Strange Days

giugno 21, 2023

USA 1995, 20th Century Fox
con Ralph Fiennes, Angela Bassett, Juliette Lewis, Tom Sizemore, Michael Wincott, Vincent D’Onofrio, Glenn Plummer, Brigitte Bako, Josef Sommer, David Carrera, Richard Edson, William Fichtner, Todd Graff, Jim Ishida, Michael Jace, Nicky Katt, Louise Le Cavalier, Joe Urla, Dex Elliott Sanders
regia di Kathryn Bigelow


Strangedays


Ultimo giorni del 1999: Lenny Nero è un ex poliziotto, ora spacciatore di SQUID una sorta di droga neuronale che permette di vivere le esperienze altrui con la più completa immedesimazione sensoriale e cognitiva. Intanto Iris, una prostituita che regista le sue esperienze per rivenderle a Lenny e altri spacciatori di Squid, viene inseguita da due poliziotti e lascia un dischetto nell’auto di Lenny, la macchina però viene portata via per una multa non pagata. Quando riceve una clip squid dov’è registrato il violento omicidio di Iris, Lenny si preoccupa soprattutto per Faith, la ex di cui è ancora innamorato anche se lei lo ha lasciato per mettersi con un produttore che le spiana la carriera musicale. Con l’aiuto di Mace, una donna di colore guardia del corpo e autista di limousine, Lenny cerca di scoprire di più sulla morte di Iris e arriva a scoprire che la ragazza ha registrato l’omicidio di un rapper impegnato politicamente, freddato dai due poliziotti che la stavano inseguendo. Ancora convinto di dover salvare Faith, Lenny affida il dischetto a Mace perché lo consegni al capo della polizia e mentre la donna se la dovrà vedere con i due poliziotti che hanno ucciso il rapper, Lenny farà un’amara scoperta sul suo migliore amico, Max…

Ho amato Strange Days fin dalla visione in sala anche se all’uscita la pellicola si rivelò un flop e solo nel tempo è stato rivalutato.
La commistione perfetta tra gli stilemi del noir classico e la cupa rappresentazione di un futuro distopico (termine all’epoca non ancora di moda), il triangolo amoroso tra Faith, dark lady letale, Lenny ossessionato dai ricordi dell’amore per Faith e Mace, segretamente innamorata di Lenny: la donna è l’unica figura dotata di moralità e pragmatismo e anticipa le eroine d’azione che sarebbero spuntate da lì a poco con Angelina Jolie in Tomb Raider. Mace però è ben lontana dall’eroina di un videogioco: è una madre single e per giunta di colore. La questione razziale è una parte molto importante nel film che tra ispirazione dai fatti delle rivolte di Los Angeles del 1992 e che il tema poi stia molto a cuore alla regista lo dimostra il suo ultimo film del 2017, Detroit che racconta un fatto storico del 1957 riguardante l’omicidio di afroamericani ad opera di poliziotti.
Notevoli sono gli inserti delle clip di Squid girate tutte in soggettiva con la macchina da presa all’altezza degli occhi di colui che agisce e colui che rivivrà la scena. Il rimando è al classico del cinema noir, il film del 1947 girato tutto in soggettiva, Una donna nel lago, come nell’opera diretta da Robert Montgomery il protagonista con cui ci identifichiamo viene mostrato solo riflesso negli specchi. Strange Days è un profluvio di specchi a sottolineare l’ambiguità morale dei personaggi, a Max, amico traditore di Lenny, viene riservato addirittura uno sdoppiamento d’immagine.
Quello che mi è piaciuto da subito del film è, ripeto la capacità di coniugare classico e contemporaneo, rivisto oggi il film dimostra di aver coniugato il noir classico alle previsioni del futuro: non abbiamo (ancora?) un Dispositivo Superconduttore a Interferenza Quantica, ma l’ossessione voyeuristica per la vita degli altri fomentata dai social non è poi una curiosità dissimile, se le critiche cinematografiche dell’epoca stigmatizzavano una violenza fine a sé stessa, Strange Days ha solo anticipato l’estetica di Tarantino e i suoi emuli, purtroppo gli abusi sugli afroamericani non sono il brutto ricordo di un quarto di secolo fa e la caduta dall’ultimo piano dell’hotel è diventata tragica realtà l’11 settembre.

