Archive for ottobre 2011

Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno ***IMAX 3D***

ottobre 31, 2011

LeavventurediTintin_Unicorno TinTin acquista il modellino di un veliero ad un mercatino e non ha quasi il tempo di concludere la trattativa che due diversi acquirenti si offrono di ricomprarglielo, ma l’acuto reporter non accetta l’offerta. Ben presto il modellino gli viene rubato ma il segreto che la nave custodiva con cura rimane fortuitamente a casa del giornalista. Tornato ad avvisare TinTin del pericolo che corre, uno dei due acquirenti del modellino muore riuscendo pero’ a lasciare un indizio fondamentale per il fiuto del giornalista che si imbarca in una fantastica avventura..

La leggenda vuole che all’uscita del primo Indiana Jones a Spielberg fosse fatta notare la somiglianza tra le avventure del suo spericolato archeologo e quelle di TinTin, il protagonista dei fumetti di Herge’. Non sapendo nulla del lavoro del fumettista belga Spielberg si incuriosi’ e finì per appassionarsi alle avventure del giovane reporter fino a decidere di portarlo sul grande schermo in collaborazione con Peter Jackson che ora produce ma in futuro dirigera’ i due prossimi episodi.
Il segreto dell’unicorno paradossalmente lascia un po’ in secondo piano la figura di TinTin concentrandosi di piu’ sulla genesi del rapporto con il suo compagno di avventure, il capitano Haddock e gran parte del fiuto del celebre reporter nasce dal naso del fedele terrier Milou e infatti molte inquadrature sono ad altezza di cane, soprattutto quella iniziale nel mercato che si apre con il reporter che si fa fare un ritratto e quando ci viene mostrato il disegno sara’ il volto del TinTin dei fumetti di Herge’. Pagato il tributo al padre del protagonista, Spielberg imbastisce una storia che cresce piano piano e si fa sempre piu’ avventurosa e rocambolesca con citazioni dei precedenti lavori di Spielberg: il ciuffo di TinTin che fende l’onda come la pinna de Lo squalo, il vilain interpretato da un irriconoscibile Daniel Craig che ricorda un po’ le sembianze del regista ed infine le pergamene che svolazzano come la piuma di Forrest Gump, il capolavoro di Zemeckis che per primo si avventuro’ nel campo della performance capture con Polar Express.
All’inizio del film mi sono chiesta perche’ complicarsi la vita “cartonizzando” attori veri quando non c’è la necessita’ di far convivere personaggi reali e fantastici, la risposta arriva nel corso della pellicola quando si capisce che solo questa tecnica permette inquadrature cosi’ ardite e scene rocambolesche (superlativo il combattimento con le due gru portuali) da cui i protagonisti possono uscire senza un graffio.
Vedere il film in IMAX, poi, offre una profondita’ e luminosita’ delle immagini notevolissime e finalmente mi ha fatto capire le potenzialita’ del 3D, una tecnologia che trovavo ripetitiva e banale nella composizione dell’immagine che puntava solo sulla sensazione di ricevere in faccia qualcosa scagliato dallo schermo. Il lavoro di Spielberg non utilizza mai questo scontato giochino ma compone le inquadrature in raffinatissimi giochi di specchi, vetri, lenti, riflessi sull’acqua, in una fantasmagorica esperienza visiva. Forse un film dove la tecnica prevale sul cuore ma sicuramente una bella storia che (di)mostra nuove potenzialita’ raffinate ed inesplorate della tecnologia.

