Posts Tagged ‘Dario Argento’

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

agosto 4, 2023

Italia 1970
con Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio Tramonti, Filippo De Gara, Arturo Dominici, Vittorio Duse, Vincenzo Falanga, Aldo Rendine, Massimo Foschi, Aleka Paizi, Salvo Randone, Ugo Adinolfi, Gino Usai, Giuseppe Terranova, Pino Patti, Giacomo Bellini, Roberto Bonanni, Guido Buzzelli, Fulvio Grimaldi, Giuseppe Licastro, Franco Marletta
regia di Elio Petri


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Nel giorno in cui viene promosso a capo della sezione politica della questura, un dirigente di polizia uccide la propria amante a cui lo legava un rapporto morboso. L’uomo lascia volutamente molti indizi sul luogo del delitto certo che la sua posizione lo protegga da ogni incriminazione. In un delirante crescendo di depistaggi e aggiunta di nuove prove, con la certezza di essere stato riconosciuto dal vicino, a sua volta amante della vittima e attenzionato come anarchico, arriva finalmente il giorno in cui i suoi superiori non possono più nascondere l’evidenza: faranno di tutto per coprirlo come immaginato dal colpevole?



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Capolavoro di Elio Petri, il film ha un ruolo importante non solo nella storia cinematografica italiana ma anche nel contesto storico italiano: la pellicola uscì pochi mesi dopo la strage di Piazza Fontana che aveva innescato la strategia della tensione e l’inizio degli anni di piombo, il delicatissimo momento storico permise l’uscita dell’opera senza che incappasse nelle maglie della censura o che venisse sequestrata come richiesto da alcuni esponenti della Questura di Milano; il dibattito politico scatenato attorno al film lo rese campione d’incassi di quell’anno ma per il suo insindacabile valore artistico, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ottenne anche numerosi riconoscimenti, sia in Italia che all’estero, tra cui la statuetta per il miglior film straniero agli Oscar del 1971 e il Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes 1970.



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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto si segnala per l’interpretazione superlativa di Volonté, la musica come sempre geniale di Morricone e la commistione di stili utilizzata dal regista: un giallo che gioca con il grottesco e l’onirico e anche nelle scelte stilistiche utilizza topos ben noti al pubblico del periodo la sola scena inziale presenta dettagli che rimandano ai generi più in voga negli anni ’60: dettagli degni di uno spaghetti western, la spogliazione della vittima già col rigor mortis e un pallore esagerato che richiamano la stagione gotica e anticipano Dario Argento che avrebbe fatto delle ville liberty le ambientazioni dei suoi più grandi successi. Anche l’appartamento di Augusta Terzi presenta degli interni liberty meravigliosi che vengono definiti dannunziani per indicare lo stile di vita disinibito e bohémien della donna, un’annoiata divorziata attratta dal potere che esercita il protagonista di cui non viene mai fatto il nome, Augusta esalta perversamente il lato oscuro dell’amante che spinge ad infrangere le leggi che deve tutelare e con cui si diverte a ricostruire morbosamente i casi di omicidi risolti dal poliziotto
Contrapposto all’appartamento dannunziano di Augusto c’è l’appartamento del dirigente: moderno, di design, razionale come apparentemente è l’investigatore, è una casa vuota poco abitata dato che gran parte del suo tempo il protagonista lo passa in questura, un ambiente di stile brutalista di nome e di fatto dove il potere esercita le sue angherie nel modo più feroce, anche solo nella scala gerarchica, basti pensare al diverso atteggiamento verso il sottoposto Panunzio e all’ossequiosità verso il Prefetto.

