Archive for febbraio 2008

Sweeney Tood

febbraio 28, 2008

Sweeneytodd Tim Burton inanella un altro capolavoro alla sua collezione e se la sua filmografia fosse una colonna pseudobarocca dei suoi cartoni, Sweeney Todd sarebbe un racemo a parte, per quel protagonista differente dalla galleria di personaggi a cui Burton ci ha abituati: Sweeney Todd infatti non e’ un diverso, un solitario non inserito nella societa’, per lo meno nella sua vita passata, Benjamin Barker e’ stato un barbiere di successo con una famiglia felice e un sereno futuro davanti a se’, quando torna a Londra dopo aver ingiustamente scontato la pena inflittagli dal crudele giudice Turpin e’ ormai preda del demone della vendetta, gli occhi fissi su un mondo lontano, quasi meccanico nelle sue uccisioni in serie.
Ho sentito parlare di nichilismo, di ingiustificato crescendo di violenza, ma penso che Sweeney Todd sia certamente una pagina piu’ amara e disillusa del solito nella filmografia del regista (ma come cantano i due protagonisti, lo richiedono i tempi che stiamo vivendo) ma non manca l’ironia e un romanticismo straziante in un film altamente morale che mette in guardia dall’accecamento della vendetta che porta a non riconoscere le proprie vittime: se non ha senso il bagno di sangue finale non hanno senso secoli di tragedie, dalla classica greca a Shakeaspere.
I rimandi letterari della pellicola sono tanti e Burton si diletta con quella letteratura ottocentesca che dara’ vita al romanzo d’appendice al feuilleton orrorifico rivangato al solo terribile nome di Bedlam: si parte dal (quasi) ovvio Conte di Montecristo per arrivare al Dickens di Oliver twist, dalle cui pagine sembra uscire il piccolo Toby o a I Miserabili di Hugo a cui mi ha fatto pensare la prima parte del film in cui entrano in scena tutti personaggi (mendicante compresa) che come nel piu’ classico romanzo d’appendice dovrebbero riunirsi felici e contenti alla fine delle traversie. La grandezza di Burton sta nella sua capacita’ di giocare con le aspettative del pubblico soprattutto la genialita’ con cui risolve la tensione della prima barba che Sweenie Todd offre al giudice: non bisogna essere spettatori troppo scafati per intuire che e’ ancora troppo presto per la resa dei conti eppure ci si lascia avvinghiare dall’attesa della rasoiata decisiva.
Un discorso a parte merita la comprimaria del film, la signora Lovett, contrappunto folle ed ironico (forse in questo piu’ simile ai tipici personaggi burtoniani) alla pazzia di Todd; nonostante la fine crudele che le viene riservata mi sembra che il regista nutra una maggior simpatia per lei che per il suo torvo protagonista ed infatti a lei riserva gli impossibili sogni di fuga dai colori sgargianti che stridono anche visivamente con i toni cupi della fumosa Londra ottocentesca.

Nuovo cinema sanita’

febbraio 25, 2008

Loscafandroelafarfalla Entrambi in programmazione dalla settimana scorsa, Lo scafandro e la farfalla e Lontano da lei, sono due pellicole che gettano una luce del tutto nuovo sul tema della malattia (argomento assai caro alla cinematografia) pur affrontando temi e punti di vista differenti: un corpo che ha smesso di rispondere raccontato da un lucidissimo protagonista nel film di Julian Schnabel e la malattia mentale della moglie subita dal marito nella pellicola di Sarah Polley
Stilisticamente i film sono differentissimi, un inizio mutuato dall’horror una punta di visionarieta’ “gondryana” il film di Schnabel, malinconicamente poetico e sperso nell’immacolata neve dellOntario l’opera della Polley retto dalla fascinosa svagatezza di una Julie Christie in stato di grazia.

AwayfromherQuello che trovo di simile nelle due pellicole e’ la completa mancanza di pietismo, la volonta’ di sfuggire alla scena madre e alla ricerca della lacrima, in questo modo il malato non solo acquista una nuova dignita’ ma caduta la barriera che il pietismo crea tra protagonista e spettatore, quest’ultimo puo’ scoprire che le sensazioni del malato e le sue non sono poi cosi’ diverse e la comprensione puo’ arrivare all’immedesimazione.
Trovo che il fatto che questo avvenga contemporaneamente in due pellicole molto diverse sia quasi rivoluzionario e non mi stupisce neppure un po’ che l’Academy abbia bocciato tutte le candidature dei due film interrompendo la consolidata tradizione del film sulla malattia come sicuro vincente di qualche statuetta