Macao l’inferno del gioco

giugno 16, 2023

Macao, l’Enfer du jeu
Francia 1939
con Sessue Hayakawa, Mireille Balin, Erich von Stroheim, Louise Carletti, Roland Toutain, Henri Guisol, Georges Lannes, Marie Lorain, Alexandre Mihalesco
regia di Jean Delannoy



Macao l'inferno del gioco


Durante la guerra cino giapponese, la ballerina francese Mireille viene arrestata dai cinesi, la fa liberare Werner von Krall, un faccendiere che sta comprando le armi per conto del generale che ha arrestato la donna. Mireille s’imbarca con Krall per accompagnarlo a Macao, Nel frattempo giungono a Macao la giovane Jasmine con la su istitutrice; durante il viaggio la ragazza s’è innamorata di Pierre, un giovane giornalista con la passione del gioco d’azzardo. A unire i destini dei quattro personaggi è Ying Tchaï, capo della malavita di Macao che possiede il casino più famoso della città: è a lui che Krall si rivolge per comprare le armi ma l’accordo non va a buon fine e il faccendiere si gioca i soldi della commessa perdendoli mettendo a repentaglio la propria vita, Mireille che durante il viaggio si è innamorata di lui, si offre di recuperare l’assegno che incastra Krall, Ying Tchaï ha cercato di sedurla appena l’ha vista. Tchai incarica i suoi scagnozzi di eliminare Pierre che ha sbancato il casino dopo aver recuperato il denaro, non sa che è il ragazzo di cui sua figlia si è innamorata, come Jasmine non conosce la losca attività paterna. quando la scopre si rifugia sulla nave di Krall, vecchio amico di Pierre che ha salvato dall’annegamento. Krall, Mireille Jasmine e Pierre partono da Macao con il carico di armi diretti ad Hong Kong ma Almaido, convinto di fare un piacere al boss, racconta del carico alle spie giapponesi che bombardano la nave…

Una delle prime opere del regista francese Jean Delannoy, un melodramma senza redenzione la cui produzione ebbe un destino travagliato: a causa dell’occupazione nazista il film non potè uscire fino al 1942 perché dovettero essere rigirate tutte le scene con Erich von Stroheim di origini ebraiche e dichiaratamente antinazista; l’attore e regista fu sostituito da Pierre Renoir, fortunatamente è possibile reperire la versione con Stroheim che è quella che ho visto io, scoprendo che “l’uomo che amerete odiare” (lo slogan che accompagnava le sue interpretazioni) sa sfoderare un gran fascino da seduttore: la scena in cui abbandona Mireille da sola in cabina dopo averle fatto credere di voler concludere la serata amoreggiando, è da manuale di seduzione e infatti la donna piccata s’innamora veramente di lui, mentre prima avrebbe ceduto solo per ricambiare l’opportunità di salvezza offertale da Krall.
Forse il faccendiere si è portato la bella ragazza per irretire Tchai ma alla fine anche lui s’innamora di Mireille e le ore trascorse nella sua camera mentre la donna è in missione seduttiva presso il boss asiatico lo dimostrano.
La seconda storia d’amore, quella tra Jasmine e Pierre è quella che nel corso degli anni mi si è un po’ confusa nella memoria con I Misteri di Shangai di Josef von Sternberg: anche qui una giovane ereditiera scopriva i sordidi legami della genitrice con il mondo del gioco d’azzardo. Avevo confuso soprattutto gli scenari: il casinò di Sternberg ha la struttura di un girone dantesco mentre questo di Delannoy ricorda un mercato con la possibilità di calare cestini con le poste dai piani superiori del locale.
Bellissimo il montaggio alternato tra l’attacco degli aerei all’imbarcazione e la disperazione di Ying Tchaï (che non sa che la figlia e Pierre sono stati fatti scendere da Mireille mentre imbarcavano le armi) prima di suicidarsi il malavitoso spara al denaro e da fuoco al locale, soprattutto quella degli spari alle banconote che svolazzano per il locale vuoto, è una scena iconoclastica che deve aver colpito l’immaginario di John Woo perché mi ha ricordato molte sequenze del maestro dei film d’azione di Hong Kong.

