Archive for dicembre 2021

Idolo infranto

dicembre 30, 2021

Fallen Idol
GB 1948 London Film
con Ralph Richardson, Michèle Morgan, Bobby Henrey, Sonia Dresdel, Dennis O’Dea, Jack Hawkins, Walter Fitzgerald, Dandy Nichols, Joan Young, James Hayter, Geoffrey Keen, Bernard Lee, John Ruddock, Dora Bryan, Karel Stepanek, Gerard Heinz, Torin Thatcher, George Woodbridge, Hay Petrie, Ethel Coleridge, Ralph Norman, James Swan, Nora Gordon
regai di Carol Reed



Fallenidol


Philip, figlio di un ambasciatore, trascurato dal padre per gli impegni di lavoro e con la madre malata e ricoverata, riversa tutto il suo affetto sul maggiordomo Baines. Ben diversi sono i sentimenti per la moglie del maggiordomo, severa ed arcigna governante dell’ambasciata. Senza volerlo il ragazzino rivela alla signora Baines la tresca del marito con una giovane dattilografa che lavora nell’ambasciata. La perfida governante finge di allontanarsi per alcuni giorni, sicura di poter cogliere i due amanti sul fatto come avviene, segue un litigio tra i due coniugi e la donna muore cadendo dalle scale: la morte è accidentale ma il ragazzino, credendo che sia stato il marito ad ucciderla fugge a notte fonda, viene trovato dalla polizia e riportato a casa mentre il medico sta verbalizzando la morte della signora Baines come accidentale ma il comportamento del bambino rischia di fare incriminare il maggiordomo….



Thefallenidol


Il film è tratto da un racconto di Graham Greene sceneggiato dallo stesso autore. E’ il primo film dei tre che Reed trae dalle opere dello scrittore inglese, a cui seguono il capolavoro Il Terzo Uomo e Il nostro agente all’Avana.
A colpire maggiormente sono i virtuosismi tecnici della pellicola che vanta più di mille inquadratura per una durata di nemmeno 100 minuti. Virtuosismi che va sottolineato, non sono fine a sé stessi ma hanno anche il merito di creare l’atmosfera carica di tensione di una storia che sarebbe potuta essere anche risibile; invece le grandi panoramiche degli ambienti della villa di rappresentanza sottolineano lo sguardo del bambino. La scelta di un improbabile animale domestico come un serpentello chiamato Napoleone rende da subito la situazione infida in cui si deve muovere Philip, costretto a destreggiarsi tra i segreti degli adulti. L’insistenza sulla presenza dell’animale che il ragazzino si porta anche in giro per la città e l’odio che la signora Baines nutre per l’animale che chiama dispregiativamente il verme, fanno già intuire la pessima sorte che toccherà al povero rettile.
Baines e Julie riescono a distrarre il bambino dal dolore per la morte di Napoleone ma quella che dovrebbe essere una sera spensierata, anzi l’unico momento veramente spensierato della storia, diventa prodomo della disgrazia imminente grazie al gioco di luci dove prevalgono i toni cupi e grazie alle inquadrature sghembe.
I personaggi sono rappresentati ad altezza di sguardo infantile: il simpatico Baines, l’unico a prestare un po’ di attenzione al ragazzino che spesso resta solo in ambasciata, è visto come un eroe e i racconti favolistici di millantate avventure africane, rischieranno di trasformare il casalingo maggiordomo in uxoricida.
La sgradevole signora Baines severa e gelosa del marito appare malefica come una strega agli occhi di Philip, figura a cui si contrappone la dolce Julie, l’amante del maggiordomo.



Idoloinfranto

La visione parziale degli eventi convince il bambino che Baines abbia ucciso la moglie spingendolo alla fuga nella notte londinese, l’incontro con il poliziotto è un altro momento di grande sensibilità che mette in luce la diffidenza infantile nel rifiutare di avvicinarsi al gendarme per seguirlo a debita distanza.
Lo sguardo a misura di bambino sparisce nella risoluzione del caso e Philip è ridotto solo a un ragazzino petulante che non capisce perché il fatto di raccontare la verità che gli è stato tanto raccomandato, diventi improvvisamente una cosa fastidiosa. Resta la delusione di scoprire che Baines non ha il passato avventuroso che ha millantato ma forse il ritorno della madre dopo tanto tempo potrà riportare il bambino alla sua giusta dimensione infantile.