Cloverfield

febbraio 19, 2008

Cloverfield A quasi una settimana dalla visione, riesco a pensare alla pellicola senza il disgustoso senso di nausea, giacche’ figuro nel numero di coloro che sono rimasti infastiditi dal terribile beccheggio della telecamera amatoriale: che volete, sono una donzella di una certa eta’ ma se non avessero affidato le riprese ad un emulo del cameraman cionco di Emilio (e questa la colgono solo i miei vetusti coetanei) si sarebbe potuto evitare la necessita’ di entrare in sala con un travelgum: ho visto riprese di presunti avvistamenti UFO girati con mano molto piu’ ferma!
Poiche da piu’ parti si grida la capolavoro, usero’ per Cloverfield la definizione che accompagna un altro capolavoro del cinema: la cagata pazzesca.
Sicuramente e’ presente nel film un discorso sulla filosofia della visione, ma piu’ che una riflessione lo definirei un furbo ammiccamento senza costrutto: le riprese amatoriali hanno assunto in questi anni una valenza di testimonianza oggettiva della realta’ e vedere una ragazza a cui viene sfilato brutalmente un tondino di ferro che le trapassa la gabbia toracica a pochi centimetri dal cuore, non solo sopravvivere all’“intervento” ma poco dopo correre svelta e leggiadra come una cerbiatta, e’ un’immagine che francamente cozza con la comune idea di realta’.
Piu’ interessante il discorso di non approfondire la natura del mostro, ma far figurare il film solo come il frammento recuperato dall’Esercito.

La guerra di Charlie Wilson

febbraio 15, 2008

Guerracharliewilson 1980: mentre l’Armata Rossa sta dilagando in Afganistan, il deputato americano Charlie Wilson si lascia convincere da una ricca ereditiera texana a trasformare l’appoggio morale che gli Stati Uniti offrono allo stato invaso in un vero e proprio sostegno economico per la controffensiva dei mujahidin.

Peccato che Nichols non sappia trovare la chiave giusta per amalgamare i diversi aspetti della vicenda: il tono leggero, vagamente grottesco stona drammaticamente con le immagini dei bambini mutilati nei campi profughi ed anche il finale amaramente profetico del nostro presente, risulta un po’ retorico mostrando le commissioni parlamentari che non hanno esitato a stanziare un miliardo di dollari pur di sconfiggere i russi, rifutarsi di sborsare un milione di dollari per ricostruire le scuole afgane.
Piu’ che sull’obiettivita’ storica, il film punta sulla ricostruzione di un certo mood tipicamente anni’80: Julia Roberts e’ vestita come una protagonista delle soap di quegli anni e del resto il film si apre mentre a Charlie Wilson viene proposto di finanziare il progetto di Capitol.
L’ufficio del deputato sembra una variante di Charlie’s angels con lo stuolo di belle segretarie che difendono con le unghie e con i denti l’immagine del loro.. Charlie.
Reminescenze televisive condite in una salsa 007 impazzita che sicuramente e’ anche divertente, ma non graffia come dovrebbe.

30 giorni di buio

febbraio 12, 2008

30giornidibuio Tratto dalla graphic novel di Steve Niles e Ben Templesmith, 30 giorni di buio e’ un classico film di vampiri che presenta tutti, o quasi, i topoi del genere, per non fare troppo spoiler accennero’ solo a quello dell’umano che confessa di esser stato morso e sentire i primi sentori della trasformazione; peccato che la tensione del film sia discontinua, perche’ la pellicola ha qualche buona intuizione: il bianco della neve e il buio della notte spezzati dal rosso del sangue e una volta tanto la tecnologia che solitamente poco si concilia con l’horror, aiuta ad aumentare la tensione, alludo ai telefonini e quant’altro il cui problema solitamente si risolve banalmente facendo scaricare la batteria, invece questi vampiri pur arrivando con una nave (rompighiaccio) guidati dall’ennesimo pazzo Renfield come i loro nobili antesignani, sono molto scafati in fatto di comunicazioni e procedono con determinazione all’eleminazione di tutti quegli strumenti che potrebbero mettere in contatto la sperduta cittadina dell’Alaska con il resto del mondo e ogni passo verso l’isolamento mentre la la lunga notte artica incombe, aumenta il senso di angoscia.
I vampiri che assaltano Barrow sono decisamente fascinosi, nel loro total look nero metropolitano un po’ rock band, romanticamente rassegnati alla disperazione ed al dolore, peccato solo che parlino una sorta klingor, ma io ho parteggiato molto piu’ per loro che per la banda di sfigati sopravvissuti che non ha la grinta della marmaglia di Planet Terror e sono resi insopportabili dalle schermaglie amorose tra la bella e il leader, lo sceriffo Eben, uno in cui in un mese di dura sopravvivenza non cresce il barbone ma resta una curata barbetta dei tre giorni.
Il finale dovrebbe essere commovente ma la mia attenzione era piu’ attratta da un problema astronomic-geografico: vabbe’ che siamo quasi al Polo, ma e’ possibile che il sole sorga esattamente dov’era tramontato 30 giorni prima?

Addio a Roy Scheider

febbraio 11, 2008

Royscheider

10 novembre 1932 – 10 Febbraio 2008

SEGNI DI VITA WERNER HERZOG E IL CINEMA – La mostra

febbraio 5, 2008

segni di vita- Werner Herzog e il cinema Ancora pochi giorni per vedere la mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo su Werner Herzog nell’ambito delle celebrazioni torinesi
per i quarantacinque anni di carriera del regista tedesco.

