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Dillinger è morto

Maggio 10, 2018

Italia 1969
con Michel Piccoli, Anita Pallenberg, Gino Lavagetto, Mario Jannilli, Carole André, Annie Girardot, Carla Petrillo, Adriano Aprà
regia di Marco Ferreri



Dillinger è morto

Una sera Glauco, ingegnere che progetta maschere antigas, torna a casa e trova la moglie a letto con l’emicrania, la cameriera è fuori e l’uomo decide di prepararsi la cena. Frugando in dispensa trova una vecchia pistola avvolta in un giornale che riporta la notizia della morte di Dillinger e mentre cucina inizia a smontare e ripulire l’arma poi la dipinge, rendendola un oggetto d’arte ma alla fine spara alla moglie e lascia la casa, imbarcandosi come cuoco in una nave che fa rotta verso Tahiti.


Dillingerèmorto

A 50 anni dall’uscita del film la potenza di Dillinger è morto è ancora dirompente anche per la sua sconvolgente attualità: quanto è più veritiero oggi il discorso del collega sull’aderenza dell’individuo alla società dei consumi

In queste condizioni di uniformità la vecchia alienazione diventa impossibile; quando gli individui si identificano con l’esistenza che è loro imposta e trovano in essa compiacimento e soddisfazione il soggetto dell’alienazione viene inghiottito dalla sua esistenza alienata

Estremamente moderno anche l’uso dei diversi media: radio e stereo formano una colonna sonora che passa dall’essere diegetica all’extradiegetica senza soluzione di continuità sottolineando la mancanza di senso dell’esistenza ma è soprattutto nell’audiovisivo che Ferreri anticipa i tempi: la televisione è in bianco e nero ma intercetta totalmente l’attenzione di Glauco che la sposta in vari punti della casa per poi immergersi nei filmini delle vacanze “entrando” nelle immagini come promettono le più innovative esperienze virtuali odierne mentre la scoperta del giornale che riporta la notizia della morte di Dillinger lascia spazio a immagini di repertorio, il famigerato bandito americano rappresenta l’ultimo grande ribelle, quindi il titolo Dillinger è morto non si riferisce solo al titolo del giornale che avvolge la pistola ma ribadisce la sconfitta di ogni forma di lotta, eversiva e romantica alla società dei consumi.


Dillingerèmorto

Dillinger è morto è praticamente un film senza trama, dove non succede nulla a livello drammaturgico, i dialoghi sono minimi e Michel Piccoli è ammirevole per la sua capacita di stare in scena tutto il tempo, spesso da solo a compiere banali gesti quotidiani eppure questo film apparentemente così poco appetibile, “noioso” sa rendere il dramma della fine della borghesia meglio di tanti altre pellicole: Glauco ha tutto, un lavoro di successo, una bella moglie, una bella casa, una cameriera piacente e compiacente eppure soddisfatte le pulsioni basilari, il cibo il sesso, non resta che la morte come ultima conclusione: la mancanza di coraggio di suicidarsi porta Glauco a uccidere la moglie, un gesto per liberarsi delle convenzioni poi l’uomo trova un’incredibile via di fuga nel veliero attraccato al largo della Grotta di Byron che sta partendo per Tahiti: l’imbarcazione è di proprietà di una donna, torna la speranza nel femminile tipica di Ferreri incarnata nella non accreditata Carole Andrè; ma il rosso del tramonto vira in un effetto da film horror a significare che ogni via di fuga ha comunque la medesima mortale destinazione.


Dillinger è morto

Un film così poco convenzionale ha la sua forza nelle immagini, quelle composte dal regista, quelle eleganti degli interni dove domina sempre il rosso, colore simbolo di passione come di morte e un ulteriore supporto è dato dai riferimenti artistici: il film è stato girato nell’appartamento di Mario Schifano, salvo le scene in cucina girate in quella vera di Ugo Tognazzi. La scelta di ambientare il film nella casa di un artista non è certo casuale: alle pareti vediamo alcuni dipinti del più celebre artista pop italiano mentre la pistola tinta di rosso con i puntini bianchi non può che richiamare Roy Lichtenstein di cui vediamo una riproduzione della copertina del Time del 1968; tra le contaminazioni artistico-sperimentali sono da menzionare anche i bellissimi giochi mimici delle mani ideati da Maria Perego; anche la via di fuga trovata ha un richiamo artistico: a Tahiti cercò rifugio Gauguin morendo poi di sifilide in Polinesia.