Bar Sport

ottobre 27, 2011

Barsport

Dal celeberrimo romanzo omonimo di Stefano Benni un’operina senza infamia e senza lode che non aggiunge nulla al mito del libro scritto nel 1976 ma ripropone pedissequamente il bestiario da bar creato da Benni con un certo impegno formale. All’accurata ricostruzione storica della provincia anni’70 si unisce infati l’uso di inserzioni a cartoni animati e altri effetti speciali per sottolineare gli aspetti piu’ surreali del racconto.
Risate assicurate per una pura serata d’evasione ma non aspettatevi nulla di piu’, nessun effetto amarcord. O forse si’, ma piu’ che verso il romanzo e un certo modo di vivere la provincia verso ZanziBar, sitcom della fine degli anni ‘80 prodotta dalla Italia 1 di Carlo Freccero: se volete prendervi la briga di controllare scoprirete che i membri del cast sono per buona parte gli stessi con l’aggiunta doverosa, vista l’ambientazione, dei protagonisti di quella scuola comica bolognese sempre relativa agli anni ’80, da Vito ai Gemelli Ruggeri, qui in due comparsate separate.

Detective Dee e il mistero della fiamma fantasma

ottobre 26, 2011

DetectiveDee Nel 690 d.C. sta per salire sul trono dell’impero cinese Wu Zetian, la prima ed unica donna nella storia a ricoprire questa carica. Per glorificare il giorno della sua incoronazione viene edificata un’enorme statua del Buddha ma misteriosi fenomeni di autocombustione carbonizzano i dignitari preposti al controllo dei lavori. Per risolvere l’arcano l’imperatrice chiama l’acuto Dee Renjie, un dissidente che otto anni prima si era strenuamente opposto all’ascesa della monarca.

Tsui Hark torna a lavorare in Cina e il suo talento apporta delle innovazioni ironiche al compassato genere storico del cinema cinese degli ultimi anni, fedelissimo alla ricostruzione storica e all’eleganza visiva. Hark stravolge il rigore storico e piu’ che all’improbabile centurione romano in visita al Buddha (l’impero romano cade nel 476 d.C) mi riferisco al secondo incontro tra l’investigatore e la sovrana, quando quest’ultima sfoggia un cappellino in pelliccia piu’ consono a una diva anni ’30 che a un’imperatrice della dinastia Tang. Ci sono iniezioni di commedia rosa nei bisticci tra Dee Renjie, e la bella Shangguan Jing’er, comandante delle guardie reali, il cui personaggio resta un po’ misterioso mentre avrebbe meritato un’attenzione maggiore. C’e il coraggio di criticare il potere soprattutto nell’inquadratura finale che racconta la drammatica solitudine dell’imperatrice. Quello che non funziona e’ la storia troppo complicata, che risulta difficile da seguire e se un film che dura 122 minuti impiega un buon quarto d’ora in flashback e dialoghi esplicativi degli snodi precedenti, ha oggettivamente qualche problema di costruzione della trama che non riesce mai ad avvincere veramente lo spettatore, ma lo stupisce solo con la fantasmagoria delle invenzioni.
Perfetta invece la grazia e l’energia dei combattimenti che raggiungono il culmine nel duello al Monastero Infinito dove la long exposure (aiutata anche dagli effetti speciali) crea suggestivi effetti con il vorticare delle ampie maniche del(la) duellante in rosso.

