Posts Tagged ‘Odilon Redon’

Simbolismo Mistico

gennaio 2, 2018

Rose+Croix

La Collezione Peggy Guggenheim indaga nella mostra Simbolismo Mistico i sei saloni dei rosacrociani che si sono tenuti a Parigi tra il 1892 e il 1897 per volontà dello scrittore e critico d’arte Joséphin Péladan, personaggio sicuramente singolare e non solamente per le sue idee mistiche che venano le istanze simboliste di cattolicesimo e occultismo in una ricerca del bello ideale che fugga la realtà.
Per perseguire questo scopo, Pédalan stila delle regole ferree riguardanti i soggetti delle opere esposte: bandite le scene naturaliste dalle nature morte ai paesaggi, a meno di non essere “paesaggi ideali”. Vietata la pittura storica in favore di soggetti riguardanti leggende, allegorie o sogni.
Sarebbero vietati anche i ritratti ma vige l’eccezione per personaggi ispiratori del movimento rosacrociano, Baudelaire e Wagner e per Pédalan stesso che si vede come un demiurgo e la prima sala della mostra ci mostra proprio i ritratti favoriti del critico, quello di Alexandre Séon che lo rappresenta come il “Sar Medorack”, la guida secondo un termine che dovrebbe ispirarsi al nome di un sovrano babilonese,
Seon-Le-Sâr-Joséphin-Péladanil ritratto di Jean Delville che esalta gli aspetti cattolici del movimento rappresentando Péladan come un Cristo Pantocrate mentre il ritratto di Marcellin Debutin ce lo mostra come un dandy ma il nero imperante richiama la grande ritrattistica nobiliare sottolineando ancora il ruolo aristocratico che il critico si ascrive.
Se l’ego è smisurato, la misoginia non difetta e tra le sue regole sono ben chiare quelle relative al genere femminile: non sono ammesse pittrici (ma pare che alcune riuscirono ad esporre ricorrendo a uno pseudonimo maschile) e anche la figura femminile rappresentata nelle opere oscilla tra la santa, la donna innocente opposta alla diabolica femme fatale di cui dà una meravigliosa rappresentazione L’idolo della perversione ancora di Delville, uno degli “artisti dell’anima” che fanno parte della cerchia più ristretta della confraternita rosacrociana sempre presente ai Salon; alle varie edizioni, però, parteciparono molti artisti meno impregnati dai dettami di Pèladan, soprattutto alla prima edizione che fu un evento di grande richiamo mentre l’interesse andò scemando negli anni seguenti.
IdolodellaperversioneAll’edizione del 1892 partecipa anche Gaetano Previati con l’opera Maternità che non è esposta in mostra, presente è invece L’abime (Salon del 1894) di Georges de Feure, più noto al grande pubblico per la sua produzione cartellonistica squisitamente art nouveau, stile che torna nella decorazione floreale della cornice.
Un artista inatteso è Felix Vallotton presente nel Salon del 1892 con otto xilografie alcune assai lontane dai dettami di Peladan come Il Cervino, paesaggio realistico o Il funerale opera di critica sociale, genere non gradito al Gran Maestro, più congeniali i ritratti di Baudelaire e Wagner.
La prima gloriosa edizione dei Salon de la Rose + Croix aveva l’appoggio del mecenate Antoine de la Rochefoucault che aprì ad artisti meno legati all’ortodossia imposta da Pédalan.
Fin da subito però alcuni grandi simbolisti a cui il critico si ispira sono contrari alla linea rosacrociana, balzano agli occhi le assenze di Gustave Moreau e Odilon Redon a cui suppliscono le opere di seguaci tra cui spicca l’opera di Marcel-Bérronneau, l’Orfeo del 1897 scelto per la locandina della mostra.

