderick Femm fu scelta una donna, Elspeth Dudgeon accreditata però come John Dudgeon.

Il bandito della Casbah

luglio 20, 2019

Pépé le Moko
Francia 1937
con Jean Gabin, Mireille Balin, Lucas Gridoux, Gilbert Gil, Charles Granval, Line Noro, Frehel, Roger Legris, Gabriel Gabrio, Fernand Charpin, Marcel Dalio, Saturnin Fabre, Olga Lord, Gaston Modot, Jean Témerson
regia di Julien Duvivier



Pepe le moko


Il bandito parigino Pépé le Moko si è rifugiato da due anni nella Casbah di Algeri dove risulta imprendibile per la polizia francese ma l’ispettore Slimane attende pazientemente l’occasione per catturarlo. Un giorno il bandito incontra Gaby, una bellissima mantenuta, tra i due scatta il colpo di fulmine scatenando la gelosia di Ines, la donna di Pépé che lo vende all’ispettore. Catturato mentre s’imbarca sulla nave su cui viaggia Gaby, il bandito preferisce il suicidio alla galera.



Ilbanditodellacasbah


Un classico del cinema francese d’anteguerra che conferma e spiega molto bene il mito di Jean Gabin, bandito gentiluomo che preferisce i duelli verbali alla violenza, soprattutto con l’ispettore Slimane con cui ha instaurato quasi un rapporto di amicizia.
La lunga scena iniziale nella centrale di polizia serve per introdurre l’esotica ambientazione, la casbah piena di vicoli e passaggi sui tetti conosciuti solo alla sua eterogenea popolazione e presentare il personaggio di Pépé: la lealtà con gli amici e il fascino sulle donne. Siccome sarà proprio questa a rovinarlo Pepe entra in scena con un taglio di ripresa che solitamente è riservato alle dive: la telecamera è puntata sulle gambe, vestite di eleganti pantaloni e scarpe con le ghette, fanno subito di Pépé le Moko un sex symbol e anche se Gabin non è bellissimo ha sicuramente la carica per rivestire il ruolo.



Ilbanditodellacasbah


Duviver s’ispira ai gangster movie americani ma il film è diventato una tale pietra miliare della storia del cinema che molto cinema noir americano postmoderno passa da qui.
La casbah è tutta ricostruita in studio, la famosa corsa verso il molo si svolge con un trasparente ma non mancano scene realizzate in esterni, tutto concorre a creare l’atmosfera del film che mischia esotico, poliziesco e melodramma amoroso ma il tema portante, classico del realismo poetico, è la nostalgia.



Fréhel pépé le moko


L’incontro con Gaby avviene in un momento molto particolare, un informatore ha appena causato la morte di Pierre, il più giovane della banda a cui Pépé vuole bene come un fratello, il bandito comincia a rendersi conto che la casbah è solo una prigione più grande da cui non può più uscire pena la vita, l’amore morboso di Ines acuisce il senso di oppressione e improvvisamente compare Gaby, bellissima parigina che ostenta i gioielli conquistati mettendosi con un vecchio riccone. E’ la nostalgia della giovinezza spensierata nei quartieri popolari di Parigi a far scattare la scintilla tra i due, un amore rovinato dall’ispettore Slimane che li manipola per riuscire a catturare il bandito, arrivando anche a far credere a Gaby che Pépé sia morto durante uno scontro con la polizia.



Ilbandito dellacasbah


Da antologia anche la sequenza finale con Pépé che chiede all’ispettore di poter guardare la nave partire prima di essere portato in carcere, Gaby che si affaccia sul ponte e guarda verso la casbah non sapendo che l’amato è vivo e a pochi passi, il bandito grida il nome di lei ma il frastuono della sirena del piroscafo impedisce alla donna di sentire e torna dentro, perso definitivamente l’amore Pépé si suicida mentre Ines gli chiede perdono.
Importantissima anche la colonna sonora fatta di musiche tribali i cui ritmi serrati acuiscono il senso di oppressione della casbah, la canzone cantata da Tania, interpretata da Fréhel, una chanteuse della Belle Epoque che canta un suo vecchio successo con alle spalle una foto dei suoi tempi d’oro, acuisce il senso melanconico del film; anche Jean Gabin canta una spensierata canzone quando crede che l’amore possa ridargli la libertà.
Più che i due mediocri remake americani, Un’americana nella Casbah (Algiers) e Casbah, da ricordare la parodia Totò le Mokò, di Carlo Ludovico Bragaglia del 1949.