L’evento e’ davvero accurato e approfondito, ad esempio le foto scattate sui set mostrano la fatica fisica che c’e’ dietro il lavoro del Maestro che infatti concepisce il suo cinema come un’attivita’ fisica e non un impegno intellettivo e come nella migliore tradizione atletica, nei film di Herzog prevale un sentimento di grazia e bellezza e si dimentica la fatica che sta dietro alle inquadrature.
Altrettanto interessanti i filmati che estrapolano le sequenze dei vari film che mettono in risalto alcune delle tematiche della teoretica herzoghiana introdotte da una frase del regista, i temi analizzati sono la fantascienza, il paesaggio, gli sguardi in camera che pur essendo considerati errori nella composizione cinematografica sono molto amati da Herzog, la catastrofe, l’estasi e il cammino dove c’e’ la magnifica sequenza di Nosferatu in cui Jonathan Harker cammina verso il castello del conte prima attraverso un sentiero che si snoda lungo un sereno paesaggio collinare, poi il percorso si fa via via piu’ accidentato ed oscuro ad introdurre la materia orrorifica del non morto.
Ci sono anche grandi foto degli allestimenti visionari che Herzog ha fatto per il teatro, quasi tutte opere wagneriane.
Herzog2_3La maggior parte del materiale e’ composta da cortometraggi del regista (il primo western girato a 16 anni) o montaggi di interviste, documentari sulla sua vita (il piu’ visto e’ quello che filma Herzog mentre si mangia una scarpa per onorare una promessa), non possono certo mancare i 20 minuti di girato con Mick Jagger, prima scelta per interpretare Fitzcarraldo, la rockstar abbandono’ il progetto a causa dei numerosi ritardi di lavorazione e con tutta la simphaty for Jagger, meno male che e’ arrivato il pazzo e meraviglioso Kinski, ovviamente protagonista di gran parte dei documenti esposti, visto il suo rapporto privilegiato con il regista.
Segnali di vita e’ un evento da non perdere e non solo per gli appassionati di Herzog o di cinema, solo che bisogna diffidare dalla definizione dei comunicati stampa che spaccia l’evento come una semplice mostra fotografica e di videoistallazioni: io per videoistallazioni intendo il lavoro della giovane artista che ha creato dei bellissimi totem-mosaici con i paesaggi herzoghiani, non certo una dozzina di filmati dalla durata media di venti minuti, per vedere tutto approfonditamente sono da mettere in conto 3 o 4 ore, ma anche una visione piu’ rapida puo’ dare grande soddisfazione.
Mi scuso se non sono molto precisa nelle informazioni, vorrei citare il nome dell’artista ma siccome 7 minuti prima della chiusura della mostra il bookshop era gia’ stato completamente smontato e si era gia’ fatta la chiusura cassa, con mio rammarico non ho potuto comprare il catalogo.

Segni di vita. Werner Herzog e il cinema
Torino – Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Dal 16 gennaio al 10 febbraio 2008

American gangster

febbraio 4, 2008

Americangangster Su finire degli anni ‘60 la polizia corrotta di New York domina il mercato della droga, il piccolo delinquente di colore Frank Lucas decide di sfruttare i voli militari con il Vietnam per comprare l’eroina direttamente dai produttori orientali e immetterla sul mercato americano a prezzi bassi e ad una qualita’ altissima, scalando in breve i vertici della malavita organizzata, fino a quando l’incorruttibile Richie Roberts non si mette sulle sue tracce..

Ispirandosi alla storia vera del primo boss di colore, Ridley Scott gira un fim godibile (anche se i 156 minuti della durata del si sentono) che cita a piene mani i capolavori del genere, senza mai riuscire a trovare il tono epico della vicenda. Il genere gangster nasce negli anni ’30 con l’intento di mettere alla berlina i protagonisti della malavita facendoli sempre morire in modi ignominiosi: la descrizione dei boss come looser, ribelli senza causa da’ un tono tragico alla produzione e la seconda grande stagione del genere, gli anni’ 70 de Il padrino e Scarface coglie in pieno questa connotazione trasformandola in pura epica, nel film di Scott questo manca: Richie, il poliziotto e’ troppo buono, va bene l’incorruttibilita’ sul lavoro ma quando rinuncia alla tutela del figlio conscio della sua vita senza regole, la simpatia scema di botto.
Frank poi sembra solo un impiegato del crimine: per quanto geniale, si ha l’impressione che sia riuscito a diventare un grande boss solo per un colpo di fortuna, finita la guerra in Vietnam che gli faceva da copertura, sarebbe riuscito a rimanere ai vertici?
Scott segue il suo protagonista fino al positivo epilogo (positivo se restiamo nell’ambito del gangster movie) e allora mi chiedo se l’accento del titolo sull’essere americano, che distingue il nostro eroe dagli italiani, i francesi e cosi’ via per le altre razze non voglia sottolineare ancora una volta la grandezza del sogno americano che offre sempre una seconda possibilita’.