Sei donne per l’assassino

giugno 15, 2022

Italia 1964
con Eva Bartok, Cameron Mitchell, Dante Di Paolo, Thomas Reiner, Claude Dantes, Harriet Medin, Mary Arden, Arianna Gorini, Franco Ressel, Luciano Pigozzi, Massimo Righi, Giuliano Raffaelli, Francesca Ungaro, Enzo Cerusico, Mara Carmosino, Nadia Anty, Lea Kruger, Heidi Stroh
regia di Mario Bava



Sei donne per l'assassino


Una modella viene brutalmente uccisa, la polizia concentra da subito le indagini sulla casa di moda in cui lavorava la ragazza: dai colleghi agli uomini che intrattenevano relazioni con le varie modelle. Nicole, un’altra modella dell’atelier, trova il diario della ragazza uccisa e si confida con Franco, antiquario cocainomane che aveva una relazione sia con Nicole che con Isabella. Attirata nello showroom dell’antiquario da una falsa telefonata anche Nicole viene brutalmente uccisa, intanto il diario è stato trafugato da un’altra modella, Peggy che lo brucia ma viene sorpresa dall’assassino che la tortura ferocemente fino ad ucciderla. L’ispettore Silvestri trattiene in commissariato tutti gli uomini coinvolti nel caso ma quella notte viene assassinata un’altra modella scagionando così tutti i probabili sospetti: i killer infatti sono due, una coppia di diabolici amanti che finirà per uccidersi a vicenda.



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Non pago di aver codificato il gotico italiano con il capolavoro La maschera del demonio, il sottovalutatissimo Mario Bava nel 1964 codifica anche il giallo all’italiana genere che spopolerà negli anni ’70 e che decreterà la fama di Dario Argento.
Se Sei donne per l’assassino fu molto criticato all’uscita per la ferocia della rappresentazione della violenza, il film porta in scena gli elementi che diventeranno classici nei thriller della decade successiva: la violenza delle uccisioni, il dettaglio di matrice hitchcockiana, nello specifico di questo film la borsa di Isabella che contiene il suo diario, unico oggetto di attenzione dei lavoranti dell’atelier durante la sfilata di moda ma a passare nel cinema successivo è l’assassino seriale mascherato e dalla mano immancabilmente guantata di nero che brandisce un arma affilata.



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Il passaggio dal gotico al giallo avviene in modo quasi naturale nella filmografia di Bava: l’apertura sull’insegna della Maison divelta dal vento ha ancora un gusto gotico, le luci innaturali del film e la violenza sadica erano già presenti nel film precedente La frusta e il corpo; Sei donne per l’assassino aggiunge l’idea della serialità, non tanto nella psicologia del killer ma nel concetto di replicabilità tanto caro alla nascente Pop art: l’ennesimo step per sottolineare la violenza è replicarla all’infinito, trasformando i corpi in oggetti non a caso l’ambientazione è in una casa di moda dove le donne sono delle mannequin e il gioco da semantico diventa visivo fin dai titoli di testa dove ogni personaggio appare accanto a un manichino.

Inferno

giugno 21, 2020

Italia 1980
con Leigh McCloskey, Irene Miracle, Daria Nicolodi, Veronica Lazar, Eleonora Giorgi, Gabriele Lavia, Leopoldo Mastelloni, Sacha Pitoëff, Alida Valli, Feodor Chaliapin Jr., Anja Pieroni
regia di Dario Argento



Inferno


La poetessa Rose Elliott, dopo la lettura di un antico libro dell’architetto e alchimista a Emilio Varelli, sospetta che lo strano palazzo dove vive sia la casa di una delle Tre Madri, Mater Tenebrarum. Scrive al fratello Mark, che studia in Italia, per informarlo della notizia ma, distratto da una misteriosa studentessa, Mark dimentica la lettera in classe. La recupera e la legge Sara, una sua compagna di corso che si reca nella presunta casa romana della Mater Lacrimarum dove rischia di venire uccisa. Tornata a casa, chiama Mark per restituirgli la lettera ma il ragazzo la trova morta. Mark riceve una telefonata dalla sorella che lo sollecita a recarsi da lei ma una volta a New York Mark trova l’appartamento della sorella vuoto. Fa amicizia con Elise, una contessa che vive nel palazzo e incontra Kazanian, l’antiquario che ha venduto il libro sulle Tre Madri alla sorella. Mentre continuano gli omicidi, Mark riesce a trovare la via che conduce al cuore della casa e al suo più terribile segreto mentre l’immobile va in fiamme.