Signore e signori

luglio 14, 2019

Italia 1965
con Franco Fabrizi, Olga Villi, Virna Lisi, Beba Loncar, Gastone Moschin, Gigi Ballista, Alberto Lionello, Moira Orfei, Alberto Rabagliati, Antonio Acqua, Nora Ricci, Carlo Bagno, Aldo Puglisi, Gia Sandri, Quinto Parmeggiani, Patrizia Valturri, Virgilio Gazzolo
regia di Pietro Germi



SignoreEsignori


La vita della società alto borghese di una cittadina della provincia veneta che dietro la facciata di perbenismo nasconde l’ossessione sessuale tipica di una società cattolica fortemente repressa: la conquista amorosa è così necessaria per l’affermazione personale che Toni Gasparini arriva persino a confidare all’amico medico Castellan la presunta impotenza che l’affligge da un anno, il medico non perde occasione di lasciar trapelare il pettegolezzo durante una festa di amici accorgendosi troppo tardi che quella di Gasparini è una fandonia messa in piedi per sedurgli la moglie. Quando Castellan coglie i fedifraghi sul fatto risolve tutto con due schiaffoni e la promessa che l’adulterio non diventi di dominio pubblico, perché nonostante il continuo gioco di tradimenti la famiglia è il pilastro fondamentale della società, se ne accorgerà il ragionier Bisigato, uomo mediocre angariato da una moglie petulante che s’innamora, ricambiato, di Milena, la bella cassiera del bar. Bisigato sogna di rifarsi una vita con la nuova compagna ma viene ostacolato da tutti: dagli amici che lo appoggiavano quando quella con Milena era solo una relazione clandestina, alle forze dell’ordine messe in moto dalla moglie. Dal maresciallo al capoufficio tutti consigliano al ragioniere di vivere la storia clandestina con un basso profilo, ma accecato dall’amore Bisigato non demorde e arriva anche a tentare il suicidio quando Milena lascia la città ma viene prontamente salvato e dopo adeguate cure rispedito tra le braccia della famiglia ufficiale.
La famiglia è il pilastro della società e tutta la società collabora perché almeno la facciata della famiglia, soprattutto borghese, sia impeccabile arrivando anche a coprire le colpi più turpi pur di non mostrane il verminaio, così quando il branco di notabili allupati si passa di mano le grazie di una contadinotta sprovveduta arrivata in paese, senza preoccuparsi che la ragazza sia minorenne, lo scandalo montato dal padre della ragazza viene messo a tacere a suon di milioni dopo che tutte le vie, ecclesiastiche e politiche, erano state sperimentate mettendo almeno a tacere la stampa.
Anche l’algida moglie di Gasparini arriva a concedersi pur di salvare il buon nome della famiglia e non paghi di averla scampata il gruppo di borghesi denuncia per calunnie i contadini, rappresentanti di un sottoproletariato fintamente ingenuo in realtà connivente con le classi superiori pur di elemosinarne gli agi.
SignoreesignoriTre storie ispirate a vicende reali che stigmatizzano problemi della società italiana, ancora attuali a cinquant’anni di distanza.
Originale lo stile del film che si discosta dall’abusato modello di film ad episodi tipico degli anni ’60, su suggerimento di Flaiano.
Il film è una storia corale come la piazza, fulcro della vita sociale, luogo degli incontri dei commenti, degli scandali. L’attenzione si sposta nel corso del film sulle tre storie ma a tutte partecipano a vario titolo i diversi personaggi. Tutto concorre, il numeroso cast, le musiche, lo stile di riprese a creare una sensazione d’isteria collettiva che esalta i toni grotteschi della pellicola.