I Vampiri di Praga

dicembre 26, 2021

Mark of the Vampire
USA 1935 MGM
con Lionel Barrymore, Elizabeth Allan, Bela Lugosi, Lionel Atwill, Jean Hersholt, Henry Wadsworth, Donald Meek, Jessie Ralph, Ivan F. Simpson, Franklyn Ardell, Leila Bennett, June Gittelson, Carroll Borland, Holmes Herbert, Michael Visaroff
regia di Tod Browning



Markofthevampire


Nonostante lo scetticismo della polizia, la morte improvvisa di Sir Karell Borotyn sembra proprio causata dai vampiri. Quando le malefiche creature iniziano ad accanirsi anche su Irena, la figlia di Borotyn, viene chiamato il professor Zelen, esperto in arti magiche che utilizza tutti i metodi per sconfiggere i vampiri ma scopre anche il vero assassino…



Markofthevampire


E’ difficile dare un parere su I Vampiri di Praga, il film è il remake sonoro di London After Midnight del 1927 con Lon Chaney, film considerato irrimediabilmente perduto. Come non bastasse la versione sonora del film è stata censurata e sforbiciata di circa una ventina di minuti quindi è veramente difficile comprendere gli intenti del regista.
La questione ovviamente gira tutta attorno al colpo di scena finale dove si annulla totalmente l’elemento sovrannaturale in favore di una spiegazione razionale annullando il coté horror della pellicola per trasformarla in un giallo: la mistery comedy era un genere molto in voga alla fine degli anni ’20 ma come interpretare questo film diretto dal regista che ha firmato Dracula, dando vita alla grande stagione dei mostri horror? E’ un ritorno al passato o un superamento definitivo del genere? Difficilmente si potrà avere una risposta.



Ivampiridipraga


Personalmente ho trovato molto divertente il plot twist finale e mi ha permesso di apprezzare a posteriori alcune caratteristiche del film che avevo trovato un po’ pesanti: il conte Mora (Bela Lugosi) e la figlia Luna appaiono sullo stesso scalone del set originale di Dracula che scendono tra un eccessiva attenzione registica per tutti gli animali simbolici legati ai vampiri: blatte, ragni, ratti e pipistrelli. Un profluvio davvero esagerato che però trova un senso se si pensa che è una mistificazione teatrale come poi ci rivelerà la sceneggiatura; anche dal punto di vista autoriale è come se Browning ci volesse avvisare, con questa insistenza, che stiamo vedendo qualcosa di diverso da Dracula.
Nonostante lo scetticismo della polizia, la morte improvvisa di Sir Karell Borotyn sembra proprio causata dai vampiri. Quando le malefiche creature iniziano ad accanirsi anche su Irena, la figlia di Borotyn, viene chiamato il professor Zelen, esperto in arti magiche che utilizza tutti i metodi per sconfiggere i vampiri ma scopre anche il vero assassino…



Markofthevampire


Bela Lugosi non parla mai durante il film, ha solo la battuta finale ironica e profetica al tempo stesso in cui il teatrante che interpreta decide che d’ora innanzi interpreterà solo vampiri. A mordere le vittime è più Luna, l’iconica figlia vampiro, va detto che gli attacchi vampireschi sono molto pochi e poco mostrati nel film, altro elemento che dovrebbe far capire allo spettatore che quello a cui sta assistendo è qualcosa di diverso dall’horror. Il legame tra i vampiri e le loro vittime è affidato più a un potere ipnotico sottolineato da una notevole colonna sonora.
Il legame tra i due vampiri dovrebbe essere la causa della censura del film: Lugosi ostenta una visibilissima chiazza di sangue sulla tempia di cui non è data nessuna spiegazione, pare che la parte censurata alluda proprio alla trasformazione del conte Mora in vampiro, maledetto per essersi suicidato con un colpo di pistola alla tempia dopo aver strangolato la figlia che lo segue nella maledizione a causa del loro legame incestuoso.