Inferno


Secondo capitolo della trilogia delle Tre Madri, seguito ideale di Suspiria, Inferno è un film divisivo, che si ama molto oppure non si sopporta per la farraginosità della trama.
Personalmente credo di apprezzarlo anche più di Suspiria perché in questo film si arriva al nocciolo dell’ispirazione argentiana, per lo meno per quanto riguarda il filone puramente horror, cioè il cinema espressionista tedesco. I colori violenti che caratterizzano anche il film precedente, diventano i colori classici dei viraggi del cinema muto: il rosso, il blu, il verde e l’arancione, le illuminazioni innaturalistiche ricreano le atmosfere sghembe e fantastiche dell’espressionismo tedesco, una citazione già realizzata da Bava ne La Frusta e il corpo e il grande genio della fotografia e del gotico italiano partecipa alla lavorazione del film assieme al figlio Lamberto.
La rêverie delle trame espressioniste è immersa da Argento in un bagno lisergico di suggestioni fantastiche che procedono per accumulo e associazione più che per nesso logico: i molti frammenti di immagini di animali che divorano una preda, la lucertola con la farfalla, il gatto con il topo, si inseriscono nella composizione delle scene degli omicidi, dettagli da delirio infernale di Hieronymus Bosch, a spezzare omicidi sempre più gore.
Flamboyant in tutti i sensi: un delirio del barocchismo argentiano che rimanda a un altro classico del cinema muto: il ballo della morte rossa de Il fantasma dell’Opera. Dario Argento omaggia in Inferno anche un altro regista molto amato: come in Psyco i nomi di spicco del cartellone, Eleonora Giorgi e Gabriele Lavia muoiono prima della metà del film, la scena di Elise aggredita e ferita dai gatti riprende l’aggressione de Gli Uccelli
Un altro elemento lisergico è quella di penetrare in spazi sempre più piccoli quando ci si avvicina alla soluzione dell’enigma che spesso coincide con la morte, quasi un’Alice nel paese degli orrore: è piccola la porta che Elise apre nel sottotetto dove troverà la morte dopo esser rimasta bloccata sulle scale di servizio. Si fa sempre più basso il percorso nell’intercapedine che Mark compie per incontrare Varelli e poi la Madre. Il finale è flamboyant in tutti i sensi: un delirio del barocchismo argentiano che rimanda a un altro classico del cinema muto: il ballo della morte rossa de Il fantasma dell’Opera.
Dario Argento omaggia in anche un altro regista molto amato: come in Psyco i nomi di spicco del cartellone, Eleonora Giorgi e Gabriele Lavia muoiono prima della metà del film, la scena di Elise aggredita e ferita dai gatti riprende l’aggressione de Gli Uccelli.



Inferno


La scena iniziale di Rose che s’immerge nell’appartamento sommerso per recuperare le chiavi che le sono cadute mentre sta curiosando nelle cantine è estremamente emblematica sia per l’idea di paura che ha Dario Argento, attinta ad archetipi insiti nell’uomo: rimanere chiusi sott’acqua con un cadevere decomposto è raccapricciante per chiunque e anticipa molto della pellicola: il regista ci chiede di immergerci in un mondo fantastico, un Inferno dominato dal femminile: l’acqua, la luna… dove la Morte racchiude più delle tre madri, è la vecchia avida portiera incarnata da Alida Valli, l’infermiera di Varelli e anche la bella strega che protegge Mark, l’unico ad uscire vivo dall’infernale dimora.