I ragazzi venuti dal Brasile

luglio 11, 2019

The Boys from Brazil
USA 1978
con Gregory Peck, Laurence Olivier, James Mason, Lilli Palmer, Uta Hagen, Steve Guttenberg, Denholm Elliott, Rosemary Harris, John Dehner, John Rubinstein, Anne Meara, Jeremy Black, Bruno Ganz
regia di Franklin J. Schaffner


TheboysfromBrasil


Un giovane americano che da solo sta indagando sui movimenti nazisti in Paraguay contatta Ezra Lieberman, famoso cacciatore di nazisti viennese, per informarlo sulle sue scoperte ma viene ucciso. Le informazioni però sono sufficienti perché Lieberman si metta in azione e intuisca che il dottor  Mengele ha clonato Hitler e sta cercando di riprodurre le medesime condizioni ambientali perché emerga il futuro Führer. L’interesse di Lieberman all’operazione porta i I vertici del movimento nazista a bloccare il piano ma Mangele è deciso a proseguire in prima persona…



Iragazzivenutidalbrasile


Dall’omonimo romanzo di Ira Levin un celebre thriller che riesce ad inquietare ancora oggi perché se nel 1978 la clonazione era ancora un’idea fantascientifica, oggi sappiamo bene che è una pratica attuabile.
Il film è molto intrigante: parte come un giallo d’inchiesta sullo stile dei grandi successi dei film degli anni ’70 come Tutti gli uomini del presidente ma aggiungendo l’elemento “fantascientifico” della clonazione innesta sul genere più attuale dell’epoca il classico modello dello scienziato pazzo interpretato magistralmente da Gregory Peck che si rifà, col suo villaggio di mostri sperduto nella foresta, a personaggi come il Dottor Moreau de L’isola delle anime perdute.
Tanto Mengele è sorretto dalla sua incrollabile follia, tanto Lieberman sopravvissuto a Buchenwald e allo scontro con il diabolico Mengele, si nutre di ironica bonomia, resa perfettamente da Laurence Olivier e fedele ai propri principi negherà la lista degli altri cloni di Hitler all’organizzazione israeliana che vorrebbe eliminarli tutti per evitare ogni possibilità che il piano si possa realizzare.
La regia è ariosa e al servizio della trama, notevole la scena dell’incontro tra Lieberman e il primo ragazzino clone che riflesso all’infinito in un gioco di specchi anticipa la presenza dei sui 93 simili.

Popeye – Braccio di Ferro

luglio 7, 2019

USA 1980
con Robin Williams, Shelley Duvall, Ray Walston, Paul Dooley, Paul Smith, Richard Libertini, Donovan Scott, MacIntyre Dixon, Roberta Maxwell, Wesley Ivan Hurt
regia di Robert Altman



Popeye


Popeye sbarca nel porto di Sweethaven alla ricerca di suo padre che lo ha abbandonato nell’infanzia e trova alloggio nella pensione degli Oyl incontrando Olivia, petulante e segaligna eterna fidanzata di Bluto, un grosso marinaio che comanda la città per conto del commodoro.
Una sera, una valigia di Olivia viene scambiata con un cesto contenente un bambino e Popeye letta la richiesta di affido, decide di farsene carico con l’aiuto di Olivia.
Bluto non prende certo bene la novità e chiede alla pensione Oyl tutte le tasse arretrate, scoperta la capacità di Pisellino di predire il futuro, Poldo lo sfrutta per vincere alle corse e ripagare i debiti ma Popeye si oppone, Bluto rapisce il piccolo e lo porta dal Commodoro che si scopre essere Braccio di Legno, il padre di Popeye. Mentre l’uomo si chiarisce con il figlio Bluto rapisce anche Olivia e si dirige verso l’isola della Scabbia, nello scontro per salvare i suoi cari Popeye scoprirà finalmente le virtù degli spinaci in scatola che si era sempre rifiutato di mangiare.