I vampiri diPraga


Anche la figura del professor Zelen si discosta da quella classica di Van Helsing, l’esperto in questione interpretato da Lionel Barrymore, parla molto e discetta su leggende e rimedi contro i vampiri ma l’intento è quello di distrarre il vero colpevole per ipnotizzarlo e farlo confessare.
Penso che Tod Browning avesse ben compreso l’impatto mediatico di Dracula e quattro anni dopo fosse già in grado di giocare con gli stereotipi del personaggio e del genere horror allora in auge, non dimentichiamo la scena iniziale della zingara nel cimitero: le lunghe vesti della donna restano impigliate nella mano scheletrica fuoriuscita da una bara sfondata. Molto probabilmente il pubblico non era ancora pronto, di certo la meno accorta, come sempre, resta la casa di produzione con la sua censura.

Il cattivo poeta

dicembre 22, 2021

Italia 2020
con Sergio Castellitto, Francesco Patanè, Tommaso Ragno, Fausto Russo Alesi, Massimiliano Rossi, Clotilde Courau, Elena Bucci, Lidiya Liberman, Janina Rudenska, Lino Musella
regia di Gianluca Jodice



Ilcattivo poeta


1936 il giovane federale di Brescia, Giovanni Comini viene incaricato da Starace in persona di controllare Gabriele D’annunzio. Il vecchio Vate, ormai recluso nel Vittoriale tra seguaci e spie, è sempre più distante dalla politica mussoliniana, soprattutto per quanto riguarda l’avvicinamento a Hitler. La vicinanza con il poeta e alcune vicissitudini personali porteranno il “federalino” a guardare con occhi critici al fascismo.



Ilcattivo poeta


Lopera prima di Gianluca Jodice è interessante perché sfugge ad alcuni clichè il primo è quello del giovane ingenuo affascinato da un adulto di grande personalità un po’ alla Profumo di donna per intenderci. Il rapporto con D’annunzio segnerà sì il giovane Comini, personaggio realmente esistito ricoprente la carica politica del film, che finirà espulso dal partito fascista per aver solo riportato l’esistenza di posizioni contrarie alla guerra.



Ilcattivopoeta


Anche le parole pronunciate nel film dal vate sono tutte originale, estrapolate da scritti o discorsi di D’Annunzio.
Invece di mettere in scena la fascinazione di un grande personaggio su un giovane ed entusiasta politico, il regista ci racconta due percorsi paralleli ma opposti: un poeta ormai stanco, vittima di ossessioni e paranoie dovuto all’uso di stupefacenti ma ancora in grado di leggere con chiarezza il destino dell’Italia se si lega al Fuhrer, definito “piccolo nibelungo che gesticola come Charlot”, di contro un giovane brillante, che però non sembra accorgersi degli orrori del fascismo fino a che non li tocca con mano: i genitori disposti a denunciare un caro amico per aver detto alcune frasi contro Mussolini forse da ubriaco, il suicidio della donna amata, sorella di un antifascista torturato e incarcerato dalle camice nere. Che Comini sia alle prese con situazioni più grandi di lui, che non sa gestire, lo testimonia la sua fuga dal luogo del suicidio di Lina.



Il cattivopoeta


Ancora una volta bisogna elogiare la prova di Castellitto nei panni del poeta, l’attore è in grado di renderne tutte le fragilità, le idiosincrasie a cui fanno da contraltare gli sprazzi di grande lucidità non solo sulla situazione politica dell’Italia ma anche sulla propria condizione di personaggio scomodo, esiliato nel Vittoriale, ma ancora in grado di giocare con la propria fama di grande erotomane (raccontagli quella del pavone, dice a Comini tra orgoglio e ironia).



Il cattivo poeta


Se il regista non insiste nel mostrare le storture fasciste ma lascia che il protagonista e lo spettatore ne prendano lentamente coscienza, l’autore non si fa problemi a raccontare e a mostrare la morte di D’Annunzio come un omicidio di stato, l’ennesima eliminazione di una voce scomoda per il potere.
La prigione dorata, il Vittoriale, è protagonista del film assieme al suo recluso: la dimora del Vate è stato lo scenario di molte riprese, soprattutto gli esterni con la nave Puglia interrata. La fotografia, di Daniele Ciprì, esalta la bellezza naturale del Garda mentre il mondo esterno, i grandi palazzi del potere come le umili case dei cittadini hanno un tono cupo che ben sottolinea l’atmosfera drammatica della nazione sull’orlo dell’abisso della guerra.