Gatti rossi in un labirinto di vetro

aprile 2, 2019

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Italia 1975
con Martine Brochard, John Richardson, Ines Pellegrini, Daniele Vargas, Raf Baldassarre, George Rigaud, Silvia Solar
regia di Umberto Lenzi

Un gruppo di turisti americani a Barcellona viene coinvolto in una serie di efferati omicidi di giovani donne a cui, dopo esser state accoltellate, viene strappato l’occhio sinistro. I turisti iniziano a guardarsi con sospetto e il maggior indiziato è Mark Burton, che ha raggiunto il gruppo per stare con Paulette Stone, sua segretaria ed amante. Il comportamento ambiguo di Mark nasce dal fatto che l’uomo sospetta che la moglie, vittima di un forte esaurimento nervoso per la fine del loro amore, sia l’assassina e abbia già compiuto un primo omicidio nella loro cittadina, attribuito poi a un alcolizzato:  Alma infatti non è andata a ricoverarsi in una clinica come promesso ma è venuta anche lei a Barcellona. Il commissario Tudela riuscirà a risolvere l’intricato caso giusto in tempo per andarsene in pensione.



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Un giallo con qualche buco di sceneggiatura, debitore allo stile imperante dei thriller di Dario Argento, a partire dal titolo con gli animali. Pur non essendoci nemmeno un gatto nel film non è difficile capire come nasce il titolo: l’assassino si nasconde dietro un’impermeabile rosso e un testimone descrive di averlo visto fugacemente, ricevendo l’impressione di aver visto un gatto rosso. Il labirinto è la situazione in cui si trovano i turisti, in particolare Paulette e Mark che per rispetto di Alma non hanno ancora ufficializzato la loro storia e non vogliono suscitare i pettegolezzi degli altri gitanti e l’intricato giallo in cui sono incappati non li aiuta, il vetro fa riferimento all’occhio di vetro, causa scatenante della furia omicida.



Eyeball


Nonostante l’eleganza della composizione tipica di Lenzi molte scene sono risolte in campi e controcampi dei protagonisti, forse per dare modo di seguire la trama estremamente complessa, complicazioni necessarie per nasconderne la risibilità.



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Ho trovato intrigante quest’inquadratura di Paulette e la modella Naiba, è molto breve e la prima impressione è quella di un doppio (solitamente Naiba ha i capelli neri mentre qui indossa una parrucca bionda) una scena che in effetti anticipa il finale di cui le due donne saranno protagoniste.



Eyeball



Resta sicuramente interessante l’ambientazione a Barcellona nei primi anni post-franchisti e la fotografia: se non ci sono gatti, in quasi tutte le inquadrature c’è un elemento rosso.

Tenebre

ottobre 1, 2018

Italia 1982
con Anthony Franciosa, Giuliano Gemma, Daria Nicolodi, John Saxon, Veronica Lairo, Anja Pieroni, Carola Stagnaro, John Steiner, Lara Wendel
regia di Dario Argento



Tenebrae


Lo scrittore di successo Peter Neal viene in Italia per presentare il suo ultimo romanzo, Tenebre e iniziano una serie di omicidi che sembrano ispirarsi al libro. Il capitano Germani interroga lo scrittore che si mostra disponibile alla collaborazione ma le morti continuano..



Tenebre


Dopo la trilogia degli animali e quella delle Madri, Dario Argento firma un thriller esteticamente piuttosto distante dai suoi lavori precedenti: niente più tinte cupe per le ombre e i notturni e anche l’uso del colore sparisce in favore di un bianco asettico su cui spicca solo il sangue e il film è davvero molto efferato con un altissimo numero di omicidi con dettagli molto splatter.



Tenebre


Il lavoro di Argento risulta così molto contemporaneo: è a partire da primi anni ’80 che gli interni delle case iniziano a usare il bianco per le pareti abbandonando il colore o la tappezzeria, molto interessante l’osservazione sull’uso della luce come risposta a quella “sparata” delle tv commerciali della recensione di Nocturno e diventa ancor più ironico il destino del film, censurato proprio dalle tv berlusconiane che hanno tagliato la scena del braccio mozzato di Veronica Lario quando diventa la signora Berlusconi.