Le otto montagne

giugno 4, 2023

Leottomontagne

Italia 1922
con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo
regia di Charlotte Vandermeersch, Felix van Groeningen

1984: l’affitto di una casa di vacanze a Grana, sperduto villaggio alpino, porta Pietro, dodicenne torinese a stringere amicizia con Bruno, l’unico ragazzino del paese. Bruno è affidato agli zii perchè orfano di madre e col padre sempre lontano per lavoro. visto il legame che si stringe tra i due bambini i Guasti si offrono di ospitare Bruno in città per farlo studiare ma il padre lo prende con sé a lavorare. Pietre e Bruno si perdono di vista e si ritrovano solo una quindicina di anni dopo quando muore il padre di Pietro. l’ingegnere aveva comprato un baita da ristrutturare e aveva offerto l’incarico a Bruno, per portarlo a termine il muratore chiede l’aiuto di Pietro che accetta. Pietro scopre che negli ultimi dieci anni in cui aveva interrotto il rapporto con padre, se n’era istaurato uno altrettanto importante tra Bruno e l’ingegnere. Mentre Bruno è deciso a riprendere la vecchia attività di famiglia, producendo formaggio di malga, Pietro non sa bene cosa fare della sua vita, insicuro delle sue capacità di scrittore. Dopo un viaggio in Nepal Pietro trova la sua strada mentre il fallimento dell’attività di Bruno porta l’uomo ad allontanarsi dalla famiglia e a isolarsi nella baita costruita con Pietro morendo nel gelo dell’inverno.



Le8montagne


Tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, un film che avuto lo stesso successo del libro, premiato ai festival che al botteghino. Riconosco la potenza emotiva dell’opera che coinvolge lo spettatore ma penso che il film (non conosco il romanzo) abbia scelto la via più facile puntando più sul sentimentalismo che l’approfondimento dei personaggi.
Sulla bella amicizia infantile tra Pietro e Bruno pesa da subito l’ombra del padre di Pietro, padre premuroso ma con grosse aspettative nei confronti del figlio che non si sente all’altezza dell’impegno, anche fisico, che il padre richiede nella sua passione per l’alpinismo per cui è naturalmente dotato Bruno. L’idea di portare Bruno in città spaventa più Pietro del coetaneo, per la naturale quanto inconscia paura di perdere la stima e quindi l’affetto paterno nel confronto con l’amico più dotato e affine al genitore.
Sarebbe stato interessante vedere Bruno in città, una sorta di Heidi al maschile. Lo strappo cruento dalla montagna il ragazzo lo subisce ugualmente, ma da parte del padre naturale che appena tredicenne se lo porta in giro per l’Europa a fare il manovale. Di questa parte della vita di Bruno non sapremo mai nulla anche se la determinazione con cui Bruno ricerca il legame atavico con la vita montanara allude a esperienze traumatiche con un padre beone.
Ventenne, anche Pietro rompe definitivamente i legami con il padre: non vuole studiare all’università ma sperimentare la vita, non vuole diventare un vecchio senza amici come il padre. Pietro non avrà più notizie del padre fino alla sua morte, tornato nella casa di montagna scopre il mondo parallelo del padre: la sua passione per la montagna che lo ha legato così tanto al suo vecchio amico d’infanzia. Se l’amicizia tra Bruno e Pietro esce dal ricordo di un’amicizia infantile perduta durante la crescita è proprio per portare a termine il desiderio dell’ingegner Guasti; restaurare il vecchio rudere. La costruzione della casa (simbolico lampante) è il vero cemento che costruisce l’amicizia tra Pietro e Bruno che conservano le loro diversità: il primo insicuro e curioso che esplora il mondo per cercare la propria strada, il secondo così centrato sulla propria essenza montanara da arrivare a mettere in secondo piano anche la famiglia e trasformarsi a sua volta in un padre assente dopo il fallimento del caseificio.
La lettura, con beneficio d’inventario, che ho fatto del film è tutta in filigrana, l’approfondimento dei personaggi è blando, nonostante la scelta di girare in quattro terzi (non rispettata nella trasmissione televisiva) esaltata dalla critica proprio perché non lascia spazio alla bellezza da cartolina dello scenario alpino ma costringe(rebbe) lo spettatore a seguire le vicende dei personaggi analizzati da un punto di vista più emotivo: la cosa che funziona di più nel film è la tensione di disgrazia imminente che permea tutta l’opera la cui durata supera abbondantemente le due ore: il film quindi funziona, soprattutto per la costruzione del personaggio di Bruno, loser predestinato che segue il proprio destino fino alle estreme conseguenze, un’archetipo sia letterario ma soprattutto cinematografico.
Ottima la prova dei due protagonisti che ritornano a lavorare insieme a sette anni dal film che li ha lanciati Non essere cattivo in due ruoli che invertono la traiettoria dei precedenti: la disperata inquietudine del borgataro Cesare è speculare alla disperazione quieta e determinata di Bruno e porta agli stessi esiti.