Il Giovedì

dicembre 20, 2021

Italia, 1964
con Walter Chiari, Michèle Mercier, Roberto Ciccolini, Umberto D’Orsi, Alice Kessler, Ellen Kessler, Silvio Bagolini, Emma Baron, Olimpia Cavalli, Consalvo Dell’Arti, Margherita Horowitz, Gloria Parri, Else Sandom, Sara Simoni, Milena Vukotic, Carol Walker, Siliana Meccale’, Ezio Risi, Salvo Libassi, Edy Biagetti
regia di Dino Risi



Il giovedi'


Dino Versini, quarantenne sfaccendato che vive a carico della compagna Elsa, deve rivedere dopo anni il figlio Roberto, avuto dalla moglie da cui ha ottenuto l’annullamento del matrimonio. Dino usa il suo solito stile fatto di fregnacce per apparire un uomo di successo per farsi bello con il figlioletto ma Robertino, cresciuto in collegio e tra i mille trasferimenti della madre in carriera, intuisce subito il carattere farlocco del genitore. Nonostante questo la giornata trascorsa insieme riesce a riavvicinare padre e figlio.



Il giovedì


Il giovedì non ebbe grande successo all’uscita e fu stroncato anche dalle critiche ma per il regista il film era il più amato tra “i piccolini” cioè le opere minori (cfr. L’avventurosa storia del cinema italiano 1960-69 di Faldini e Fofi) e innegabilmente l’opera ha il merito di regalare la prova cinematografica più riuscita di Walter Chiari.
La struttura del film riprende la struttura narrativa de Il Sorpasso, un viaggio in auto con tappe simili, il mare, la visita ai parenti e addirittura certe inquadrature dei due protagonisti in macchina sono sovrapponibili.



Il giovedì


Già dall’auto, però, si capiscono le differenze dei due film che stanno nell’ulteriore presa di coscienza degli aspetti deleteri del boom economico: ne Il Sorpasso c’è una rombante Lancia Aurelia di proprietà, Dino Versini affitta una vecchia auto americana, che beve come una spugna e che tutti, tranne lui, riconoscono come un vecchio catorcio: se Bruno Cortona rappresenta l’arroganza di chi ha cavalcato il boom, Dino Versini è il simbolo della maggioranza, dei millantatori sempre in cerca della grande occasione per arricchirsi facilmente invece di accontentarsi di un misero stipendio come vorrebbe Elsa, la nuova compagna ormai stufa di mantenerlo e decisa a crearsi una famiglia solida.
Dino rivede il figlio dopo cinque anni in cui la ex moglie se l’è portato in giro per il mondo per esigenze di lavoro. Ovviamente appena arrivato in albergo -in ritardo- l’uomo scambia un altro bambino per il figlioletto di cui non ricorda neppure la data di nascita.
Per impressionare Roberto il padre gli compra un regalo costoso, un Meccano che è già passato di moda, lo porta alle giostre ma quelle che divertono il padre (il cavallo a dondolo) annoiano il figlio e viceversa: sull’ottovolante Dino è terrorizzato mentre il figlio si diverte come un pazzo.
Padre e figlio sono diversissimi: estroverso e fanfarone il primo, riflessivo e introverso il figlio ma entrambi hanno un debole per le donne e Robertino segue ammirato ogni ragazzina che incontra con lo stesso sguardo che il padre riserva a ogni bella donna che incrocia.
Paradossalmente il legame padre – figlio inizia a funzionare più le bugie di Dino vengono scoperte perché il padre si lascia più andare e diventa più spontaneo nei confronti del bambino, il momento perfetto è il gioco sulla riva del fiume dove finalmente i soldi e lo status non sono più importanti ma basta rincorrere una lucertola per essere felici. Momento rovinato dalla confessione del padre di aver letto il diario segreto del figlio quando gli ha tenuto la giacca, fortunatamente torna il sereno nella visita a casa della nonna paterna dove l’incorreggibile Dino entra promettendo l’acquisto di tutti gli elettrodomestici ed esce con i denari datigli dalla madre.