Tenebrae


Il plot invece è piuttosto fedele allo stile argentiano: un trauma infantile che scatena pulsioni omicide, un doppio assassino: quello ossessionato dalle devianze e chi sfrutta gli omicidi del serial killer per portare a termine una vendetta personale. Tenebre procede per accumulo, numero esorbitante di vittime, due colpevoli, Dario Argento capisce anche in questo la modernità della reiterazione: passa il concetto gridato più forte e più a lungo, forse non ci saremmo aspettati che 35 anni dopo saremmo stati ancora qui a stigmatizzare le “perversioni” omosessuali o l’ambiguità sessuale: nel film la ragazza che del trauma giovanile dell’assassino è interpretata da Eva Robins.



Tenebrae


Per giustificare il colpo di scena finale Argento mette in scena un trucco del mestiere: mostrare come funziona un coltello finto, una soluzione che mi ha ricordato La casa dei fantasmi quando Vincent Price entra in scena con l’armamentario pe far muovere lo scheletro

Wampyr

luglio 16, 2018

Martin

Martin
USA 1977
con John Amplas, Lincoln Maazel, Christine Forrest, Elayne Nadeau, Tom Savini, Sara Venable
regia di George A. Romero

Tateh Cuda, un bottegaio di origine transilvana, prende a vivere con sè un giovane cugino, Martin. Il vecchio è convinto che sul giovane gravi una maledizione di famiglia e sia la reincarnazione di Nosferatu ma il ragazzo è “solo” un serial killer che prima anestetizza le sue vittime poi le svena per succhiarne il sangue simulando un amplesso.

Martin è il film più amato dallo stesso Romero, un film low budget girato coinvolgendo parenti e maestranze nella lavorazione: Romero stesso è il prete piuttosto scettico sul demonio, la moglie Christine Forrest è Cristina, la nipote del vecchio Kuda anche lei stufa delle ossessioni sui vampiri del nonno e il suo fidanzato è Tom Savini, attore e regista ma soprattutto curatore degli effetti speciali.
Martin, sotto questo aspetto è un film poco splatter, un horror d’atmosfera, una decostruzione del mito del vampiro: in uno mondo degradato vittima del consumismo: Kuda gestisce un negozio di alimentari, Martin fa le consegne per lui ma incombe il vicino supermercato dove le signore che escono con la spesa sono importunate dai perdigiorno; nell’era del consumismo è finita anche la parabola romantica del vampiro che pure riviviamo in flash back in bianco e nero.


Wampyr


La pellicola è un capolavoro di montaggio, sia nel passaggio tra flash back e presente che dimostra come Martin riviva la vicenda del passato, sia per dare tensione alle scene:l’attacco alla seconda vittima sorpresa in casa con un amante inaspettato, la fuga dopo l’omicidio dei barboni che si risolve con uno scontro nel covo di alcuni malviventi da cui Martin esce illeso e senza responsabilità.
Il fascino del film sta nel mistero non svelato del protagonista: è davvero un vampiro come crede il vecchio Kuda? E’ solo un malato? L’amore fisico finalmente consumato con la signora Santini lo avrebbe redento se per una beffa del destino la donna non avesse deciso di suicidarsi con lo stesso modus operandi usato da Matin per uccidere le sue vittime, cioè tagliandosi le vene? La necrofilia è congenita nel ragazzo oppure nasce dalle ossessioni della famiglia che si crede maledetta dal vampirismo?
I piani si mescolano e allo spettatore viene lasciata la possibilità di scegliere la risposta che gli è più congeniale.


Wampyr


Il titolo italiano del film è Wampyr e come sempre, quando ci sono grandi rimaneggiamenti nella versione, si può dire che Wampyr non è Martin, la versione italiana è stata curata (?) da Dario Argento che aggiunge brani dei Goblin e per quanto le musiche non siano state scritte appositamente dal film le ho trovate piuttosto intriganti, il guaio è che per posto a loro sono state cancellate le telefonate off fatte alla radio in cui Martin cerca aiuto e ne rimangono solo alcuni spezzoni privi di senso.


