Posts Tagged ‘Gian Maria Volonté’

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

agosto 4, 2023

Italia 1970
con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio Tramonti, Filippo De Gara, Arturo Dominici, Vittorio Duse, Vincenzo Falanga, Aldo Rendine, Massimo Foschi, Aleka Paizi, Salvo Randone, Ugo Adinolfi, Gino Usai, Giuseppe Terranova, Pino Patti, Giacomo Bellini, Roberto Bonanni, Guido Buzzelli, Fulvio Grimaldi, Giuseppe Licastro, Franco Marletta
regia di Elio Petri


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Nel giorno in cui viene promosso a capo della sezione politica della questura, un dirigente di polizia uccide la propria amante a cui lo legava un rapporto morboso. L’uomo lascia volutamente molti indizi sul luogo del delitto certo che la sua posizione lo protegga da ogni incriminazione. In un delirante crescendo di depistaggi e aggiunta di nuove prove, con la certezza di essere stato riconosciuto dal vicino, a sua volta amante della vittima e attenzionato come anarchico, arriva finalmente il giorno in cui i suoi superiori non possono più nascondere l’evidenza: faranno di tutto per coprirlo come immaginato dal colpevole?



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Capolavoro di Elio Petri, il film ha un ruolo importante non solo nella storia cinematografica italiana ma anche nel contesto storico italiano: la pellicola uscì pochi mesi dopo la strage di Piazza Fontana che aveva innescato la strategia della tensione e l’inizio degli anni di piombo, il delicatissimo momento storico permise l’uscita dell’opera senza che incappasse nelle maglie della censura o che venisse sequestrata come richiesto da alcuni esponenti della Questura di Milano; il dibattito politico scatenato attorno al film lo rese campione d’incassi di quell’anno ma per il suo insindacabile valore artistico, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ottenne anche numerosi riconoscimenti, sia in Italia che all’estero, tra cui la statuetta per il miglior film straniero agli Oscar del 1971 e il Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes 1970.



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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto si segnala per l’interpretazione superlativa di Volonté, la musica come sempre geniale di Morricone e la commistione di stili utilizzata dal regista: un giallo che gioca con il grottesco e l’onirico e anche nelle scelte stilistiche utilizza topos ben noti al pubblico del periodo la sola scena inziale presenta dettagli che rimandano ai generi più in voga negli anni ’60: dettagli degni di uno spaghetti western, la spogliazione della vittima già col rigor mortis e un pallore esagerato che richiamano la stagione gotica e anticipano Dario Argento che avrebbe fatto delle ville liberty le ambientazioni dei suoi più grandi successi. Anche l’appartamento di Augusta Terzi presenta degli interni liberty meravigliosi che vengono definiti dannunziani per indicare lo stile di vita disinibito e bohémien della donna, un’annoiata divorziata attratta dal potere che esercita il protagonista di cui non viene mai fatto il nome, Augusta esalta perversamente il lato oscuro dell’amante che spinge ad infrangere le leggi che deve tutelare e con cui si diverte a ricostruire morbosamente i casi di omicidi risolti dal poliziotto
Contrapposto all’appartamento dannunziano di Augusto c’è l’appartamento del dirigente: moderno, di design, razionale come apparentemente è l’investigatore, è una casa vuota poco abitata dato che gran parte del suo tempo il protagonista lo passa in questura, un ambiente di stile brutalista di nome e di fatto dove il potere esercita le sue angherie nel modo più feroce, anche solo nella scala gerarchica, basti pensare al diverso atteggiamento verso il sottoposto Panunzio e all’ossequiosità verso il Prefetto.

La storia vera della Signora delle Camelie

giugno 28, 2017

LastoriaveradellasignoradellecamelieItalia 1981
con Isabelle Huppert, Gian Maria Volonté, Bruno Ganz, Fernando Rey, Carla Fracci, Fabrizio Bentivoglio
regia di Mauro Bolognini

Mentre sta curando la messa in scena de La Signora delle Camelie, interrogato dall’attrice che interpreta Margherita, Alexandre Dumas figlio rievoca la figura della donna che ha ispirato la sua eroina: Alphonsine Plessis indotta alla prostituzione in giovanissima età dal padre, la ragazza diventerà una delle cortigiane più in vista di Parigi, mantenuta da un vecchio conte a cui ricorda la figlia morta, maritata a un conte che preferisce l’Algeria al bel mondo parigino e innamorata del giovane Dumas da cui la allontana il padre lenone per continuare a vivere alle sue spalle, anche se sarà l’unico ad esserle accanto in punto di morte.