Ilgiovedì


L’ultima tappa presso l’imprenditore che dovrebbe dare a Dino una percentuale sui soldi delle tasse che un amico di Dino gli avrebbe fatto risparmiare è la più disastrosa perché l’uomo viene insultato pesantemente davanti al figlio.
Se la figura del padre sfaccendato è il perno del film, in filigrana emerge anche la malinconica esistenza di Robertino, cresciuto senza amici perché la madre si sposta sempre, con propositi omicidi per il direttore del collegio. Cresciuto da una severa fraulein tedesca, il bambino è ben presto affascinato dalla vitalità sborona dal padre che ha il pregio di raccontarsi senza vergogna ogni volta che le sue balle vengono scoperte.
La giornata trascorsa con il figlio ha certamente il merito di far crescere Dino che dopo esser stato lasciato dalla compagna per non aver accettato il lavoro d’ufficio, scende a più miti consigli e accetta di sedersi dietro una scrivania accantonando, forse, il suoi velleitari progetti di ricchezza.
La dolcezza con cui Robertino saluta svariate volte il padre è ancora una volta segno della maturità del bambino che sa che quell’incontro resterà molto probabilmente, un unicum irripetibile.

Ballerine

dicembre 14, 2021

Italia, 1936
con Silvana Jachino, Maria Denis, Antonio Centa, Olivia Fried, Laura Nucci, Giorgio Bianchi, Livio Pavanelli, Carlo Fontana, Fausto Guerzoni, Nicola Maldacea, Gemma Bolognesi, Nino Marchetti, Gino Viotti, Oreste Bilancia
regia di Gustav Machatý


Ballerine


La vita di un gruppo di ballerine della Scala: il vecchio direttore vorrebbe licenziare la prima ballerina per i suoi capricci e sostituirla con la sua protetta, Fanny. Durante l’ennesimo litigio il direttore muore. Il giornalista con cui aveva una tresca la prima ballerina si avvicina a Fanny e tra i due scoppia l’amore. Una ballerina di fila, Gina preferisce darsi ai cafe chantant e diventa la mantenuta di un ricco industriale e grazie a lui fa in modo che la carriera di Fanny abbia successo facendole incontrare la signora Alexa, grande ballerina ora produttrice di spettacoli. Mario, il fidanzato giornalista pretende che con il matrimonio Fany lasci la carriera. La ragazza sarebbe anche pronta al sacrificio ma per ripicca non cede e i due si lasciano. Intanto il ricco industriale lascia la città per motivi di lavoro, la partenza è improvvisa e la lettera che avvertiva Gina va perduta, la donna è cacciata dal grande albergo e divide l’appartamento con Fanny non perdendo l’abitudine di trovarsi ricchi amanti, Fanny costretta a stare fuori casa per lasciar spazio all’amica, ripensa con rimpianto alla sua scelta sentimentale.