Martin


La pellicola è stata accorciata di qualche minuto ma soprattutto è stata modificato l’ordine di alcune scene: la versione orginale inizia con l’attacco di Martin alla viaggiatrice solitaria in treno mentre quella italiana comincia con Kuda che va a prendere Martin alla stazione e lo accompagna a casa, il giorno dopo, ultimo giorno libero prima di iniziare il lavoro, Martin sale sul treno in cerca di una preda: suona piuttosto male che un operatore ferroviario saluti amichevolmente il ragazzo che in teoria è appena arrivato nella cittadina di Braddock.
Per chi fosse interessato a tutte le differenze rimando al minuzioso articolo del Davinotti

The changeling

dicembre 22, 2017

Canada 1980
con George C. Scott, Trish Van Devere, Melvyn Douglas, Madeleine Sherwood, Jean Marsh
regia di Peter Medak



Thechangeling


Il compositore John Russell decide di trasferirsi da New York a Seattle dopo che la moglie e la figlioletta sono morte davanti ai suoi occhi in un incidente automobilistico.
A Seattle ha un incarico universitario e gli viene assegnata una vecchia casa vittoriana in disuso da anni dove presto l’uomo inizia ad avvertire strane presenze. L’antica magione nasconde un terribile segreto riguardante il senatore Joseph Carmichael che usa tutto il suo potere per intimidire Russell ma il fantasma non ha più intenzione di tacere..



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Solitamente apprezzo i film che Scorsese ha segnalato nella sua lista degli undici film più spaventosi ma The Changeling che pure rientra nell’elenco, mi lascia piuttosto perplessa per quel che concerne la trama.
La sequenza iniziale dell’incidente sulla neve è molto bella anche se ha poco a che fare con il resto del film: posso anche capire che una perdita così dolorosa e recente serva a giustificare la disponibilità del protagonista ad avvertire e seguire le comunicazioni paranormali ma che una persona così provata accetti di andare a vivere in una vecchia casa disabitata da anni, mi lascia francamente perplessa.
Non ho capito poi il finale: perché il piccolo Carmichael non trovi la pace dopo la sepoltura e dopo che la sua storia è stata svelata ma abbia un delirio finale poltergeistiano anche contro coloro che lo hanno aiutato.



The changeling


C’è da dire che il regista Peter Medak è il terzo subentrato nel progetto e notoriamente i cambi di regia lasciano degli strascichi sul lavoro ultimato.
Per il resto il film non si discosta dal modello delle grandi produzioni horror anni ’70 con grandi attori del passato in ruoli inconsueti, il senatore Carmichael è interpretato da Melvyn Douglas, star delle commedie brillanti anni ’30: era lui che riusciva a far ridere la Garbo, severa Ninotchcka dell’omonimo film di Lubitsch.
Una serie di caratteristi dalle facce inquietanti sul modello di Rosemary’s baby, colori acidi ereditati dai film di Dario Argento.



Thechangeling


Nel fatto che il corpo del bambino ucciso nel 1910 sia stato gettato in un pozzo, qualcuno vede una fonte d’ispirazione per The Ring (cfr. Il Mereghetti) ma anche questa mi pare una forzatura.

Labyrinth – Dove tutto è possibile

gennaio 10, 2017

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USA 1986 Tri-star/Lucasfilm Ltd
con David Bowie, Jennifer Connelly
regia di Jim Henson

La quindicenne Sarah è una ragazzina sognatrice che vive con il padre, la sua nuova compagna e il loro bambino, il piccolo Toby. Una sera in cui deve fare da baby-sitter al fratellino particolarmente noioso, Sarah esprime il desiderio che il neonato sia portato via dagli gnomi, cosa che puntualmente accade.
Per riavere il piccolo Sarah dovrà attraversare un labirinto e raggiungere il castello del re degli gnomi, Jareth, entro un tempo prestabilito..