Il matrimonio di Maria Braun

Maggio 31, 2023

Die Ehe der Maria Braun
Germania, 1979
con Hanna Schygulla, Klaus Lowitsch, Ivan Desny, Gisela Uhlen, Elisabeth Trissenaar, Gottfried John, Hark Bohm, Georghe Byrd, Claus Holm, Günter Lamprecht, Volker Spengler, Christine Hoph De Loup, Michael Balhaus, Isolde Barth, Peter Berling
regia di Rainer Werner Fassbinder


Ilmatrimoniodimariabraun


Nel 1943 Maria sposa in tutta fretta il soldato Hermann Braun, prima che l’uomo parta per la guerra. Ben presto Hermann, dato per disperso, viene creduto morto così Maria per sopravvivere pratica la borsa nera e si esibisce nei night club per gli americani diventando l’amante di Bill, un soldato di colore. Hermann torna a casa sorprendendo la moglie con il nuovo amante, tra i due uomini nasce una colluttazione e Maria uccide il soldato americano per difendere il marito che si addossa la colpa e finisce in galera. Maria si lega ad Oswald un ricco industriale, grazie alle sue conoscenze con la lingua inglese Maria fa carriera nell’azienda dell’amante. Oswald intanto si accorda con Hermann perché lasci la Germania una volta scontata la sua pena. Quando l’industriale muore lascia a Maria tutti i suoi beni e Hermann finalmente torna da lei: ora Maria ha tutto, la ricchezza e l’amore ma una distrazione manda tutto all’aria…

Uno dei più noti film di Fassbinder che fu anche un successo commerciale, in cui il regista coniuga l’amore per il melodramma sirkiano con l’allegoria storico politica, come negli altri titoli della trilogia BRD, Lola (1981) e Veronika Voss del 1982 le protagoniste femminili incarnano vari aspetti della Germania post bellica; Il matrimonio di Maria Braun ha una collocazione storica ben precisa racchiusa tra due esplosioni: un bombardamento aereo del 1943 che fa saltare in aria il municipio dove i coniugi Braun si sono appena sposati e il 4 luglio del 1954, anno della vittoria tedesca al mondiale di calcio tenuto in Svizzera: la telecronaca della partita scandisce gli ultimi minuti del film che preludono alla concretizzazione dell’amore tra i due coniugi che in dieci anni di matrimonio non hanno mai avuto occasione di stare insieme, eppure quel matrimonio frettoloso con un uomo semisconosciuto rappresentano l’ideale amoroso di Maria, l’ancora salvifica che giustifica il suo scendere a patti con la vita, fino ad uccidere un uomo che era sempre stato più che gentile con lei solo per salvare la sua idea borghese di matrimonio. Hermann non è tanto l’amore quanto il simbolo di una rispettabilità che Maria pensa di non aver mai perso perché ha sacrificato tutto proprio per salvarla.
L’ipocrisia o forse l’illusione di Maria sono la metafora del primo decennio post bellico della Germania che mette da parte un passato scomodo per ritrovare un potere economico, alcuni discorsi politici via radio fanno da sottofondo alle vicende di Maria, al suo enorme sforzo di volontà per risorgere mandato in fumo da una distrazione, dimenticare aperto un fornello del gas: ironicamente a tradirla è proprio la bella villa, simbolo della ritrovata stabilità economica e sociale.
Lo stile personale di Fassbinder, che si ritaglia il cameo del trafficante di borsa nera, si esalta nel completo irrealismo della messa in scena e della fotografia: i colori accesi antitetici allo scenario di macerie e rovine che caratterizzano soprattutto la prima parte del film. Bella la costruzione dell’immagine che presenta spesso griglie, sbarre a simboleggiare il percorso obbligato di Maria in quello che ritiene essere il suo cammino verso la libertà.