Mildred Pierce

ottobre 21, 2011

MildredPierce Nonostante la fama di miniserie HBO pluripremiata ho iniziato a guardare con un certo distacco i primi due episodi della fiction perche’ molto legata al film Il romanzo di Mildred che nel 1945 Michael Curtiz aveva tratto dal romanzo di James M. Cain, ispirazione piuttosto libera, dato che il il cuore attorno a cui ruota il film, l’omicidio di Monty Beregon, nel romanzo non c’e’ come non c’e’ nella miniserie, molto piu’ fedele al romanzo.
Fatto sta che dopo una mezzoretta di distacco saccente degno di Veda Pierce, ho smesso di appuntarmi le scene che c’erano anche nel film e mi sono lasciata completamente travolgere da questa nuova versione della vicenda di Mildred Pierce. L’attualita’ del tema e’ lampante: stiamo vivendo la piu’ grossa crisi economica dal 1929 e quindi ritorna contemporanea la storia di questa donna che nel ‘31 costringe il marito a scegliere tra lei e l’amante venendo scartata e di conseguenza si ritrova costretta a cercarsi un lavoro per mantenere sè stessa e le due figlie. Essendo di estrazione sociale medio alta all’inizio Mildred non vorrebbe accettare i lavori piu’ umili da cameriera o governante ma alla fine si dovra’ accontentare di servire in una tavola calda scendendo a patti con il proprio orgoglio e quello della figlia primogenita, Veda, viziata e spocchiosa a cui Mildred perdona tutto perche’ specchio delle sue proprie ambizioni. Sara’ proprio per giustificarsi con Veda che Mildred si aggrappa all’idea di avere un ristorante suo e le prime due puntate trasmesse venerdi scorso su Sky Cinema 1 terminano con la morte della secondogenita a pochi giorni dall’apertura del locale, subito dopo una breve fuga d’amore con Monty e ora fremo per sapere come evolvera’ la storia.
Alla regia del prodotto troviamo Todd Haynes, alla sua prima esperienza di direzione televisiva. Dopo il biopic su Bob Dylan I’m not there, il regista torna alle atmosfere melo’ del cinema anni ‘40/’50 che aveva gia’ esplorato in Lontano dal Paradiso. La lunga durata del progetto televisivo gli permette di indulgere in una narrazione molto piana, di stampo classico con dettagli che ben sottolineano i momenti culminanti (la caviglia sanguinante di Mildred dopo la mattinata alla ricerca di un lavoro) e scene che illustrano perfettamente la psicologia della protagonista (il colloquio con la ricca signora per il posto di governante). Molto importante la colonna sonora che non e’ solo bella e ricca di brani d’epoca ma attraverso il sentimento espresso dal brano si vuole sottolineare l’emozione del momento.
Kate Winslet ha vinto l’Emmy 2011 come miglior attrice tv ed e’ indubbiamente molto brava ma per ora sono ancora legata al modello di Joan Crawford, che per Il romanzo di Mildred, vinse l’Oscar: la diva aveva un piglio volitivo che ben si confaceva all’ambiziosa Mildred, mentre trovo la Mildred della Winslet piu’ ordinaria, probabilmente è piu’ realistica e mi affezionero’ a lei prima della fine dei 5 episodi ridotti solo a 3 nella versione Sky non per tagli ma perche’ il pubblico italiano regge 2 ore consecutive di messa in onda.

This must be the place

ottobre 20, 2011

Thismustbetheplace Cheyenne, una rockstar che faceva musica dark negli anni ‘80, si e’ ritirato in un esilio dorato in Irlanda dopo che due fans si sono suicidati su (presunta) istigazione dei suoi testi. Quando il padre, con cui non parlava da oltre trent’anni, muore, Cheyenne torna a New York e cerca di portare a termine la ricerca che aveva ossessionato la vita del genitore: scovare il nazista che, quand’era internato ad Auschwitz, lo aveva umiliato.

Per mesi ho avuto davanti agli occhi il faccione di Sean Penn truccato da dark e solo nell’inquadratura iniziale in cui si trucca ho colto la derivazione del look di Cheyenne da quello di Robert Smith dei Cure, invece quando ho visto Paolo Sorrentino a Che tempo che fa ho pensato che fosse pettinato come Tim Burton e in effetti Cheyenne per certi versi mi ha un po’ ricordato Edward mani di forbice: il maniero che sovrasta il sobborgo, la disponibilita’ che Cheyenne dimostra verso la gente comune da cui viene accettato nonostante l’aspetto bizzarro, l’ingenuita’ del personaggio che pian piano scopriamo essere meno stordito di quel che appare a prima vista ma ben piu’ saggio e furbo, insomma si impara ad amarlo e solo il cinismo di Sorrentino poteva architettare un happy end cosi’ tremendo in cui distrugge la figura che ci ha insegnato ad apprezzare. Per tutto il corso del film ho pensato che sarei tornata a rivederlo in sala ma ora non so se ho la forza di rivedere l’adulto che prende il posto dell’uomo bambino: la vendetta richiede la perdita del candore e dell’ingenuita’ e quell’uomo del finale, oltre a fumare, prima o poi si comprera’ anche un cellulare: fine terribile di una fiaba.
Se non fosse per la cinica zampata finale, This must be the place sarebbe il “solito” road movie con cui un regista europeo racconta gli States, con la sua pletora di personaggi bizzarri e paesaggi sterminati (per altro questi film sono sempre belli) ma a parte il finale che mi ha fatto sanguinare il cuore, in questa pellicola torna ad esaltarsi il gusto eccezionale per la composizione dell’immagine di Sorrentino che non era stato piu’ cosi’ centrale nella sua economia filmica dai tempi de Le conseguenze dell’amore.

Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento

ottobre 17, 2011

Arrietty Sho e’ un ragazzino con gravi problemi cardiaci che, prima di un risolutivo intervento al cuore, trascorre una settimana nella casa di campagna in compagnia della nonna. Appena arrivato intravede una ragazzina alta dieci centimetri nascondersi tra l’erba e verra’ a scoprire che da tempo si pensa che la casa sia abitata dagli gnomi. Benche’ uomini e gnomi non debbano mai incontrarsi, tra Sho e Arrietty nascera’ un forte legame.

L’ultima fatica dello Studio Ghibli e’ un’idea del maestro Miyazaki ma segna l’esordio di un suo pupillo, Hiromasa Yonebayashi. Il progetto, da tempo accarezzato da Hayao Miyazaki, si ispira alla serie di romanzi The Borrowers (in italiano Gli Sgraffignoli, ed. Salani) dell’autrice inglese Mary Norton.
Il messaggio ambientalista del maestro dell’animazione giapponese e’ sempre forte: gli gnomi “prendono in prestito” solo lo stretto indispensabile che gli serve per vivere, essendo maghi del riciclo (adorabile la casa sotto il pavimento in cui vive Arrietty con i genitori). E’ uno dei rari casi in cui in un film di Miyazaki non viene messa in scena una trasformazione ma qui lo scontro e’ frontale tra gli umani che fanno danni anche quando vogliono essere buoni, vedi la scena dello scambio delle cucine che equivale a un terremoto per il piccolo mondo di Arrietty e la sua famiglia e fa scoprire all’avida cameriera la presenza degli gnomi costringendoli al trasloco. La razza degli gnomi e’ in via di estinzione ma la grinta e la voglia di vivere scorre piu forte in loro che nella razza dominate degli umani, non per nulla il ragazzo e’ gravemente malato di cuore e poco fiducioso nell’esito dell’ntervento e solo l’incontro con l’intrepida ragazzina gli dara’ la forza per combattere per la propria salute (da qui la voce off di Sho adulto che all’inizio della pellicola introduce questo episodio della sua infanzia). In questo contrasto tra le due razze si ravvisa facilmente un paragone con le popolazioni povere della Terra costrette alla migrazione e la mollezza della societa’ capitalista.
Temi di grande attualita’ raccontati con la consueta raffinatezza dello Studio Ghibli che meraviglia lo spettatore con gli oggetti piu’ banali di un’abitazione mostrati dal punto di vista degli gnomi per i quali tutto e’ enorme e fonte di sfida; gli assolati esterni estivi, invece, hanno reminiscenze di gusto impressionista. Nonostante questa raffinatezza dell’immagine e la complessita’ dei temi trattati, le pellicole di Miyazaki, sono considerate, soprattutto nei multiplex di provincia, un genere esclusivamente per bambini costringendo gli appassionati come la sottoscritta a infilarsi in sale semivuote ad improbabili orari pomeridiani del sabato o la domenica.

Carnage

ottobre 14, 2011

Un litigio ta ragazzini degenera in violenza e uno perde due denti per la bastonata dell’altro. I quattro genitori si incontrano per cercare di risolvere civilmente il problema ma ben presto anche il loro tentativo di rappacificazione degenera..