E’ strano ed interessante il destino comune a diversi autori del periodo d’oro del cinema italiano, a partire dal cinema neorealista, che dopo aver saputo raccontare con asciutta precisione lo spaccato italiano, finiscono la loro carriera in un lussuoso formalismo decadente, per altro estremamente affascinate e diretto sempre con grande maestria, come nel caso di questo film di Bolognini, autore che ha lasciato il segno con opere come Il Bell’Antonio o La Notte Brava.


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La storia vera della signora delle camelie racconta la presunta vera storia di Alphonsine, la cortigiana immortalata nel romanzo di Dumas figlio e da La Traviata di Verdi le cui arie sono citate dalle musiche di Morricone.
Se un storia di povertà e prostituzione si può intuire anche nella vicenda di Margherita Gautier, l’originalità della trama sta nel ribaltamento di ruoli della figura paterna: non è il padre di Armando a chiedere a Margherita di lasciare il figlio perché sia libero di rifarsi una vita ma è il padre di Alphonsine a intromettersi perché finisca l’amore con Alexandre e la figlia possa tornare ai suoi affari e far smaltire la coda di creditori che bussano alla porta. Il ruolo è interpretato magistralmente da Gian Maria Volontè: il signor Plessis è un uomo estremante sensuale che a modo suo ama la figlia, pur non esitando a venderla fin dalla più giovane età; quando la ritrova sposata al conte Perregaux, si trasforma nell’uomo di fiducia della figlia, approfittando del lusso e della licenziosità della sua casa.
Figura sicuramente sgradevole, quella del padre di Margherita, non è poi così diversa da i signori che approfittano chi della sua rustica inesperienza, chi della sua raffinata ascesa.


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Bravissima anche la Huppert nel disegnare tutte le trasformazioni di una donna che decide scientemente di sfruttare a suo vantaggio l’unico tipo di vita che sembra esserle toccato in sorte, senza mai recriminare nemmeno sulla tisi che la accompagna dalla prima giovinezza e che decide di non curare per vivere intensamente la sua breve stagione di piacere.
L’eleganza formale del film si accompagna forse a una certa verbosità ma la pellicola sembra guadagnare fascino con il passare del tempo anche grazie a un cast internazionale di tutto rispetto, tra gli italiani si segnala anche per la bellezza,il giovane Bentivoglio nei panni di Dumas figlio.

Latin Lover

marzo 24, 2015

Latinlover Saverio Crispo è stato un grandissimo attore del cinema italiano dalla vita sentimentale molto complicata: cinque figlie avute da cinque donne di nazionalità diverse. Per celebrare il decennale della morte del divo le due vedove e quattro delle figlie si riuniscono nella casa di famiglia: la convivenza non è facile sull’onda di antiche rivalità e nuovi conflitti, per giunta la cerimonia sembra foriera di scandalose scoperte sul mitico attore su cui pareva fosse già stato detto tutto..

Le dinamiche tra donne, sopratutto familiari,sono un tema molto caro alla regista, Cristina Comencini che in questo film riesce a contestualizzarle in una moderna pochade ricca di gag molto divertenti e di una sottile perfidia tipicamente femminile altrettanto gustosa e portata in scena con gran bravura da tutto il cast in cui brillano Virna Lisi e Valeria Bruni Tedeschi che riesce ad aggiungere una vena comica alla figura della quarantenne insicura che ha spesso recitato ultimamente (per esempio ne Il Capitale Umano).
Nella struttura si inserisce anche una piacevole rilettura del grande cinema italiano e negli spezzoni dei film di Saverio Crispo si possono riconoscere chiaramente omaggi ai più celebri artisti italiani, soprattutto a Gian Maria Volontè, Marcello Mastroianni e Vittorio Gassman e ai generi che hanno fatto la fortuna del nostro cinema: la commedia all’italiana, il film di denuncia, lo spaghetti western e anche incursioni nelle altre cinematografie europee che giustificano gli amori francesi e svedesi dell’attore.
Come è noto Latin Lover è l’ultimo film interpretato da Virna Lisi, scomparsa nel dicembre scorso ed è un vero piacere poterla ricordare in una commedia divertente ed intelligente.