Le jene di Edimburgo

Maggio 26, 2023

The Flesh and the Fiends
GB 1960
con Peter Cushing, June Laverick, Donald Pleasence, George Rose, Renee Houston, Dermot Walsh, Billie Whitelaw
regia di John Gilling


LejenediEdimburgo


Edimburgo 1828: il dottor Robert Knox dirige una delle principali accademie per anatomisti e si avvale di ladri di tombe per avere i corpi da dissezionare. I beoni William Burke e William Hare, a conoscenza dei traffici di Knox, gli portano un affittuario di Hare appena morto, invece di seppellirlo. Visto che la ricompensa è migliore più il cadavere è fresco, Burke e Hare iniziano a uccidere per procurarsi i corpi da vendere alla clinica. Arriveranno anche ad uccidere Mary, una bella ragazza disinibita che aveva una relazione con un allievo di Knox, Chris Jackson che viene anche lui eleminato dal malefico duo. All’omicidio dello storpio Jamie, che aveva scoperto il cadavere di Chris, assiste Maggie, un’amica di Mary. La ragazza da l’allarme e viene scoperta la turpe compravendita di cadaveri. Il processo però condanna all’impiccagione solo Burke, liberando Hare e Knox da ogni accusa. Su Hare si riversa la vendetta del popolino mentre Knox prende coscienza dei propri errori e ricomincia le sue lezioni partendo dal giuramento di Ippocrate.

Più che un film dell’orrore, un orrorifico film storico visto che la vicenda è tristemente vera ed è stata portata più volte sullo schermo; Le jene di Edimburgo si attiene fedelmente ai fatti che edulcora solo nel finale: non si sa che fine fece Hare che qui è accecato dai mendicanti, vittime predilette dei suoi traffici e il vero dottor Robert Knox, di cui Cushing ostenta anche la palpebra calata a causa del vaiolo, probabilmente non scese mai a patti con la sua coscienza ma ci regalò anche un “bel” trattato intitolato Le razze degli uomini.
Il film è molto interessante nella ricostruzione dell’epoca, con una notevole fotografia molto contrastata, alcune scene di nudità ben presto censurate che si alternano ai tocchi dickensiani nella rappresentazione della vita delle classi più povere, dove sopraffazione e alcol sono all’ordine del giorno per poter sopravvivere. La bella Mary, per quanto innamorata del futuro medico Chris, non riesce ad abbandonare una vita di vizi per aspettare di coronare il sogno d’amore con il giovane medico troppo impegnato con lo studio per offrirle occasioni di svago. Alla coppia male assortita e destinata alla morte di Chris e Mary fa da contraltare quella del dottor Mitchell, collaboratore di Knox che s’innamora di Martha, la nipote prediletta di Knox, raffinata signorina della buona società appena tornata da Parigi. Mitchell è un dottore integerrimo, affascinato dalla tempra inossidabile di Knox, disposto a tutto pur di compiere i suoi studi di anatomia che porteranno un grande sviluppo nella scienza medica.
Peter Cushing regala un’ottima caratterizzazione di Knox, volitivo e ambizioso medico che mette lo sviluppo della scienza al primo posto eppure a rubare la scena è Donald Pleasence, che interpreta William Hare, vera mente del diabolico piano del duo che demanda gran parte degli omicidi al socio, forse più per paura che per astuzia, e talmente infido da denunciare Burke per salvarsi dalla forca: il piglio istrionico e ironico ne fanno un anticipazione dell’Alex DeLarge di Arancia Meccanica.

La mia brunetta preferita

Maggio 25, 2023

My Favorite Brunette
USA 1947 Paramount
con Bob Hope, Dorothy Lamour, Peter Lorre, Lon Chaney Jr., John Hoyt, Charles Dingle, Bing Crosby, Alan Ladd
regia di Elliott Nugent



Lamia brunetta preferita


Ronnie Jackson, un fotografo specializzato in ritratti per bambini, vorrebbe diventare un detective dalla vita avventurosa come Sam McCloud che ha l’ufficio proprio accanto al suo. Un giorno che McCloud è fuori e ha affidato a Ron l’ufficio, arriva una bellissima donna che scambia Ron per il detective. Ron finisce così in un’intricata vicenda che lo porta nella cella della morte da cui in flash back ci racconta la sua storia…