Tentativo malriuscito di dare lustro internazionale alla cinematografia di regime: molti furono i registi internazionali
che negli anni’30 furono accolti dal cinema italiano questa volta tocca al ceco Gustav Machatý, l’autore dello scandaloso Estasi celebre per il nudo integrale di Hedy Kiesler, la futura Hedy Lamarr.
Il tema di Ballerine è in fondo ancora attuale (purtroppo) il dilemma di una donna divisa tra la carriera e l’amore, il finale aperto con Fanny che viene colta dalla malinconia per l’amato in una solitaria sera di pioggia riascoltando la canzone del loro amore è anche passabile a il resto del film è infarcito di luoghi comuni: la diva capricciosa che dopo la morte del vecchio direttore rende la vita impossibile a Fanny costretta a cercar fortuna al di fuori della Scala. Fanny è una giovinetta pura e di buon cuore, scrupolosa allieva del maestro che la considera una figlia, nelle pause va nei sotterranei
del teatro per nutrire una gatta coi cuccioli. Ovviamente il giornalista Mario non può che innamorarsi di lei quando si reca al teatro per scrivere della orte del direttore, un amore serio non un’avventura coe con la Sandri, ragion per cui si crede in diritto di chiedere alla futura moglie di lasciare la promettente carriera, solo uno stupido bisticcio da innamorati impedirà che Fanny si sacrifichi per l’amore coniugale.
In concorso alla 4ª Mostra del Cinema di Venezia, Ballerine fu giudicato melenso già dalla critica del tempo, l’unico motivo d’interesse per vederlo oggi è cercare di capire lo spirito d’internazionalizzazione del cinema italiano d’epoca. Il modello era sicuramente il cinema pre code americano: le ballerine sono mostrate spesso in pagliaccetto anche se c’è troppo punto smock sulle scollature per competere con la lingerie d’oltre oceano. Il personaggio di Gina è ricalcato sulla Jean Harlow di Pranzo alle otto perennemente a letto con vestaglie dai grandi colli di pelliccia ma nell’autarchica Italia degli anni ’30 la pigrizia non paga e il messaggio di arrivederci con allegata disponibilità finanziaria va perso e la povera Gina è costretta ad abbassare il suo tenore di vita e perdersi con amanti di ben più basso profilo.
Con lo strabismo internazionale che ci contraddistingue (all’epoca anche per chiari motivi politici) si cerca digitare non solo l’America a anche la Germania ed ecco che i costui dello spettacolo allestito da Alexa (una sosia Marlene Dietrich per altro) richiama lo stile geometrico del Bauhaus.
Lo stile di Machaty si bilancia tra virtuosismi tecnici e i primi piani delle tante dive recenti nel cast.

L’uomo scimmia

dicembre 8, 2021

The Ape Man
USA 1943
con Bela Lugosi, Louise Currie, Wallace Ford, Henry Hall, Minerva Urecal, Emil Van Horn, J. Farrell MacDonald, Wheeler Oakman, Ralph Littlefield
regia di William Beaudine



TheApeMan


Il dottor James Brewster è scomparso: questa la notizia che attende la sorella Agatha, studiosa del paranormale di ritorno da un viaggio in Europa alla ricerca di castelli infestati. Il dottor Randall, collaboratore di Brewster, confida ad Agatha che il fratello, avendo voluto provare su di sé un ritrovato da lui scoperto, si trova in uno stato ibrido tra uomo e scimmia e si è rifugiato nel suo laboratorio segreto nella speranza di trovare un antidoto. Secondo Brewster solo l’iniezione di midollo umano può salvarlo dal suo stato ma Randall si rifiuta di aiutarlo perché per procurarsi il midollo, i cui effetti non sono certi, dovrebbe uccidere il donatore. James Brewster, con l’aiuto del fedele gorilla, si mette ad uccidere per ottenere l’antidoto che lo riporta allo stato umano per brevissimo tempo…



L'uomoscimmia


Ennesima figura di mad doctor che sperimenta in prima persona i propri intrugli: questa volta non ci si prende neppure la briga di spiegare che genere di ricerca Brewster stia compiendo, a conferma che siamo di fronte a un mediocre b movie girato in una quindicina di giorni.
Tutto scorre su binari assai rodati e la noia è in agguato anche se mi è sembrato di intravedere una latente propaganda bellica contro il nazismo quando Randall cerca di spiegare al collega che non può sacrificare delle vite umane senza neppure sapere se l’esito sarà efficace e la risposta di Brewster verte solo sull’importanza della sua vita, indifferente al sacrificio altrui.
Qualche vago richiamo a I delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe quando nella mano della prima vittima, il maggiordomo di Randall, vengono ritrovati dei ciuffi di pelo scimmiesco.



L'uomo scimmia


Il trucco di Bela Lugosi è un po’ risibile ma è chiaramente spunto per il trucco de Il pianeta delle scimmie del 1968.
Altro classico tirato in ballo è il topos della bella e la bestia: quando Brewster vuole uccidere la bella fotografa per procurarsi il midollo, lo scimmione complice si ribella e uccide lo scienzato.
Di particolare c’è la cornice del film: uno strano personaggio che in alcuni momenti fa da raccordo tra i punti della storia, sbircia nello scantinato laboratorio di villa Brewster e alla fine rivela di essere l’inventore della storia: un elemento quasi surreale, certamente atipico nel genere horror, anche quando è mischiato ai toni comici.