Il Simbolismo

giugno 1, 2016

Simbolismoloc

Chiuderà domenica 5 giugno la mostra milanese sul movimento artistico che si sviluppa nell’ultimo quarto del XIX secolo.
Il simbolismo ha i suoi prodromi nell’opera poetica e critica di Charles Baudelaire, il primo ad avvertire la crisi del pensiero positivista che ha permeato buona parte del’800 a partire dalla rivoluzione industriale. Sul finire del secolo le certezze positiviste vengono minate dalle scoperte darwinane che tolgono all’uomo il primato e l’imprimatur divino, il negativismo filosofico di Nietzsche e Schopenhauer e l’affermazione del ruolo fondamentale dell’inconscio che emerge dagli studi di Freud.
AutoritrattoAlbertoMartini

Questi scossoni scientifici si riversano sull’arte e se per lungo tempo il simbolismo è stata considerata un’esperienza artistica di ambito franco-belga, la mostra milanese dimostra che il movimento, nelle sue varie declinazioni ha avuto dimensioni ben più vaste e indaga con maggiore attenzione il simbolismo italiano, forse un poco più tardo ma con esiti notevoli e mettendo in luce anche artisti poco conosciuti come Alberto Martini a cui è dedicata un’intera sezione con il suo autoritratto e diversi disegni tratti dalla serie de La Parabola dei Celibi e da quella ispirata ai racconti di Edgar Allan Poe. Anche Attilio Mussino, Attilio Bonazza, Pompeo Mariani,Francesco Lojacono, Cesare Laurenti, Cesare Saccaggi e Domenico Baccarini dimostrano tutta la vitalità della stagione simbolista italiana.
La donna è sicuramente la figura centrale del movimento simbolista che la esalta nel suo duplice aspetto di tentatrice voluttuosa e demoniaca e più che alle due versioni de Il peccato di Franz von Stuck penso all’inquietante Donna serpente di Achille Calzi, opposta alla forza generatrice del femminile rappresentato da Segantini o Bistolfi.
Carezze (L’Arte) di Fernand Khnopff, che campeggia sulla locandina, ben racchiude il duplice femminino; il quadro è esposto in Italia per la prima volta.
La tentazione femminile è ovviamente rivolta alla voluttà dell’eros che i simbolisti coniugano sempre con thanatos come dimostra La Sirena di Giulio Aristide Sartorio: il vigoroso e sensuale gesto del pescatore verso la bianca e abbandonata figura femminile trova soluzione nell’angolo sinistro del quadro, dove giacciono le ossa di chi ha già ceduto alla mortale tentazione della sirena.
La mitologia affascina molto i simbolisti, in particolare il mito di Orfeo a cui è dedicata un’intera sezione.
GiorgioKienerkIlDolore

Sezioni sono dedicate ai più illustri esponenti del movimento: a Odilon Redon è riservata una sala con otto delle sue litografie più bizzarre, il belga Felicien Rops è presente nella sezione iniziale dedicata a Baudelaire di cui illustrò Les Épaves e ha un sala dedicata a dieci suoi disegni, mentre una sezione è dedicata ai dieci disegni della serie Il Guanto di Max Klinger, a cui anche Francesco De Gregori ha dedicato una canzone.
Bocklin e Moreau sono uniti nell’analisi nel loro ritorno al mito: L’isola dei morti in mostra è una copia di Otto Vermehren ma da Le sirene di Moreau si capisce quando Matisse abbia preso dalla lezione del suo maestro.
Anche i Nabis vantano una sala dedicata a loro con opere del fondatore Serusier e del più celebre esponente Maurice Denis, anche se il mio quadro preferito resta Il mare giallo di Georges Lacombe.
La mostra si conclude con gli artisti italiani che meglio hanno saputo coniugare la lezione simbolista con lo stile liberty: Giorgio Kiernek si ispira chiaramente a Mucha nel trittico de L’enigma umano, mentre Galileo Chini sembra trovare ispirazione per il suo gusto decorativo nella lezione di Klimt, a cui attinge, ma con esiti molto diversi, anche Vittorio Zecchin: quattro pannelli del suo ciclo de Le Mille e una notte concludono la mostra.