Lamiabrunettapreferita


Il comico Bob Hope è stato un antesignano della televisione americana e ha avuto anche una lunga carriera cinematografica tra i cui titoli spicca La mia brunetta preferita, una parodia del genere noir allora in voga.
In realtà il film è un perfetto noir in cui al posto del duro detective troviamo un aspirante tale pauroso e pasticcione, Bob Hope appunto, che però si fa rubare la scena da Peter Lorre nel ruolo di Kismet, spietato killer che sta studiando per ottenere la cittadinanza americana, e persino Lon Chaney, Jr nel ruolo dell’energumeno senza cervello che si affeziona a Ron, sembra essere un personaggio più centrato rispetto al protagonista.
Anche da un punto di vista stilistico non mancano alcune chicche: la prima apparizione della dark lady riflessa in una sfera, l’effetto surreale della ripresa dall’alto della vettura che si allontana nelle famose discese di San Francisco, luci contrastate, la voce off del protagonista che rievoca la sua (dis)avventura da dietro le sbarre aspettando di entrare nella camera a gas: il problema de La mia brunetta preferita è di essere un noir troppo credibile rispetto l’intento parodistico per cui sembra il protagonista ad esser fuori luogo nonostante la presenza scenica del comico e qualche battuta divertente.
Da citare i camei che aprono e chiudono il film: il vero detective è mostrato di spalle e indifferente alle richieste di Ron che farebbe di tutto per essere un duro alla Humphrey Bogart, o Dick Powell o persino Alan Ladd ed ecco che il detective si gira e si tratta proprio di Alan Ladd.
Essendo un film comico, all’ultimo minuto Ron viene salvato dalla condanna a morte scatenando l’ira dell’aspirante boia, interpretato da Bing Crosby, sodale di Hope nel ciclo di film A Road to… di cui spesso è protagonista femminile Dorothy Lamour che qui ritroviamo nelle vesti della dark lady.
Stando ben a guardare anche La mia brunetta preferita fa parte di ciclo di film, tre per la precisione: La mia bionda preferita del 1942 e La mia spia preferita del ’51, in tutti e tre Bob Hope si finge spia, detective e quant’altro infilandosi in situazioni più grandi di lui.

Harvey

Maggio 20, 2023

USA 1950, Universal
con James Stewart, Josephine Hull, Peggy Dow, Charles Drake, Cecil Kellaway, Victoria Horne, Jesse White, William H. Lynn, Grayce Mills, Wallace Ford, Clem Bevans, Nana Bryant
regia di Henry Koster


Harvey


La vedova Veta Louise Simmons si è trasferita con la figlia zitella Myrtle Mae a casa del fratello Elwood P. Dowd, amabile signore di mezz’età che ha come migliore amico Harvey, un invisibile coniglio bianco alto un metro e ottanta. La signora Simmons sopporta la stranezza del fratello fino a quando Elwood non mette in fuga le signore della buona società presentando il suo amico invisibile. Veda decide di far internare il fratello in una clinica ma viene scambiata per pazza e internata al posto del congiunto dal solerte dottor Sanderson. Per evitare che la donna faccia causa alla clinica, il titolare, il dottor Chumley, si mette sulle tracce di Elwood e rimane molto affascinato dalla figura di Harvey che si rivela essere un pooka, uno spirito della mitologia celtica. Mentre il dottor Chumley finisce per credere all’esistenza di Harvey e chiede a Elwood di lasciarglielo, l’uomo, per compiacere la sorella, è disposto ad accettare una drastica cura che lo riporterà alla realtà ma alla fine Veta preferisce che Elwood resti quello che è e anche Harvey preferisce rimanere con lui piuttosto che col dottor Chumley.



Harvey


Tratto dalla pièce omonima di Mary Chase che le valse il premio Premio Pulitzer per la drammaturgia, nel 1945, Harvey è una bizzarra commedia fantastica che ripropone gli stilemi assurdi delle commedie slapstick anni ’30 per cui in alcuni passaggi potrebbe sembrare fuori tempo massimo, ma la progressiva naturalità con cui viene accettata la presenza del coniglio invisibile anticipa le stranezze a cui ci hanno abituato le commedie indie del XXI secolo e pare che da Harvey discenda l’inquietante coniglio di Donnie Darko per la capacità del pooka di viaggiare nel tempo.