Carnage

Partiamo dalla fine, che vede il criceto Culetto (!) riuscire a sopravvivere nei parchi di New York e i ragazzini tornare amici come prima. La vita continua a discapito delle sovrastrutture mentali dei quattro genitori che non sanno piu’ riconoscere il giusto peso di una rissa tra ragazzini e scaricano su questo incontro chiarificatore tutte le loro ansie e frustrazioni personali. Se la conversazione era stata elevata ad arte nel tardo settecento e aveva imperato per i due secoli successivi facendo grande la cultura occidentale oggi ne constatiamo il tragico e definitivo declino: l’impossibilita’ di comunicare perche’ il dialogo e’ sempre interrotto da una telefonata al cellulare, il pregiudizio verso l’altro che cataloghiamo sempre in base a definizioni di censo o politiche: chi non si e’ schierato ad inizio pellicola per la coppia che gli era piu’ congeniale, quella piu’ liberal o quella apparentemente piu’ progressista, prima di scoprire la mediocrita’ di entrambe?
Il quadro che Polanski fa della borghesia medio alta e’ impietoso e ne mette alla berlina tutti i difetti grazie a un quartetto di attori in stato di grazia e utilizzando due generi cinematografici classici, la claustrofobia del kammerspiel in cui il regista e’ indubbio maestro e i toni grotteschi e graffianti della screwball comedy: quant’e perfida ed emblematica la scena in cui il personaggio di Kate Winslet, dopo aver vomitato nel salotto dei Longstreet si pulisce le mani con l’igenizzante immediatamente dopo essere uscita dal loro bagno in cui e’ andata a pulirsi?

L’alba del pianeta delle scimmie

ottobre 11, 2011

Un gruppo di scimpanze’, che vive allo stato brado nella foresta, viene catturato per essere portato in un laboratorio a San Francisco dove verra’ utilizzato per sperimentare nuovi farmaci contro l’alzheimer. Una femmina risponde in maniera eccezionale alla cura ma il giorno della presentazione del prodotto agli azionisti, l’animale diventa particolarmente aggressivo. Solo dopo l’eliminizione del gruppo si scoprira’ che la rabbia della scimmia non era una conseguenza del farmaco ma nasceva dall’istinto di protezione verso il suo piccolo nato all’insaputa dei veterinari che la controllavano. Will Rodman, lo scienziato che portava avanti la ricerca, si ritrova ad occuparsi del piccolo scimpanze’ che fara’ la gioia del vecchio padre malato di alzheimer e si accorge ben presto che il cucciolo ha assorbito per via fetale i medicinali somministrati alla madre sviluppando in maniera esponenziale il proprio quoziente intellettivo. Dopo alcuni anni Cesare, per difendere l’amato padrone, aggredisce il vicino di casa e finisce in un centro di accoglienza per primati, qui lo scimpanze’, che in virtu’ della sua intelligenza si poneva gia’ delle domande sulla propria natura, si vede costretto a scegliere tra il legame con gli uomini o l’appartenenza alla propria specie..