Auguri a Francesco Rosi

novembre 15, 2012

Francescorosi Il regista è mancato oggi, 10 gennaio 2015
90 anni per un maestro del cinema italiano che ha praticato e reso grande un genere molto difficile, il cinema d’inchiesta.
Francesco Rosi nasce a Napoli il 15 novembre 1922. Vinto un concorso per il bambino più somigliante a Jackie Coogan (il bambino de Il monello di Chaplin poi Zio Fester ne La famiglia Addams) a tre anni Francesco Rosi e il padre avrebbero dovuto trasferirsi in America ma la madre si oppone al viaggio però il destino si limita a rimandare l’incontro di Francesco con la Settima Arte.
La guerra lo costringe ad interrompere gli studi di giurisprudenza e il giovane Rosi si ricicla come illustratore di libri per l’infanzia. Intanto collabora anche con Radio Napoli (prima stazione radiofonica del Sud Italia e fulcro della resistenza antifascista dopo il ‘43) dove crea contatti con giovani partenopei che lasceranno a loro volta il segno: Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Aldo Giuffrè e anche Giorgio Napolitano.

Rosivisconti Terminata la guerra si avvicina al mondo dello spettacolo; inizia come assistente di Ettore Giannini per l’allestimento romano de Il voto di Salvatore Di Giacomo.
Diventa aiuto regista di Luchino Visconti per La Terra Trema (1948) e Senso del 1954; intanto, sempre per Visconti, scrive la sceneggiatura di Bellissima. Gira alcune scene nel 1952 per Camicie rosse di Goffredo Alessandrini e nel 1956 è alla “direzione tecnica” del film diretto da Vittorio Gassman Kean: genio e sregolatezza; sempre come aiuto regista collabora con Matarazzo (Tormento), Antonioni (I Vinti), Monicelli (Proibito) e Luciano Emmer.
Nel 1958 il debutto come regista con La sfida un ottimo esordio con una vicenda ispirata a un fatto di cronaca. Se le tematiche sono già in nuce quelle che faranno grande il suo cinema, anche stilisticamente Rosi conferma la sua libertà e il suo spirito sperimentatore coniugando la lezione neorealista italiana al noir americano.
Il secondo film è I magliari del 1959 e non fu molto amato all’uscita in sala per la presenza di Alberto Sordi considerato troppo sopra le righe per un ruolo drammatico.
Con Salvatore Giuliano del 1962 il regista inaugura un nuovo genere per il cinema italiano, il film d’inchiesta. Questa prima opera del nuovo filone ripercorre la vicenda del brigante siciliano ricostruendo la sua vita attraverso flash back a partire dal ritrovamento del cadavere del bandito. La vicenda di Salvatore Giuliano diventa una scusa per raccontare la Sicilia e le connivenze tra politica banditismo e potere mafioso.