All’uscita in sala Labyrinth non ebbe il successo sperato tanto che concluse l’esperienza con i lungo metraggi di Jim Henson, il burattinaio inventore dei Muppets. Nel corso degli anni il film è diventato un cult, credo per diversi motivi, il principale è sicuramente la scelta dei protagonisti, David Bowie allora nel suo periodo più pop è sempre rimato una stella del rock e il mito cresce dopo la sua morte improvvisa lo scorso anno. Jennifer Connelly allora ragazzina nota per Phenomena di Dario Argento, è diventata a sua volta un’attrice di fama vincitrice di un Oscar.
A fare di Labyrinth un cult è anche il modo in cui è girato: Bowie e la Connelly sono i due soli attori umani in mezzo a un ricco cast di figure fantastiche realizzate con pupazzi o umani travestiti, una dimensione molto “calda” che manca agli esseri fantastici realizzati oggi con la computer grafica, sicuramente più realistici ma molto meno coinvolgenti.

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Se la trama è semplice e lineare, la lettura dei personaggi è molto sofisticata, con grande attenzione alle sfumature della personalità adolescenziale di Sarah, in pieno rifiuto della nuova famiglia, sogna di diventare un’attrice come la sua vera madre, subisce la fascinazione di Jareth, (la famosa scena del ballo) il re dei Goblins reso perfettamente da David Bowie nelle sue ambiguità.
Il viaggio attraverso il labirinto è un percorso di formazione: spesso nella vita non tutto è quello che sembra e anche se “non è giusto le cose stanno così”. Come in ogni avventura che si rispetti Sarah trova degli amici sul suo cammino, lo gnomo Hoggle è un infingardo al servizio di Jareth ma lungo il viaggio scopre il valore dell’amicizia e diventa un fedele compagno per Sarah, come avviene per i personaggi che accompagnano Dorothy nel viaggio per andare da Il Mago di Oz, mentre il grosso timido Ludo anticipa i mostri dal cuore d’oro de Nel paese delle creature selvagge (forse l’unico film che nel corso degli anni ha cercato di riprendere lo stile e le atmosfere surreali di Labirynth).

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Anche i riferimenti visivi sono chiarissimi, ed Escher di cui viene espressamente citato il gioco di scale, è nominato anche nei titoli di coda.
La colonna sonora della pellicola, aggiunge alle composizione strumentali di Trevor Jones cinque canzoni scritte ed interpretate dal Duca Bianco, alcune ebbero anche un buon successo come singoli.
L’omogeneità musicale e l’accuratezza della messa in scena fanno di Labyrinth un ottimo prodotto, una fiaba per bambini la cui raffinatezza la rende godibile anche agli adulti e non solo per l’effetto nostalgia.

The ward – Il reparto

aprile 6, 2011

Theward Oregon, 1966: dopo aver incendiato una vecchia fattoria, Kristen, una ragazza poco piu’ che adolescente viene internata in un ospedale psichiatrico. Il suo reparto e’ composto da altre quattro sue coetanee che pian piano iniziano a scomparire misteriosamente. Kristen si accorge di una presenza maligna che infesta il reparto..

Ci sono film che si vanno a vedere solo per l’amore verso il regista, in questo caso il ritorno di John Carpenter e’ un forte richiamo per la mia generazione cresciuta a pane e Fuga da New York.
The ward e’ una pellicola molto convenzionale per certi versi prevedibile anche nel colpo di scena che spiega la vicenda ma per quanto i momenti di paura arrivino puntualmente quando te li aspetti e la mostruosa Alice Hudson non sia poi cosi’ spaventosa, non ci si puo’ esimere dal saltare sulla poltrona e chiudere gli occhi (infatti non so mica chi sia uscita dal mobiletto nella scena finale).
Restano dei titoli di testa molto belli che anticipano in qualche modo la soluzione del film e un certo citazionismo giustificato dalla collocazione temporale: se l’idea di fondo e’ quella de Il corridoio della paura la colonna sonora e l’atmosfera tutta la femminile rimanda a Dario Argento. Il vecchio edificio che ospita l’istituto ricorda l’Overlook Hotel e un’inquadratura riproduce perfettamente l’atrio dell’albergo di Shining con tanto di vecchia foto.
Un film per nostalgici? Non necessariamente.