Lalbadelpianetadellescimmie

Pur essendo un buon film di genere dagli ineccepibili effetti speciali, L’alba del pianeta delle scimmie ha il sapore dell’occasione mancata perche’ la storia e’ estremamente originale ed interessante e se tutte le parti fossero state sviluppate con la medesima attenzione ci saremmo trovati davanti ad un capolavoro, o quasi. Se la presa di coscienza di se’ da parte di Cesare e’ seguita con cura, altrettanto non si puo’ dire del personaggio di Will, lo scienziato che suo malgrado si trova a fare da padre a Cesare. Non vengono analizzati i conflitti del legame con una creatura a cui lo lega un rapporto da una parte affettivo per la convivenza e dall’altra di sfruttamento visto che appartiene alla razza che viviseziona giornalmente per i suoi esperimenti; ne’ il fidanzamento con la bella veterinaria dello zoo introduce un dibattito sul diverso modo con cui rapportarsi agli animali. Attenzione, non voglio dire che questo film dovesse essere l’occasione per riflettere sulla cattivita’ e sulla vivisezione, ma piuttosto rileggere stilemi tipici dei film di mostri della Warner anni ‘30 perche’ e’ indubbio che il legame conflittuale tra Cesare il suo creatore faccia pensare al mito di Frankentein. Di certo la figura di Will Rodman avrebbe meritato maggiore cesellatura visto che la trama si evolve anche grazie a un potenziamento del farmaco che causera’ un contagio mortale tra gli esseri umani, tema rimasto un po’ in sordina ma che avra’ certamente spazio nel probabilissimo secondo capitolo, visti gli ottimi incassi. L’unico modello a cui sembra rifarsi il regista e’ The elephant man nella presa di coscienza della propria umanita’ da parte del “mostro” e la visita notturna del guardiano con l’amico e le due ragazze da broccolare cita espressamente una scena del capolavoro lynchiano, come anche il NO urlato da Cesare: l’autodeterminazione passa sempre attraverso la ribellione, quantomeno vocale.
Il regista, Rupert Wyatt, sta molto attento a non cadere nel citazionismo del cinema legato alle scimmie o forse lo fa in una maniera estremamente sofisticata: quando Buck, il gorilla luogotenente di Cesare si lancia sull’elicottero per salvare il suo capo e’ impossibile non pensare a una rivincita metacinematografica di King Kong e tutte le volte che le scimmie maneggiano un oggetto “tecnologico” in particolare il taser del guardiano bastardo, desideri fortemente che lo lancino in alto in omaggio a 2001, Odissea nello spazio: la citazione non piu’ espressa ma solo evocata.

Drive

ottobre 10, 2011

Drive Stuntman di giorno e autista per bande di rapinatori di notte, potrebbe sistemare la propria vita sfruttando l’innegabile talento al volante in regolari corse automobilistiche ma l’amore e il destino si mettono di traverso..

Ottimo noir metropolitano che coniuga atmosfere rarefatte a improvvisi scoppi di violenza (mai troppo splatter comunque) con un disperato romanticismo di fondo ben supportato da Carey Mulligan, gli occhioni piu’ liquidi del cinema contemporaneo.
Ryan Gosling, il protagonista maschile e’ perfetto per questo ruolo di straniero solitario e senza nome piovuto in una tentacolare e crudele Los Angeles non si sa da dove.
Molto si e’ detto dello stile del regista Nicolas Winding Refn, che fonde atmosfere europee a stilemi americani, si puo’ forse approfondire le definizioni chiarendo che il gusto europeo e’ di matrice profondamente nordica: i silenzi e i colori mi hanno ricordato i finlandesi Kaurismaki, mentre dalla Svezia arrivava Lasciami entrare altra pellicola notturna rarefatta in cui la violenza esplodeva improvvisa di cui in questi giorni e’ nelle sale il remake americano, Blood Story.
Per quanto riguarda il lato americano della vicenda, lasciando in sospeso i debiti con Driver l’imprendibile di Walter Hill di cui Refn dice di non esser stato a conoscenza fino all’inizio delle riprese, di certo possiamo trovare una stilizzazione di modelli che risalgono al genere americano per eccellenza, il western di cui ritroviamo i topoi piu’ simbolici: il cavaliere solitario e senza nome, la rapina, il sacrificio in nome di un valore piu’ alto che porta all’eroismo (significativa in questo senso l’ultima canzone della bellissima colonna sonora di Drive, A real hero)
Di certo lo strabismo di Refn che guarda al cinema americano e allo stile europeo, trova un suo equilibrio personale che si esprime al meglio nell’uso delle luci, con interni dai forti chiaroscuri illuminati spesso da luci laterali rappresentata magistralmente nel gioco di luci dentro l’ascensore prima del bacio e della rissa a cui ancora una volta si oppone la lotta finale con Berny girata in uno spazio aperto e raccontata attraverso i movimenti e le deformazioni delle ombre dei due antagonisti riflesse sull’asfalto.