Salvatoregiuliano

Nel 1963 è la volta de Le mani sulla città che indaga nello squallido mondo delle speculazioni edilizie. Leone d’oro al Festival di Venezia, il film non si limita a denunciare un dramma di un periodo storico ma è purtroppo ancora drammaticamente attuale rivelandosi così tragicamente profetico.
Nel 1964 Rosi si sposta in Spagna e con Il momento della verità vuole demolire l’epica della corrida (cfr il Dizionario dei film Mereghetti) ma il film si rivela debole e viene tacciato di calligrafismo.
Nel 1967 l’autore si concede una pausa di leggerezza e dirige una fiaba, quasi una rivisitazione di Cenerentola, con Sophia Loren e Omar Sharif: la pellicola si intitola C’era una volta e racconta l’amore tra una popolana e un principe spagnolo.
Ilcasomattei Nel 1970 il ritorno ai temi importanti, in questo caso l’antimilitarismo portando sul grande schermo Uomini contro tratto dal romanzo Un anno sull’altopiano di Emilio Lussu. A partire da questo film inizia la collaborazione fecondissima con Gian Maria Volonté che giganteggia nei seguenti Il caso Mattei (1972) e Lucky Luciano del 1973.
Nel 1975 Rosi indaga la strategia della tensione con Cadaveri eccellenti dal romanzo Il contesto (1971) di Sciascia. Il film scatena molte polemiche ma vince il David di Donatello, premio che Rosi riceve anche l’anno seguente per Cristo si è fermato a Eboli tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Levi, pellicola che vede nuovamente protagonista Gian Maria Volonté. Oltre al David il film vince anche il BAFTA come miglior film straniero.
Del 1981 è Tre fratelli: il film, ispirato a un racconto dell’autore russo Andrej Platonovic Platonov, analizza lo scontro tra la morente civiltà contadina e la vita di città e fa vincere al regista due David Di Donatello, per regia e sceneggiatura oltre che un Nastro d’Argento per la regia.
Nel 1984 la trasposizione de la Carmen di Bizet in un film che esalta il lato cruento del melodramma e vanta delle scenografie grandiose che lo pongono all’attenzione di molti premi europei.
Nel 1987 Rosi vorrebbe girare La tregua ma il suicidio dell’autore, Primo Levi lo fa desistere; il progetto sarà ripreso e portato a termine dieci anni dopo, nel 1997 diventando l’ultima pellicola girata da Francesco Rosi.
Ma prima ci sono ancora quattro lavori: Cronaca di una morte annunciata dall’omonimo testo di Gabriel García Márquez; Dimenticare Palermo del 1990, sempre nello stesso anno partecipa al documentario corale per i Mondiali di Calcio di Italia 90, 12 autori per 12 città in cui racconta la sua Napoli, che sarà protagonista anche del documentario del 1992 Diario napoletano.
Se la carriera cinematografica è finita nel 1997, gli anni duemila segnano un ritorno alla regia teatrale, con attenzione particolare alle opere di Eduardo De Filippo.
Il cinema lo ha insignito negli ultimi anni dell’Orso d’Oro alla carriera al Festival di Berlino (2008) e quest’anno del Leone d’Oro alla carriera al la Mostra del Cinema di Venezia.

L’armata Brancaleone

dicembre 21, 2010

Italia, 1966
con Vittorio Gassman, Catherine Spaak, Gian Maria Volonté, Enrico Maria Salerno, Maria Grazia Buccella, Barbara Steele, Carlo Pisacane, Folco Lulli
regia di Mario Monicelli

L'armatabrancaleone

Tra le masserizie che alcuni villici, sopravvissuti all’assalto di un borgo, tentano di vendere all’ebreo Abacuc, si trova una pergamena imperiale che consegna al cavaliere latore della missiva il feudo di Aurocastrum, nelle Puglie. Abacuc conosce un cavaliere spiantato e la banda lo convince a dividere con loro le ricche proprieta’ che la pergamena promette. Dopo alcuni tentennamenti il prode Brancaleone da Norcia decide di mettersi al comando dell’armata e raggiungere la Puglia tra mille avventure..

Le avventure di un’armata sgangherata e imbelle cosi’ rappresentativa di un modo di fare sconclusionato che il titolo del film e‘ entrato nel linguaggio corrente con questa accezione ed e’ accettato anche dai dizionari della lingua italiana.
Il film racchiude tutti i temi centrali della teoretica filmica del regista: il suo occhio benevolo verso i perdenti, messi alla prova dalla Storia e legati da un forte senso di amicizia virile. In questa compagine tutta al maschile non si puo’ non citare la geniale componente animalesca rappresentata da Aquilante, lo malo caballo assurdamente tinto di giallo, fedele compagno delle mille avventure del suo cavaliere, pur restando sempre recalcitrante ed infido.
Un capolavoro del cinema popolare che mischia con grande abilita’ il basso con l’alto. Tra le pellicole che stanno alla base della sceneggiatura firmata da Age e Scarpelli e lo stesso Monicelli, c’e’ anche La sfida del samurai di Kurosawa a cui si ispira, in maniera stracciona e balorda, il trucco di Brancaleone.