Il Simbolismo
dal 3 febbraio al 5 giugno 2016
Palazzo Reale – Milano

Henri Rousseau – Il candore arcaico

marzo 20, 2015

Rousseauloc La mostra ospitata negli appartamenti del Doge al Palazzo Ducale di Venezia, sposa la tesi che Henri Rousseau detto il Doganiere non sia un semplice pittore naif come spesso viene considerato ma che dietro al suo “arcaico candore” si celi una profonda riflessione sull’arte, nata dallo studio dei classici e che dimostra quanto l’artista sia inserito nella sperimentazione artistica del suo tempo.
Questo assunto viene dimostrato confrontando sessanta opere del Doganiere con gli artisti del passato che lo hanno ispirato, quelli del suo tempo con cui si è confrontato e gli artisti venuti dopo di lui a cui è stato d’ispirazione.
Il quadro più importante in mostra, che figura anche nelle locandine è sicuramente il celebre capolavoro L’incantatrice di serpenti, le cui valenze simboliche furono d’ispirazione al mondo surrealista tanto che nel 1946 Victor Brauner cita e omaggia espressamente in quadro in L’incontro di Rue Perrel n° 2 bis.
Un altro capolavoro, meno noto, esposto a Palazzo Ducale, è La Guerra dove una fanciulla scarmigliata corre accanto al selvaggio destriero su una distesa di morti. Il quadro fu esposto al Salon del Indipendantes del 1894 ed è noto anche come La cavalcata della discordia proprio per le differenti impressioni suscitate all’uscita del quadro: molte critiche furono negative ma ci furono anche sinceri apprezzamenti. Nodo della discussione è l’atmosfera di calma irreale che permea il quadro, ancora una volta anticipatore delle avanguardie degli anni 10 del XX secolo pur mantenendo un preciso legame con tutta la tradizione dei Trionfi della Morte che si sviluppa dal medioevo in poi (in esposizione c’è la pregevole tavola di Giovanni di ser Giovanni detto lo Scheggia).

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Alla tradizione tardo gotica si richiama il anche gusto per l’attenzione ai dettagli delle piante nelle molte composizioni di natura selvaggia che tornano nei quadri di Henri Rousseau, compresa L’incantatrice di serpenti. Il pittore stesso alimenta la leggenda di un’ispirazione nata dai ricordi di un viaggio in Messico ma in realtà opere come Foresta tropicale con scimmie, La cascata, La giungla combattimento tra tigre e bufalo nascono solo dalla sua fantasia e dalle visite al Jardin des Plantes di Parigi.
All’esotismo di queste opere il pittore alterna una serie di opere di paesaggio urbano, “banali” dintorni parigini, lo stile di queste opere è praticamente l’opposto al gusto impressionista allora imperante e anche questo influisce sulla critica negativa che fin dagli esordi accompagna il Doganiere, ma come nota Theodor Daumbelr nel 1920 in Opinioni e Fatti. Henri Rousseau, Rosseau anticipa il mito futurista dell’areostato dipingendo aeroplani e dirigibili nei cieli dei propri paesaggi urbani.
Per quanto riguarda le sezione delle nature morte, i quadri del Doganiere vengono confrontati con La natura morta con mele e arance di Cezanne e le composizioni floreali di Odilon Redon, di Morandi e Donghi, perché grazie agli scritti Ardengo Soffici, che lo fece conoscere in Italia il pittore fu molto amato dalle avanguardie italiane e fu fonte d’ispirazione soprattutto per Carlo Carrà presente in mostra con quattro opere, secondo solo a Kandinskij presente con cinque; infatti, oltre agli italiani anche il gruppo del Der Blaue Reiter subisce il fascino di Rosseau, anzi vede in lui un vero precursore. Ad introdurre all’opera del Doganiere è Robert Dealunnay, da sempre innamorato della sua pittura. Anche André Breton sostiene che è con Henri Rousseau che si può parlare per la prima volta di realismo magico e allora non stupisce trovare nella sezione dei ritratti un’opera di Frida Kahlo e una di Diego Rivera che nella loro costruzione piatta e frontale riprendono il modello proposto dal pittore francese.
La mostra veneziana è dunque importante non solo perché accurata monografica di Henri Rousseau ma anche come excursus nella pittura della prima metà del XX secolo che si scopre profondamente legata a un artista spesso giudicato anomalo ma che è un importante trait d’union tra avanguardie e tradizione anche classica: mi è piaciuto persino il Bouguereau esposto, Uguaglianza davanti alla morte, artista accademico che di solito trovo insopportabilmente lezioso ma che era molto stimato dal Doganiere.

Henri Rousseau – Il candore arcaico
6 marzo – 5 luglio 2015
Venezia, Palazzo Ducale – Appartamento del Doge