Zero in condotta

dicembre 5, 2021

Zero de conduite
Francia, 1933
con Jean Dasté, Robert Le Flon, du Verron, Delphin, Louis Lefebvre, Gilbert Pruchon, Coco Goldstein, Gérard de Bédarieux, Léon Larive
regia di Jean Vigo



Zero de conduite


Finite le vacanze estive i ragazzi del collegio si apprestano a farvi ritorno, il viaggio in treno di due compagni è l’ultimo sfogo di fantasie infantili prima di tornare sotto il giogo severo degli insegnanti anche se al corpo docenti si unisce Huguet che con le sue stranezze incuriosisce i collegiali. Mentre Caussat, Colin e Briel si riconfermano i peggiori della classe e sin dai primi giorni ricevono uno zero in condotta, mentre il timido ed effeminato Tabart suscita le attenzioni di un professore ma la forza del ragazzo nel ribellarsi lo fa accettare nel gruppo e sarà proprio la reazione di Tabart al viscido professore a scatenare la ribellione degli scolari nel giorno in cui la scuola riceve delle autorità che vengono presi di mira dai ragazzi prima di darsi alla fuga sui tetti.


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Ispirato all’esperienze autobiografiche del regista che, orfano del padre anarchico, trascorse l’infanzia in collegio.
La forza eversiva della pellicola che contrappone il mondo dell’infanzia a quello omologato e gerarchico degli adulti, attirò le attenzioni della censura che lo fece sparire per sentimenti antipatriottici e il film tornò ad essere distribuito solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1945.
La sequenza iniziale del treno racchiude il mondo dell’infanzia: i giochi e i racconti dell’estate, le collezioni di oggetti improbabili, le sigarette e la voglia di atteggiarsi già da grandi. Già in questo primo segmento il regista mette in mostra tutta la sua abilità registica cogliendo i ragazzini nello scompartimento da angolazioni diverse, giocando con gli specchi del vagone: le distorsioni sono spesso presenti per dare la dimensione del fantastico dell’infanzia ma anche per sottolineare la stortura dell’autorità.



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Arrivati in stazione, col buio ad attenderli c’è uno degli insegnanti del collegio, impettito e severo il mondo anarchico e fantastico della fanciullezza si scontra con quello severo delle norme che dovranno fare degli scavezzacollo degli onesti cittadini. Tabart, arrivato anche lui in stazione con la madre, non regge l’impatto con il duro assaggio dei mesi che lo aspettano e passa l’ultima notte con la madre che lo ha accompagnato.
Fin dalla prima notte nell’istituto si manifesta la fatica dell’adattamento dei ragazzi alle severe (e spesso stupide) leggi dell’ordine sociale che per nonnulla sfocia in una punizione.
L’aspetto ridicolo dei professori rivela anche la loro bassezza: chi ruba la marmellata dei ragazzi, chi tenta di sedurli. La presa in giro delle figure autoriali culmina nella figura del direttore interpretato dal nano Delphin, i suoi tratti infantili e il barbone posticcio lasciano trasparire l’immagine del ragazzo che anche il direttore è stato, anche se ora guida tronfio il collegio con la sua vocetta acuta.



Zero de conduite


Un’altra stigmatizzazione dei danni dell’ordine borghese è rappresentata nel comitato ministeriale in visita alla scuola: i personaggi in seconda fila sono palesemente delle marionette, quello a cui l’organizzazione scolastica dovrebbe ridurre i ragazzini omologandone sogni e bisogni.
Vigo utilizza tutti i mezzi della settima arte per raccontare la sua elegia alla libertà infantile, persino i cartoni animati, infatti gli appunti del professor Huguet si animano a simboleggiare la capacità del maestro di interagire con gli alunni mettendosi al loro livello. Vigo paga il tributo alla sua ammirazione per Chaplin facendo fare al professore l’imitazione di Charlot. Significativa anche la scena della passeggiata che si trasforma nell’inseguimento di una bella ragazza: la vita, in ogni suo aspetto, è fuori dalle mura austere del collegio anche se il genio del regista e la fantasia infantile sa trasformare una battaglia di cuscini in una poetica nevicata.