Olivia


Una pellicola controversa, fin dalla sua uscita del resto un regista caustico come Altman che gira un musical per famiglie tratto da un cartone animato ha già in sé qualcosa di bizarro.
E bizzarro, sgangherato a tratti surreale è anche il film, la trama è decisamente esile, paragonata ai comics odierni è il classico primo capitolo in cui l’eroe scopre e saggia il proprio potenziale: c’è infatti l’incontro con Olivia, l’arrivo di Pisellino e solo in finale entra in scena la famigerata scatola di spinaci che rende superforzuto Braccio di Ferro.
Nel villaggio di Sweethaven Altman adombra una satira dell’America reaganiana: il conformismo, la paura del diverso, l’ossessione per le tasse: Popeye viene accettato dal paese che lo ha sempre schernito quando, involontariamente, getta a mare il gabelliere.
Molte cose non funzionano anche per i problemi durante la realizzazione del film, ma la vena anarcoide dell’opera riesce a trasparire anche nella sforbiciata versione italiana e soprattutto regala a Shelley Duvall, attrice scoperta da Altman, il bellissimo ruolo di Olivia nettamente più centrato di quello di Braccio di Ferro affidato all’esordiente Robin Williams.

Seddok, l’erede di Satana

luglio 5, 2019

Italia 1960
con Alberto Lupo, Susanne Loret, Ivo Garrani, Sergio Fantoni, Rina Franchetti, Tullio Altamura, Andrea Scotti, Franca Parisi, Roberto Bertea
regia di Anton Giulio Majano



Seddok


Una spogliarellista rimane sfigurata in un incidente d’auto mentre insegue l’uomo di cui è innamorata con cui si era appena lasciata. Ormai sull’orlo del suicidio, Jeanette viene contattata dal professor Levin che le offre una cura sperimentale che le ridarà l’antica bellezza, lo scienziato s’innamora di Jeanette e quando si accorge che la cura non funziona arriva ad iniettarsi un siero per trovare il coraggio di uccidere altre donne da cui prelevare i tessuti da innestare sull’amata.



Seddok  l'erededisatana


Horror di serie B che vede alla regia Anton Giulio Majano, re degli sceneggiati Rai.
Il Satana evocato dal titolo non ha nulla a che fare con la trama incentrata sul classico scienziato pazzo, il debito principale è verso il capolavoro dell’horror francese Occhi senza volto: gli innesti di pelle che falliscono e gli omicidi delle donne da cui prelevare i tessuti, a cui si aggancia una variazione del tema del Dottor Jekyll e Mr Hyde: Levin compie i suoi studi solo, con l’aiuto dell’immancabile servo muto e di una devota infermiera innamorata di lui che sarà la prima sacrificata per continuare le cure di Jeanette; non avendo il coraggio di uccidere a sangue freddo, il professore s’inietta una pozione che stimola gli aspetti più belluini dell’essere umano e si trasforma in un mostro senza remore. La trasformazione mostruosa ovviamente avviene a favore di telecamera e per essere una produzione a basso costo del 1960 è più che soddisfacente, del resto nella produzione c’è lo zampino di Mario Bava.



Atomagevampire


Il film crolla sul finale perché si trasforma in un giallo abbastanza prolisso quando l’acuto ispettore di polizia interpretato da Ivo Garrani trova impossibile che la ripetizione del modus operandi dell’assassino sia imputabile al gorilla fuggito dallo zoo (sottile tributo a I delitti della Rue Morgue di Poe); inoltre, l’omicidio della mitomane che sproloquiava di un misterioso mostro da lei chiamato Seddok portano a sospettare degli strani comportamenti del professore portando a noiosi pedinamenti.


Seddok


Peccato le lungaggini finali perché la pellicola era piuttosto godibile: il tema del doppio era reso molto bene cinematograficamente da eleganti giochi di immagini riflesse, in aggiunta il coraggio di mostrare anche foto dei sopravvissuti alla bomba di Hiroshima: gli studi di Levin infatti prendono spunto dalle radiazioni atomiche che lo scienziato vorrebbe sfruttare per trovare una cura al cancro, “un male usato a fin di bene” dice l’ispettore anche un po’ filosofo.