Teodoraebrancaleone

C’e poi un chiaro intento di affrancare l’immaginario medievale dal modello fantasioso di stampo hollywoodiano e allora ecco la reinvenzione del linguaggio con un volgare maccheronico divertentissimo. L’ambientazione e’ filologicamente perfetta e i luoghi in cui la pellicola e’ girata, situati prevalentemente nel Lazio settentrionale, conservano ancora una chiara impronta romanica. Su questo rigore architettonico si inseriscono i costumi eccentrici di Piero Gherardi che riescono a sottolineare la dimensione medievale senza stravolgerla. Caso emblematico la famiglia di Teofilatto dei Leonzi presso cui l’armata si reca per chiedere il falso ricatto del cavaliere: i personaggi vengono rappresentati nella maestosa ieraticita’ dello stile bizantino. La mollezza di una civilta’ decadente e’ invece affidata alla parlata di Teofilatto e ai gusti sessuali estremi della zia Teodora.
La sigla animata porta il tratto inconfondibile di Emanuele Luzzati.

Il film e’ il regalo di Natale di Raimovie: sara trasmesso alle ore 21,00 il 25 dicembre.

Gian Maria Volontè, un attore contro

settembre 7, 2005

Gmvolontèunattorecontro Per me Gian Maria Volonte’ e’ sempre stata una figura nebulosa, un attore valido ma che conoscevo poco. Il bel documentario trasmesso in due parti lunedì 29 agosto e lunedì 5 settembre da Rai3 spiega perche’ uno dei piu’ grandi attori italiani del secolo scorso fosse praticamente misconosciuto in patria e ancora oggi sia vittima di un ostracismo che ha reso difficile ai curatori reperire i materiali per questo film .
Lanciato dai grandi sceneggiati televisivi dei tardi anni ’50 in particolare dalla versione de L’idiota di Giorgio Albertazzi, una perla della nostra cultura televisiva che pero’ non e’ possibile rivedere da nessuna parte, Volonte’ diventa, con i film di denuncia a cavallo tra gli anni 60/70, il piu’ grande attore italiano, ambito anche da Hollywood. Le sue ferme convinzioni politiche che gli impediscono di lavorare in film “borghesi” e le sue battaglie per il sindacato degli attori ben presto lo rendono vittima di una sorta di maccartismo all’italiana che ancora oggi passa sotto silenzio. Dopo esser praticamente scomparso dalle scene negli anni ‘80, anche per motivi di salute e familiari, Volonte’ ritorna in auge nel 1990 con Porte Aperte, il film di Gianni Amelio e con Amelio avrebbe dovuto anche girare Lamerica interpretando un vecchio militare rimasto in Albania dopo la fine della seconda guerra mondiale, rinchiuso in una sorta di lager o manicomio, ma il progetto per qualche strano motivo non ando’ in porto.
Escluso ancora una volta dal mondo cinematografico italiano, Volonte’ trascorre gli ultimi anni di attivita’ all’estero, per morire nel 1994 in Grecia sul set del film di Anghelopoulos Lo sguardo di Ulisse.
Al dila’ della sua vicenda umana e politica il documentario mette in luce la sua abilita’ trasformista che gli permetteva di entrare nel personaggio senza l’ausilio di trucchi o protesi, ed anche il suo modo di intendere l’attore come figura il cui apporto e’ fondamentale alla creazione filmica.
Vedendo questa pellicola, quello che mi ha infastidita come appassionata di cinema e’ la scoperta che un simile patrimonio di cultura e abilita’ tecnica (nel 1990 Ingmar Bergman al festival di Glasgow si invento’ il premio di miglior attore europeo per riuscire a dargli un riconoscimento) vada sprecato “solo” per le sue idee politiche, invece di sfruttare la sua lezione per cercare di ricostruire la nostra cinematografia che da qualche anno affida le sue sorti a un vagheggiato premio alla Mostra del Cinema di Venezia, preteso a priori, senza valutare l’effettiva qualita’ delle pellicole italiane in concorso.