Harvey


Oltre la piacevolezza della pellicola che è rimasta inalterata nel tempo, Harvey si presenta quindi come un interessante trait d’union tra cinema classico e cinema contemporaneo dove sotto le battute svagate pulsano le nevrosi dell’America post bellica: Elwood è un uomo di buona famiglia, destinato a un sicuro successo ma non si è sposato né ha avuto una carriera, nessun avvenimento particolare sembra aver ostacolato la sua vita eppure è chiaro che Elwood ha un grosso problema di alcolismo, e la sua solitudine e il suo senso di inadeguatezza emergono sempre più dai suoi dialoghi.
James Stewart aveva già interpretato il personaggio a teatro con grande successo ma sul grande schermo Elwood non avrebbe potuto essere che lui, anche per un certa rivisitazione acida del suo più grande successo, La vita è meravigliosa di Frank Capra dove la bontà d’animo del protagonista viene ripagata dalla riconoscenza spontanea dei concittadini, in Harvey l’amabilità, financo eccessiva, del protagonista è una difesa dal mondo, la madre di Elwood gli diceva sempre che nella vita bisogna essere o molto astuti o molto amabili, e il protagonista confessa di aver ripiegato sull’amabilità anche se avrebbe preferito l’astuzia: ma quale astuzia più grande di quella di essere sempre amabili? Ci si fa perdonare anche la pazzia…

Dieci piccoli indiani

Maggio 13, 2023

And Then There Were None
USA 1945
con Barry Fitzgerald, Walter Huston, Louis Hayward, Roland Young, June Duprez, Mischa Auer, C. Aubrey Smith, Judith Anderson, Richard Haydn, Queenie Leonard, Harry Thurston
regia di René Clair

 

Dicecipiccoliindiani

Otto sconosciuti vengono invitati da un tale che non conoscono a trascorrere il weekend in un’isola provata. Ad attenderli ci sono solo una coppia di servitori che a loro volta non hai mai visto il proprietario. A un certo punto della serata il maggiordomo segue le missive ricevute per posta e fa partire una registrazione in cui il misterioso U.N. Owen rivela che il motivo per cui gli invitati si trovano sull’isola è per scontare le loro colpe. subito dopo iniziano gli omicidi fedeli alla macabra filastrocca dei dieci piccoli indiani…

10piccoliindiani

L’ultimo film americano del regista francese René Clair è la prima trasposizione cinematografica del celebre romanzo di Agatha Christie, il finale, adottato anche nelle trasposizioni successive, non è quello originale del libro dove muoiono tutti e il mistero si risolve grazie al ritrovamento una lettera postuma, ma è quello con lieto fino dell’adattamento teatrale realizzato dalla stessa scrittrice.
Il film è l’unica incursione nel giallo del celebre regista, noto per i toni fantastici e surreali delle sue opere, cifra a cui Clair si mantiene fedele anche in questa pellicola con l’uso dei trasparenti che riescono a dare una connotazione irreale all’ambientazione, soprattutto negli esterni.
Il tono è piuttosto leggero, da giallo rosa con una forte caratterizzazione dei personaggi che prevede anche tocchi umoristici e l’ottimo cast supporta con successo l’idea del regista: le occhiate furbesche di Barry Fitzgerald nei panni del giudice Quinncannon, la quasi perenne ubriacatura di Walter Huston ovvero il dott. Armstrong, l’alterigia snob di Emily Brent interpretata da Judith Anderson, la celeberrima signora Danvers, governante di Rebecca la Prima moglie, Misha Auer nei panni dello scroccone russo purtroppo prima vittima del crudele meccanismo che ci toglie subito le sue esilaranti performances. La scena dei vari personaggi che si spiano dai buco della serratura (ingrandito) è degno di una commedia ma più l’azione avanza con la certezza che l’assassino sia tra gli ospiti della villa, più l’atmosfera si fa tesa, puntando sui toni surreali piuttosto che drammatici: notevole l’incontro tra l’ultima sopravissuta e l’assassino per come il regista costruisce la scena mantenendo fino all’ultimo il mistero sull’identità con una serie di immagini dalla valenza profonda.

Profezia di un delitto

Maggio 11, 2023

Les magiciens
Francia7 Italia, 1976
con Franco Nero, Stefania Sandrelli, Jean Rochefort, Gert Fröbe, Gila Von Weitershausen, Cecile Labussière, Moheddine Mrad, Jalila Baccar
regia di Claude Chabrol



Profezia di un delitto


Il ricco e annoiato Edouard, in vacanza a Djerba fa amicizia col veggente Vestar che si esibisce con numeri di magia nel resort ma vanta poteri paranormali. Quando predice l’aura malevola che circonda una cavallerizza che poco dopo cade malamente da cavallo, Edouard fa disdire la tournee all’indovino e lo paga per seguire gli sviluppi della vicenda. La donna è Sylvia, sposata con un architetto di origini arabe, Sandry, i due, in crisi, sono sull’isola di cui è originario il marito per stare vicino alla madre di lui che sta morendo. Sylvia in realtà non ha mai incontrato la suocera timorosa di ferirla con i suoi modi troppo occidentali. Sandry riprende la relazione con Martine una vecchia fiamma e la spaccia per la moglie quando va visitare la madre. Edouard, accortosi della tresca di Sandry manipola i due coniugi per cercare di far avverare la profezia di Vestar ed effettivamente avviene un delitto…