Seddok


Sempre dalle radiazioni arriva il titolo americano del film, Atom Age Vampire.

I Giovani Leoni

luglio 1, 2019

The Young Lions
USA 1958 20th Century Fox
con Marlon Brando, Montgomery Clift, Dean Martin, Hope Lange, Barbara Rush, May Britt, Maximilian Schell, Dora Doll, Lee Van Cleef, Liliane Montevecchi
regia di Edward Dmytryk



Igiovanileoni


 Christian Diestl un giovane tedesco ambizioso vede nel nazismo l’opportunità per elevarsi socialmente pensando che tutti i discorsi sulla superiorità della razza siano solo propaganda senza nessun fondamento. Dall’occupazione di Parigi alla campagna d’Africa fino al ritorno in una Germania distrutta, Diestl avrà modo di constatare che quella che riteneva paccottiglia elettorale è l’unica cosa che è stata messa in pratica. Finirà ucciso da Michael Whiteacre un soldato americano che per gran parte della guerra ha solo cercato di imboscarsi ed evitare la battaglia, a differenza del suo amico Noah Ackerman, un giovane ebreo che ha pagato duramente l’antisemitismo serpeggiante nell’esercito.


Igiovanileoni


I Giovani Leoni fu un grande successo al botteghino, un kolossal bellico di quasi tre ore che va contestualizzato nella sua epoca, negli Stati Uniti appena usciti dal maccartismo e diretto da un regista finito sulla lista nera che aveva pagato con l’esilio in Europa la caccia alle streghe di Mc Carthy.
Pur con qualche lunghezza di troppo, il film resta ancora godibile e si fa apprezzare per il coraggio di denunciare l’antisemitismo ben presente nell’esercito degli Stati Uniti di cui è vittima il timido ma intemerato soldato Ackerman che si cerca anche di far passare per disertore (nel ruolo del sergente Rickett troviamo un perfidissimo Lee Van Cleef) anche mostrare un soldato che non nasconde il suo desiderio di rifuggire la leva, il cantante Michael Whiteacre è un passo interessante, le due linee narrative si risolvono ovviamente in gloria: il comandante interviene prontamente per mettere fine al bullismo a cui è sottoposto Ackerman e i suoi compagni lo reintegrano amichevolmente nella compagnia mentre Whiteacre si decide ad affrontare la battaglia di Normandia per amore della bella  Margareth.



Theyounglions


A salvare il film dalla retorica è l’intervento di Marlon Brando: fu lo stesso attore ad insistere per mostrare la presa di coscienza del suo personaggio che nel romanzo omonimo di Irwin Shaw, da cui il film è tratto, resta tetragono e fedele all’ideale nazista fino alla morte.
La presa di coscienza di Diestl avviene nei vari passaggi se nell’occupazione di Parigi il tenente è convinto che l’unione per quanto forzata tra Germania e Francia porterà all’unione dell’Europa, il soldato inizia ben presto ad esser insofferente al ruolo di poliziotto che cattura i dissidenti per farli torturare dalla Gestapo. Trasferito in Africa rifiuta di uccidere i nemici sopravvissuti a un attacco militare. Tornato in Europa trova la Germania distrutta e scopre di aver fornito inconsapevolmente l’arma che il suo capitano ha usato per suicidarsi; con l’amico Brandt torna in Francia dalla ragazza di cui è innamorata ma l’impossibilità di sfuggire ai troppi orrori visti lo riporta in battaglia e le sue avventure finiranno nei pressi di un campo di concentramento dove toccherà con mano l’indicibile.



Igiovanileoni


 
Brando incarna da par suo la parabola di Christian Diestl, all’inizio è davvero statuario come il “nume dorato” a cui lo paragona Françoise, poi il suo sguardo si fa sempre più assente e si trasforma in una maschera di disperazione quando capisce di non aver più nulla in cui credere, a differenza dei due soldati che proprio in quel momento incrocia sulla sua strada: l’amore di una compagna e per Ackerman anche di una figlia, sono in fondo i veri motivi per combattere e voler riportare a casa la pelle.