Profeziadiundelitto


Il film è introdotto da una lunga didascalia sui poteri paranormali e il peso che hanno sull’esistenza dell’uomo, le scritte, lette da una voce off, scorrono su alcuni quadri di Magritte e il film mantiene i riferimenti pittorici soprattutto negli esterni tra deserto e mare che diventano linee astratte come i quadri di Rothko, anche il nitore delle strutture del resort acuiscono il senso surreale del film, che pur essendo un ‘opera minore meriterebbe di essere restaurato proprio per ritrovare pienamente le valenze pittoriche.
Profezia di un delitto non è certo tra i film più memorabili di Chabrol ma presenta le tematiche cardine dell’autore: l’indagine sulla coppia e l’omaggio a Hitchcock: la pellicola è un divertissement sulla previsione del futuro: le visioni di Vestar si sarebbero avverate comunque senza l’intervento di Edouard? L’annoiato milionario arriva anche a chiedere la complicità di una bambina a cui compra uno stock di palloncini rossi da lasciar volare via al suo ordine.



Les magiciens


Lo scavo sulla coppia è come sempre piuttosto crudo: Sylvia e Sandry sono una coppia interraziale: ebbene sì Franco Nero, coi sui occhi azzurri e i suoi capelli biondi interpreta un tunisino che avuto successo in Europa!!! Sylvia è noiosa e infantile e non apprezza per nulla Djerba, luogo natale del marito in cui è costretta a trascorrere tutte le vacanze per dare l’occasione al compagno di rivedere la madre. Quando scopre la tresca del marito tutto il latente razzismo ddlla donna esplode provocando la furia omicida di Sandry che non si sfoga solo sulla moglie ma anche sul veggente colpevole di aver predetto la cruenta fine del suo matrimonio (è solo un mezzo spoiler perché di assassinii Sandry ne compirà solo uno…)

Il principe di Roma

Maggio 5, 2023

Ilprincipediroma

Italia 2022
Con Marco Giallini, Giulia Bevilacqua, Filippo Timi, Sergio Rubini, Denise Tantucci, Antonio Bannò, Andrea Sartoretti, Liliana Bottone, Giuseppe Battiston, Massimo De Lorenzo
regia di Edoardo Falcone

Bartolomeo Proietti, ex trovatello arricchitosi alle spalle di chi l’ha aiutato e facendo lo strozzino, sta per diventare principe tramite il matrimonio con una giovane di alto lignaggio ma spiantata. I soldi che servono al principe padre per ripagare i propri debiti sono la condicio sine qua non del matrimonio ma il sottoposto del Sor Meo che li aveva in custodia, finisce sulla forca prima di poter rivelare il nascondiglio. Pur di riuscire a recuperarli, Bartolomeo si rivolge a una fattucchiera per mettersi in contatto con lo spirito dell’amico pur essendo avvisato che potrebbe più facilmente incontrare uno dei tanti spiriti inquieti che circolano per le strade di Roma e così avviene: Bartolomeo incontra i fantasmi di tre noti personaggi romani che lo aiutano a ritrovare i denari e soprattutto a redimersi.

Favola natalizia che mescola le atmosfere romanesche con il classico Canto di Natale di Charles Dickens con esiti anche piacevoli.
Se la citazione dickensiana con i tre fantasmi che mostrano il passato, il presente e il futuro è puntuale, gli archetipi cinematografici romaneschi sono più sfumati, sicuramente i film della Roma papalina di Magni e Il Marchese del Grillo, e qualcosa da Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli.
La ricostruzione storica, soprattutto nei costumi è precisa, mi dispiace quella punta eccessiva di sentimentalismo nel finale con l’incontro con il fantasma materno, deux ex machina dell’avventura di Bartolomeo ma soprattutto ho patito qualsiasi mancanza di atmosfera goticheggiante a cui il film si prestava, anche sospesa e surreale come in Fantasmi a Roma, eppure anche da questo lato non mancavano i classici a cui guardare: din don, din don cento campaaane…